Robert Plant Singing Babe I'm Going To Leave You 07/20/13
Babe I'm Going To Leave You Live from Cary NC. 07/20/1013
suono e armonie gitane ..che diventano unica leggerezza per un canto d'amore..
Robert Plant Singing Babe I'm Going To Leave You 07/20/13
Babe I'm Going To Leave You Live from Cary NC. 07/20/1013
gypsy sound and harmonies .. which become the only lightness for a love song ..
quanto adoro questo viaggio!!!
Robert Plant Live "Going To California" 07/20/13
Live at the Booth Amphitheater in Cary NC on 07/20/13.
Robert Plant "What Is and What Should Never Be" 07/20/13
Robert Plant Live Singing "Four Sticks" 07/20/13
"Whole Lotta Love" and Hoochie Coochie medley.
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https://youtu.be/QI7vjOBAhuE
Robert Plant - Austin 2002
Robert Plant: September 15, 2002 (15-09-2002/2002-09-15/15-09-2002) - KLRU Studios, Austin, Texas, USA ...
SETLIST: Darkness, Darkness, Four Sticks, Down to the Sea, Morning Dew, Going to California, Hey, Hey What Can I Do, Funny in My Mind, Song to the Siren, BIGLY.
Cosa ho imparato .... ??
Che si può conversare
con le Stelle ;
Che ci si può
confessare alla Luna ;
Che si può viaggiare
nell' infinito e che è
necessario sognare :
Che' non si può morire
per imparare a vivere !!
-W. Shakespeare-
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..adorabile..magnetico..e immensamente vero..con il suo fascino maturo
una foto emblematica..
Robert Plant e i Sensational Space Shifters si esibiscono al Nos Alive Music Festival, Lisbona, Portogallo, il 7 luglio 2016
non c'è niente da fare!!!
nessuna gli resiste..
non c'è niente da fare!!!
nessuna gli resiste..
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..“Un sognatore è colui che può trovare la sua strada al chiaro di luna e vedere l'alba prima del resto del mondo.”..
Robert Plant - Going To California (Live)
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ROBERT PLANT ALL MY LOVE SANTA BARBARA 2011 ALL OF MY LOVE
Robert Plant and the Sensational Space Shifters perform "Season's Song," from his album Carry Fire live at the O2 Apollo Manchester on November 30, 2017.
Robert Plant - That's The Way - Royal Albert Hall, London - December 2017
Celebrating fifty years of 'IV', this week's Artist Collection is dedicated to rock icons Led Zeppelin.
Dive in and discover a whole load of content from the band right here including:
Dave Grohl's celebration of drumming legend John Bonham
Matt Everitt's The First Time with Robert Plant
Roger Scott's Interview with Jimmy Page on 'IV'
Unarchived BBC Sessions and MUCH MORE
Tap the link to listen
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E’ molto probabile che Plant abbia scelto di chiudere il concerto proprio con "Immigrant Song" poiché la canzone venne ispirata dalla visita che i Led Zeppelin fecero in Islanda – ‘la terra di ghiaccio e neve’ - nel 1970.
Come riportato nel libro "Led Zeppelin Dazed And Confused" di Chris Welch, Plant disse sulla ispirazione lirica della canzone:
"Non eravamo pomposi. Venivamo dalla terra del ghiaccio e della neve. Eravamo stati ospiti del governo islandese per una missione culturale. Siamo stati invitati a suonare un concerto a Reykjavik e il giorno prima del nostro arrivo tutti i dipendenti pubblici si misero in sciopero e il concerto sarebbe stato cancellato. L'università preparò per noi una sala da concerto e fu fenomenale. La risposta dei ragazzi fu notevole e ci siamo divertiti molto. "Immigrant Song" parlava di quel viaggio ed era il primo brano dell'album (‘Led Zeppelin III’) che doveva essere incredibilmente diverso".
Al Secret Solstice Festival che si è tenuto a Reykjavik, in Islanda, lo scorso 23 giugno, Robert Plant ha chiuso il proprio set proponendo "Immigrant Song" dei Led Zeppelin.
