è incredibile in tutto...ogni tanto Robert ne parla di questa storia..ma lui riesce a parlarne con una innata ilarità..forse , come dice lui aveva bevuto qualche bicchierino di più e mi sono arreso troppo presto..suo figlio Logan, che era con lui si è divertito un MOndo..lo dichiarò anche in una intervista ad un giornalista di una rivista..Negli anni ’90, il rocker si trovava a Pechino insieme al figlio: i due finirono in un bar della città e Plant finì per fare la figura del dilettante, nonostante sia considerato uno dei più grandi frontman della storia del rock.
Robert ha passato brutti momenti per i suoi problemi fisici..prima con le corde vocali, operato due volte, poi con il brutto incidente di Rodi nel 1975..in tutte queste occasioni i pareri medici erano scettici per la riuscita degli interventi..non avrebbe più cantanto, non avrebbe più camminato..per fortuna poi la costanza di Robert e qualche medico veramente in gamba hanno permesso una duratura carriera di artista e un cammino speranzoso di vita.
------------------------------
-------------------------------------------
..Robert e il fan più fan che c'è..
Robert Plant ha raccontato il suo rapporto con lo stile di vita trasgressivo del rock anni 70 in una famosa intervista radiofonica con una stazione radio di New York nel 1988, in cui ha detto di aver smesso con le droghe almeno dal 1977 : « Ho fatto un discorso molto diretto e sincero a me stesso » ha detto il cantante dei Led Zeppelin, « La mia personalità era cambiata, ero diventato paranoico e molto possessivo e non c'era più niente di divertente. Quindi mi sono detto: fermati adesso ».
Robert Plant ha spiegato che negli ultimi anni di carriera dei Led Zeppelin , la band era divisa in due per quanto riguarda la trasgressione e gli abusi di alcol e sostanze: lui e il bassista John Paul Jones erano sobri da tempo, Jimmy Page ha detto di non aver mai perso il controllo (ma ha dato la colpa alle sue dipendenze per la qualità del suo contributo nell'album In Through the Out Door del 1979), John Bonham era un treno lanciato a tutta velocità verso l'autodistruzione e non è sopravvissuto a sé stesso, segnando con la sua tragica scomparsa il 25 settembre 1980 la fine della band.
« Per quanto mi riguarda è sempre stata una dipendenza di tipo psicologico, non fisico » ha detto Robert Plant, « Sono stato fortunato: ho deciso di smettere e ho smesso da un giorno all'altro ». La scomparsa di suo figlio Karac il 26 luglio 1977 poco prima di entrare in studio per registrare In Through the Out Doors lo ha portato a pensare di smettere con la musica , ma Plant ha detto di aver trasformato la tragedia in uno stimolo a migliorare sé stesso . Robert Plant ha ricevuto la notizia mentre i Led Zeppelin erano in tour a New Orleans. E' tornato in Inghilterra (sull'aereo con lui c'erano il manager Peter Gran, il suo assistente personale Dennis Sheehan e John Bonham) e ha raccontato di avertrovato la forza per andare avanti con la moglie Maureen e la prima figlia Carmen Jane . Due anni dopo nel 1979 ha avuto un altro figlio, Logan . Cambiare completamente stile di vita lo ha salvato dal dolore, e gli ha ricordato l'importanza dell'amicizia vera, anche all'interno di una rock band travolgente e sfrenata come i Led Zeppelin: « John Bonham e sua moglie Pat sono stati un aiuto importante » ha detto Robert Plant « Bonzo mi è stato vicino nel momento più difficile e oscuro della mia vita ».