June 23, 2019
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..il finale di questo brano è stratosferico...all'interno c'è tutto...non è solo un argine che si rompe, la potenza, è anche quando quella potenza si fonde con il tutt'uno che riesce a completarla..potenza da sola non dura occorre anche altro..sentirsi parte di essa e riuscire a trasformarla in qualcosa di più..che non è urlo ma riuscire a domare quel potere..è un argine che si rompe ma che riesce a trovare la strada per defluire..Immenso
Robert Plant & Alison Krauss - When the Levee Breaks (Glastonbury 2022)
Una fantastica 'Battaglia di Evermore' da Robert Plant e Alison Krauss a Glastonbury
grazie a Dave Lewis e ai suoi tanti amici..
fans e non solo
Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba.
Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto,
e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.
Sometimes fate resembles a sandstorm that constantly changes the direction of the path. To avoid this, change your pace. And the wind changes pace, to better follow you. You then change again, and immediately the wind changes again to match your pace. This is repeated over and over again, like a sinister dance with the god of death before dawn.
Because that wind is not something that has come from afar, independent of you. It's something you have inside. That wind is you. So the only thing you can do is enter it, in that wind, walking straight,
and closing his eyes tightly so as not to let the sand in.
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“Lloyd, qual è il segreto per essere eleganti?”
“Ricordarsi che l'eleganza è ciò che si indossa sotto ai vestiti, sir”
“Ma questo vuol dire che è nascosta agli occhi di tutti…”
“Infatti l'eleganza non si vede, sir. Ma si nota”
“Molto appropriato, Lloyd”
“Grazie mille, sir”
“Lloyd, qual è il segreto per essere eleganti?”
“Ricordarsi che l'eleganza è ciò che si indossa sotto ai vestiti, sir”
“Ma questo vuol dire che è nascosta agli occhi di tutti…”
“Infatti l'eleganza non si vede, sir. Ma si nota”
“Molto appropriato, Lloyd”
“Grazie mille, sir”
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Miércoles 07 de Noviembre de 2012 en Movistar Arena de Santiago, Chile. Robert Plant se presentó junto a su proyecto The Sensational Space Shifters.
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Robert Plant & The Strange Sensation - Alcatraz, Milano, 30.11.05
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.l'incantatore...
..non solo la sola ad essere rimasta stregata
a Lucca non c'era Going to California..
ma c'era" quella voce, incredibile, primordiale, che ti porta su altri pianeti, volente o nolente."..lo fissi tenendo tutto il fiato..ti dimentichi di respirare, sei leggera come una piuma senza una meta..
estasi pura..niente intorno esiste solo quel non so che indescrivibile
e, come scrive alla fine della testimonianza il nostro Carmine
Robert Plant l’incantatore si è insinuato nei miei sogni..
io aggiungo anzi lo era sin dall'inizio..na dal 14 luglio 2022 posso dire che il sogno si è avverato..
Lella..
..un momento d'amore incondizionato
Robert Plant & The Strange Sensation - Alcatraz, Milano, 30.11.05
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Mercoledì 30 novembre è il gran giorno: al mattino mi fotografo di spalle, per documentare la massima lunghezza mai toccata dai miei capelli; al pomeriggio vado da Claudia, me li faccio tagliare un po’ (in modo da poter rockeggiare più agevolmente in serata, ma poi comunque andavano tagliati, gli ultimi quindici centimetri erano troppo rovinati), poi andiamo in centro e ci salutiamo.
Mi passa a prendere Gio Vox, che in macchina ha anche il cugino Ricky (rocker e figo), con il quale, ormai due anni e mezzo prima, eravamo andati a vedere gli Stones a San Siro. Ma c’è un’altra macchina (che ci precederà nel viaggio per Milano), che contiene Piero (padre di Ricky, nonché zio di Gio), Edo (altro cugino di Gio) e Mattia (amico di Ricky e Edo). Sei rocker alla riscossa.
Durante il viaggio la colonna sonora principale è The Razors Edge degli AC/DC (oltre alla valanga di cazzate che spariamo a turno, naturalmente): si fila abbastanza lisci fino alla tangenziale di Milano, poi scatta il dramma degli ingorghi e delle code, comincia a farsi davvero tardi quando riusciamo a entrare in città, lodo più volte Gio Vox, bravo a districarsi nell’impossibile e snervante traffico milanese, alla fine giungiamo in Via Valtellina. Grandi esultanze, Gallows Pole dei Led Zeppelin a manetta nello stereo di Gio, con i finestrini abbassati, per farci sentire da tutta la via, farcita di gente, bancarelle e bagarini.