-----------------------
https://strumenti-musicali-online.it/robert-plant-moglie/
https://youtu.be/12KbOAc8vmk
https://youtu.be/z0DAnu5Sq6k
https://youtu.be/75ayXRrPMCY
https://youtu.be/meEypYH1Bq8
-------------------------------------------------------
a che ci faccio qui? Io sono una Rockstar, cazzo. È da quando ero ragazzino, da quando gli ormoni hanno cominciato a fare il loro lavoro, che volevo essere come lui: Elvis. La prima vera Rockstar, l’inventore del rock. E lo sono diventato presto, sissignore se lo sono diventato. A vent’anni mi mangiavo il palco, mi sbranavo le folle. Non ho niente a che vedere con tutti questi stronzi in smoking e lustrini che infestano questo Auditorium, io qui non ci volevo neanche venire. È colpa di Jimmy, è stato lui che mi ha chiamato e mi ha detto: «Ehi Bob, vedi di esserci. È il Kennedy Center Honors, un premio importante. Devi esserci anche tu, i Led Zeppelin erano anche Robert Plant. Non hai un disco appena uscito? È una bella pubblicità: fai un paio di sorrisi, applaudi a quegli stronzi sul palco che canteranno le nostre canzoni, e arrivederci». Ma io non ho nessun disco nuovo, gli ho detto, è un secolo che non vado in studio, che non scrivo più nulla. Non ne ho voglia, forse mi si è esaurita la vena creativa. Ma poi Jimmy ha detto: «Pare che il pezzo forte lo suoni il figlio di Bonzo e lo canti Ann Wilson. Dai, vieni». Non me ne fregava niente del premio, ma mi incuriosiva vedere in azione Jason, il figlio del nostro Bonzo, e sentire come se la cavava quella cantante. L’avevo conosciuta, trent’anni fa o giù di lì, e c’era stato un certo feeling. E quindi eccomi qui, seduto sul palco d’onore, con Jimmy, accidenti a lui, accanto. Ci hanno messo una bella medaglia al collo e ci stanno facendo sciroppare una serie di rockettari che si fanno belli con i nostri pezzi. Ma non saranno mai come noi, come me. Eccoli, con quello stile trasandato studiato nei minimi dettagli. Su quel palco mostrano il loro profilo migliore, non sudano, non gridano, non godono. Oh come godevo io, e come facevo godere il pubblico. Bastava un po’ di benzina prima del concerto e potevate vedere una creatura fatta di fuoco e sesso, con una criniera leonina e la voce di un Dio. Questi qui non valgono un cazzo, non sanno neanche cosa significa essere Robert Plant. E la cosa peggiore di questo premio, questo riconoscimento ricevuto nientedimeno che dal presidente americano in persona, è che lascia intendere che io sia vecchio. Finito. In fondo, quando è che si dà un premio alla carriera? Ma quando la carriera è finita, ovvio. Non ci capiscono nulla, io sono ancora una Rockstar. Se mi avessero dato un microfono, stasera, li avrei mandati tutti a casa.
Jimmy mi dà una pacca sul ginocchio, forse sto pensando ad alta voce. Ah, no, è perché è salito sul palco Jason. Ci saluta, si batte il pugno sul cuore e si mette alla batteria. E indossa la bombetta di suo padre, il vecchio Bonzo. Salgono anche le Heart, Ann Wilson e la sorella, lei sempre mora e la sorella con la chitarra sempre bionda. Da giovani hanno fatto un paio di dischi decenti, ora sono due signore con vestiti costosi che ci salutano con le mani ingioiellate. Io sorrido come si conviene, applaudo. Attacca la bionda con l’arpeggio iniziale. È ‘Stariway to Heaven’.