Si parcheggia lì vicino, Dai che è tardi, si mangia un panino e si beve un po’ d’acqua, Dai che è tardi, ci si reca ai servizi del baretto lì a due metri, Dai che è tardi, si lasciano i cappotti in macchina, Dai che è tardi, vengo lodato per la mia tenuta da concerto, Dai che è tardi, si entra all’Alcatraz. Otto e venticinque, il concerto è previsto per le nove. Siamo arrivati comodi. Sta suonando il gruppo spalla, Th’ Legendary Shack*Shakers (nome fantastico, non c’è che dire), che propongono un rockabilly tiratissimo con influenze punk e country. Tipo gli Hormonauts, per intenderci.
La gente è presa bene, noi ci inseriamo verso la decima fila, decisamente laterali. Da lì comincerà il progressivo avvicinamento al palco. Quando gli opener finiscono (tra gli applausi) il loro concerto, siamo già in sesta-settima fila, ma ancora un po’ troppo laterali per i miei gusti. La densità umana aumenta, mentre il palco, vuoto, è illuminato da suggestive luci rosse.
La Leggenda
Alle 21:15 di mercoledì 30 novembre 2005 capisco cos’ha provato San Paolo sulla via di Damasco. Preceduto dagli Strange Sensation (Skin Tyson e Justin Adams alle chitarre, Billy Fuller al basso, Clive Deamer alla batteria e John Baggott alle tastiere), che hanno già attaccato il primo pezzo, Freedom Fries, dal nuovo album Mighty Rearranger, Robert Plant compare sul palco. Sta solo tenendo il tempo con il battito delle mani, non ha ancora aperto bocca, ma io sono già impazzito completamente. Quando, da lucido, a freddo, provo ad assumere un punto di vista obiettivo e mi riguardo in terza persona, vedo i miei occhi sbarrati, la mia bocca spalancata, sento le mie urla da ragazzina isterica, capisco di essere sembrato uno squilibrato completo. Ma la reazione, in un momento del genere, è genuina, per quanto esagerata. Mi sono mancate solo le lacrime (per un pelo).
Appena il Biondo inizia a cantare, addio. Lì passo direttamente al quarto cielo del Paradiso dantesco, senza fermate. Torno momentaneamente (e vagamente) sulla Terra per aiutare Ricky nella missione impossibile di srotolare il suo enorme cartello giallo, con una scritta nera, che però non dice Addio, Bocca di Rosa, con te se ne parte la primavera, dice Robert Plant = rock and roll. Sarà un metro e ottanta per un metro, lo sosteniamo in tre o quattro, poi la gente dietro giustamente vuole ucciderci perché ostacoliamo la visuale del palco, quindi il cartello viene abbassato, riarrotolato a caso e buttato davanti, al di là della transenna. Purtroppo, nessuno di quelli in prima fila fa lo sforzo minimo di lanciare lo striscione sul palco. In cuor nostro, speriamo che Robert l’abbia letto. Intanto sono ancora più davanti e ancora più centrale. Vedo Gio e Ricky vicino a me. La song è molto bella, si capisce perfettamente che il progetto Robert Plant And The Strange Sensation è solido, interessante, contaminato, musicalmente ce n’è.
A seguire, e un po’ a sorpresa, Seven & Seven Is, cover di un bellissimo pezzo dei Love, datato 1967. Semplicemente rock’n’roll allo stato puro, con una sequenza di accordi che a me dà i brividi, e la voce di Plant che non fa che nobilitare il tutto. Cover fedele all’originale, comunque.
Saluti: «It’s good to be here, back in Milano». Tutti urlano a squarciagola, io di più: «Robert!», «Robert, I love you!».
Poi, il delirio: Black Dog, da Led Zeppelin IV. Il pubblico reagisce con un boato trionfale, tutti cantano, soprattutto i celeberrimi vocalizzi («Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ahhh…»). La canzone, come avverrà con tanti altri brani, è però ampiamente rivisitata: il ritmo è leggermente più blando, i suoni meno ruvidi e più avvolgenti, le tastiere fanno un bel lavoro, a rendere il pezzo ancor più d’atmosfera pensa Robert, accennando qualche passo di danza caraibica e schioccando le dita a tempo. Uno splendido cinquantasettenne, va bene, il tempo passa per tutti, ma Lui è un capellone biondo e sensuale quasi come nell’ætas aurea degli anni Settanta. Gio mi dirà poi di aver sentito delle ventenni riferirsi a Plant con frasi tipo «Che figo…», «Come si muove…» e via dicendo.
Succede che Plant chieda espressamente al pubblico di cantare, prima forte e va tutto bene, la gente risponde alla grande. Poi però chiede di cantare piano, quasi sottovoce, e tutti, ancora forte: «Ah ah!». Io non capisco.
Lui: «No, no…», e con le mani indica chiaramente di fare più piano. E tutti, ancora forte: «Ah ah!».
Mi altero leggermente.
«State zitti, merde!».
La gente si mette a cantare più piano, non so se per effetto del mio cortese invito. Gio mi dirà poi di avermi sentito, mentre mi rivolgevo gentilmente agli astanti delle prime file.
Quarta canzone in scaletta, la cover di Hey Joe di Jimi Hendrix, inclusa nel precedente album solista di Robert Plant, Dreamland. Mattia, maniaco di Hendrix, va in brodo di giuggiole. Qui il pezzo è completamente stravolto: strofa a metà della velocità, riff invece accelerato, mille suoni che si confondono, il Biondo dà il meglio di sé quanto a espressività vocale e a presenza scenica. Stupendo.
Grande emozione per Going To California, altra canzone dal quarto disco degli Zeppelin. La lunga introduzione alla chitarra acustica ne impedisce il riconoscimento immediato, ma quando comincia l’arpeggio iniziale c’è solo un mare di applausi a commentare. La voce di Plant si fa rarefatta e sognante, come nella versione originale su disco. Per quei cinque minuti, i trentaquattro anni di distanza non esistono. Da brividi, da lacrime.
Another Tribe fa parte del nuovo album, ed è puro etno rock. La strumentazione elettronica, seppur in evidenza, non oscura gli strumenti analogici: anzi, l’acustica e l’elettroacustica emergono quasi sempre, presto o tardi nell’arco del brano. Lui usa anche il tamburello. E poi c’è quella voce, incredibile, primordiale, che ti porta su altri pianeti, volente o nolente.
Due chiacchiere con Robert, che beve da una tazzona da tè (ma non so cosa stia bevendo). «Tomorrow, we’re gonna meet the President Blair…», detto con la faccia di chi deve andare controvoglia all’appuntamento istituzionale. Gli ululati di disappunto del pubblico coprono la frase successiva, di cui però sentiamo il finale: «… I hate this shit». Applausi. «It’s better, here». ’Na marea di applausi.
Si ritorna a visitare il 1971 di Led Zeppelin IV con Four Sticks, anche questa bellissima nella rivisitazione recente. Più tranquilla, intimista, stratificata nei suoni, con quell’«Oh, baby» irresistibile.
Let The Four Winds Blow è nuova, la ricordo poco, ma è il brano successivo che mi fa strippare del tutto: What Is And What Should Never Be da Led Zeppelin II. L’inconfondibile giro di basso mi manda in ebollizione, Plant canta con voce suadente, e tutti lo stiamo già seguendo, poi arriva il refrain duro, e la bolgia si fa incandescente. Ognuno, singolarmente, tende verso Robert, ammaliato dal suo magnetismo. Risultato: tutti schiacciati gli uni contro gli altri, con indicibili sofferenze di chi ha davanti la transenna. Ma è giusto così.
A questo punto del concerto mi trovo già in terza o quarta fila, davanti a Plant. Mi sono già sgolato quasi completamente, ma trovo un momento di relativo silenzio, nel quale raccolgo tutta la voce che mi è rimasta per urlare, più di quanto abbia fatto in tutta la mia vita: «Robert, look at me!».
Lui mi sente e sorride.