Quando attacca, Ann ha qualcosa nella voce, un che di preciso che scocca come una freccia, che mi arriva alla gola e si incastra lì, tanto che me la sento che non va né su né giù. Ma non mi sto mica emozionando, no, io sono una vera Rockstar e voi siete solo dei fighetti ben vestiti che battono il tempo col piede seduti sulle vostre poltrone. Sarebbe troppo bello per voi vedere le lacrime di chi faceva piangere mille ragazze con un solo colpo di bacino, un bel colpaccio per la macchina dello show business. No no, non se ne parla proprio. Ci hanno messo proprio tutto, eh, le luci azzurre, i violini, Jason che entra con la batteria, le mani sul cuore della cantante. Cazzo che voce che ha, se l’è mantenuta proprio bene. Ma voglio vedere come se la caverà con la strofa finale, quella dove la mia voce usciva e diventava altro da me, assumeva una vita propria. E va avanti, questa mora che canta come un angelo o come il diavolo in persona, che sembra che mi stia sussurrando nell’orecchio: «Tranquillo Bob, sii te stesso, non ti vedrà nessuno». Col cavolo bellezza, altro che sussurri, io le donne le facevo gridare, sotto il palco e a letto, mentre tu sei una che ha venduto un po’ di dischi quando la gente li comprava per noia. Io sono Robert Plant, e ho fatto la storia del rock. Jason picchia su quei tamburi come se dovesse farli sentire al padre fino in cielo, gli somiglia proprio, al vecchio Bonzo. Se ne accorge anche Jimmy, «Non male», dice, e gli dico di sì, ma cerco di non guardarlo. E poi parte l’assolo di chitarra, sporco, diretto, come lo faceva Jimmy, una scala per il paradiso lastricata di pezzi di vetro. Le note sono sempre più veloci, sempre più acute mentre il pezzo sale, e sento che gli occhi mi pizzicano, e il ritmo della batteria aumenta, e il cuore mi batte più forte, e Jason è proprio come il mio vecchio Bonzo, e Ann mi guarda e si prepara al gran finale, stingo i denti, ancora un po’ ed è finita.
Ma che succede? Si alza la scenografia e, oh Cristo santo, che hanno fatto.
Wow.
Non riesco a dire altro che “Wow”. Il pannello arriva in alto e compare un coro di almeno sessanta persone. Tutti dietro la batteria, tutti con la bombetta di Bonzo in testa, tutti lì per noi. Mi rendo conto che tutti, in quell’Auditorium, vogliono solo per dirci grazie per le canzoni che gli abbiamo donato, per essere stati delle Rockstar. Magari qualcuno aveva il nostro poster nella cameretta, qualcuno avrà sognato di cantare come me, magari qualcuna avrà sognato di venire a letto con me. Jimmy si diverte come un pazzo e io riesco solo a deglutire, non posso fare altro, che Rockstar sarei altrimenti. Respiro piano per contenere il battito, ma è in questo momento che Ann dà il meglio di sé, e invece di scagliare frecce o di sussurrarmi nell’orecchio, mi lancia una pietra, un masso enorme che mi atterra sul petto, mentre canta con una voce che forse io non ho mai avuto, forte, potente e disperata come solo la voce di una donna può essere. Deve urlare, con quella voce bellissima, con un ruggito, deve urlare la frase più famosa della canzone più famosa del più grande gruppo rock degli anni Settanta, il simbolo di una generazione, della mia vita: “To be a rock and not to roll”.
Ce l’hai fatta, bella mora. Ti ci sei messa d’impegno e ci sei riuscita. Brava. Gli occhi bruciano, la vista si appanna, la Rockstar sta piangendo. Le tue frecce, i tuoi sussurri e le tue pietre hanno colpito il bersaglio. Robert Plant si commuove, e te ne è grato, perché a questo punto non gliene frega un cazzo dello show business, e non ha più paura di mostrarsi per quello che è: una Rockstar, un uomo, un vecchio.
Il pezzo finisce. Con gli occhi pieni di lacrime mi alzo ad applaudire. Jason si batte di nuovo il pugno sul cuore, guarda in alto, saluta papà. Guardo in alto e lo saluto anch’io. Ann mi manda un bacio, chissà se al me di oggi o a quello di trent’anni fa. Jimmy mi mette una mano sulla spalla. Domani torno in studio. Ho voglia di scrivere un pezzo nuovo.
https://youtu.be/LFxOaDeJmXk
Serena Ciriello
Twitter: @SerenaCiriello
Nessun commento:
Posta un commento