Non mi ha guardato. Probabilmente mi ha salvato la vita, se si fosse girato non avrei retto il suo sguardo e avrei esalato l’ultimo respiro lì, morendo, tenuto in piedi dagli altri del pubblico.
Ma mi ha sentito, la mia voce è arrivata a Robert Plant, questo è già molto.
Presenta la band, «’Cause we are The Strange Sensation». Sì, dai, non fare il modesto, ché lo sai che siamo tutti qui solo per te.
Un altro brano da Mighty Rearranger, Tin Pan Valley, poi si torna di nuovo al quarto, mistico e meraviglioso disco dei Led Zeppelin con la rocciosa When The Levee Breaks, con un riff da manuale dell’hard rock, e alla folk song dai tratti medievali Gallows Pole, da Led Zeppelin III: tutti cantano tutto, l’emozione si può quasi toccare. La band esce di scena sommersa da un’ovazione.
Al posto del consueto «Fuori, fuori» scatta ovviamente «Robert, Robert».
Il bis si apre con The Enchanter, del nuovo album, poi c’è un lungo intermezzo blues, con Robert che canta qualche verso, qua e là, ogni tanto. Ma quando mi arrivano alle orecchie le parole «I’ve been misusin’» non ho più dubbi, è…
Whole Lotta Love!
Caos: tutti si mettono a saltare e a cantare, le vibrazioni hard del super classico di Led Zeppelin II contagiano anche i muri. Orgia sonora, delirio rock’n’roll, chiamatelo come volete. Descrivere le sensazioni che ho/abbiamo provato è impossibile. Quando la canzone è finita e i sei musicisti si riuniscono per l’inchino collettivo al pubblico, l’adrenalina è ancora a mille. Una delle emozioni più grandi della mia vita.
Dopo la Leggenda
Si accendono le luci, parte la musica dell’Alcatraz.
Abbraccio fortissimo Ricky, vicino a me per quasi tutto il concerto.
Ripesco Gio.
Abbraccio fortissimo pure Gio.
Ritroviamo Mattia, Edo e Piero.
Ci abbracciamo fortissimo tutti quanti.
Ci sarebbe stata meno unione tra sei fratelli che si ritrovano a casa dopo essere tutti sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale.
Gio incontra casualmente un po’ di gente che conosce, tra cui un compagno di università che è riuscito ad accaparrarsi una delle setlist che stavano sul palco. Giorni dopo ne farà una fotocopia a Gio. Anch’io me la sono fatta passare, e ora è patrimonio dell’umanità.
Sbalordito e confuso, vago per l’Alcatraz in cerca di un dito indice che prema il pulsante della mia macchina fotografica per immortalarci: la scelta ricade su un quarantenne con la maglietta dei Guns N’ Roses. Flash.
Il posto si sta svuotando; intravedo qualche Rocker Supremo, dagli street metalheads ai rocker anni Cinquanta brillantinati. Magliette dei Led Zeppelin a iosa, naturale.
Usciamo con calma e ci dirigiamo verso le macchine, telefonata a Freddie (il rocker di Palermo con cui io e Gio avevamo visto i Darkness quasi due anni fa), commenti sul concerto con Ricky, Edo e Mattia… Lasciamo Milano.
Sulla via del ritorno, ci sta la pausa in Autogrill. Gio attacca bottone con la barista.
«Siamo di ritorno dal concerto di Robert Plant».
«Ah, il… Aspetta… Bassista… Dei Deep Purple!».
Vabbè, ragazza, buonanotte.
Scambio sulle due automobili: Edo in macchina con me e Gio, Ricky con suo papà e Mattia.
Ci salutiamo con la reciproca promessa di andare insieme al prossimo grande concerto.
Tornando a Cremona, faccio un video con la macchina fotografica: riprendo un po’ la strada, un po’ Gio che guida, un po’ Edo sui sedili posteriori, un po’ me stesso. Diciamo qualche altra idiozia, tanto per chiudere al meglio questa memorabile serata.
Rientro in casa e mi ficco a letto, ma non riesco a dormire, perché continuo a rivivere mentalmente il film del concerto. Forse, quella notte, Robert Plant l’incantatore si è insinuato nei miei sogni.
Carmine Caletti
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