”Ciao Anima mia..posso raccontarti una favola?
è il tempo che accompagna ..
e spesso ci rammenta che dovremmo accarezzarlo di più, rispettarlo e coccolarlo..
Se la gente ricordasse più spesso che, su questa terra, siamo solo di passaggio e che, questa vita non è eterna, forse riuscirebbe, ad essere più umile e meno cattiva, e quel "tempo" tanto inseguito ci donerebbe infinita meraviglia...
ma spesso vogliamo correre più veloce e usiamo le "porte" sbagliate...
Innamorati del cuore, perché bellezza la trovi ovunque.
Mi lascio in eredità alla terra, per rinascere nell'erba che amo, se ancora mi vuoi, cercami sotto i tuoi piedi.
- Walt Whitman
La morte non è
una luce che si spegne.
È mettere fuori la lampada
perché è arrivata l’alba.
"Sai cos’è un sorriso? È un muro che cade, una porta che si apre, un enigma che si scioglie, una vibrazione che entra nel petto e si fa cielo e luce."
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Al momento della mia morte
In my time of dying
Non voglio che nessuno pianga?
Want nobody to mourn
Tutto quello che voglio che tu faccia
All I want for you to do
È portare il mio corpo a casa.
Is take my body home.
Bene, bene, bene, così posso morire facilmente
Well, well, well, so I can die easy
Bene, bene, bene, così posso morire facilmente.
Well, well, well, so I can die easy.
è il tempo che accompagna ..
e spesso ci rammenta che dovremmo accarezzarlo di più, rispettarlo e coccolarlo..
Se la gente ricordasse più spesso che, su questa terra, siamo solo di passaggio e che, questa vita non è eterna, forse riuscirebbe, ad essere più umile e meno cattiva, e quel "tempo" tanto inseguito ci donerebbe infinita meraviglia...
Ia musica è un ponte ostinato: unisce, crea legami, scava dentro di noi e fuori giardini mai osservati ma talmente veri che a volte ne abbiamo timore...
pensieri in volo simili ad uccelli,
un ponte teso fra i nostri due mondi.
La gente sotto il cielo, anche, era sempre la stessa gente... dovunque, in tutto il mondo, centinaia o migliaia di milioni d'individui, tutti eguali, ignari dell'esistenza di altri individui, tenuti separati da mura di odio e di bugie, eppure quasi gli stessi.
George Orwell, 1984, 1949
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Buongiorno anime belle...
9novembre 1989
Siamo produttori di muri, anche invisibili, anche internamente.
E la vita è così forte che attraversa i muri per farsi vedere. La vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare. La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire, pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire. (da Sogna ragazzo sogna)
ROBERTO VECCHIONI
ringrazio una mia carissima amica per questo sublime ricordo..
Loro odiavano il Muro, ma cosa potevano fare?
Era troppo difficile da abbattere.
Temevano il Muro, ma non avevano forse ragione?
Molti di quelli che avevano tentato di oltrepassarlo erano stati uccisi.
Diffidavano del Muro, ma chi non lo avrebbe fatto?
I loro nemici si rifiutavano di buttar giù anche solo un mattone, non importava quanto si protraessero i negoziati di pace.
Il Muro ghignava.
“Vi sto insegnando una lezione”, si vantava.
“Se volete costruire qualcosa di eterno, le pietre non servono a molto.
Servono cose come l’odio, la paura e la diffidenza che sono molto più forti”.
Sapevano che il Muro aveva ragione, e stavano per mollare.
Solo una cosa riuscì a fermarli.
Ricordarono chi c’era dall’altra parte.
Nonne, cugini, sorelle, mogli.
Volti cari che bramavano di rivedere.
“Cosa succede?”, chiese il muro, tremante.
Senza sapere come, ora riuscivano a guardare attraverso il Muro, nel tentativo di trovare i loro cari.
In silenzio, da una persona all’altra, l’amore continuava a fare il suo lavoro invisibile.
“Smettetela!”, urlava il Muro, “sto cadendo!”.
Ma era troppo tardi.
Un milione di cuori si erano ritrovati.
Il Muro era caduto prima che fosse abbattuto.
Michael Jackson
9 Novembre 1989
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Simonetta Vespucci storia e mito di un’icona di bellezza
«Che dentro a li occhi suoi ardeva un riso
Tal, ch’io pensai di toccar co’ miei lo fondo
De la mia gloria e del mio paradiso».
Dante, “Divina Commedia”
riferito a Beatrice...
ma io voglio parlare di Simonetta Vespucci..Musa del Botticelli incastonata in quella famosa conghiglia della mitica nascita e di quel danzare di Primavera...
Simonetta Vespucci (Genova o Portovenere, 1453? – Firenze, 1476) è una figura consegnata alla fama eterna in virtù della sua grazia e bellezza. Nata in seno alla nobile famiglia genovese dei Cattaneo della Volta, si trasferì a Firenze in seguito al matrimonio contratto con Marco Vespucci, intimo della famiglia Medici. Assunta a modello di bellezza neoplatonica, venne celebrata dai poeti ed immortalata dagli artisti della cerchia di Lorenzo il Magnifico.
E’ difficile ricostruire le origini di Simonetta Vespucci, per la quasi totale assenza di documenti e testimonianze dirette. Fondamentale risulta un’annotazione contenuta nel Catasto fiorentino del 1469-1470, nel libro relativo al quartiere di Santa Maria Novella. Qui, al gonfalone dell’Unicorno, risulta registrata la famiglia di Piero Vespucci, composta, tra gli altri, dal figlio “Marco di Piero di Giuliano età d’anni XVI” e da “Simonetta di messer Guasparri Catani sua dama d’anni XVI”. Si deduce così che Simonetta doveva essere nata intorno al 1453 da Gaspare Cattaneo della Volta, di antico lignaggio, e da Cattocchia (Caterina) Violante Spinola. La madre aveva sposato in prime nozze Battista Fregoso, uomo d’armi e doge genovese per un solo giorno!
Il luogo della nascita, invece, rimane incerto, individuato dagli studiosi alternativamente in Genova o in Portovenere, dove la famiglia aveva dei possedimenti.
Intorno al 1457, durante il dogato di Pietro Fregoso, figlio di primo letto di Cattocchia, Genova conobbe un periodo di lotte intestine che costrinse la famiglia di Simonetta a lasciare la città e a rifugiarsi a Piombino, presso la corte degli Appiano, a cui era legata da vincoli di parentela. Fu Jacopo III di Appiano, signore di Piombino, a fare da tramite per il matrimonio di Simonetta. Egli assegnò addirittura una cospicua dote alla futura sposa, ricavandola dalle rendite derivanti dalle miniere di ferro che possedeva nell’isola d’Elba. Lo sposo prescelto era il coetaneo Marco Vespucci, cugino del più noto Amerigo. Appartenente a una prestigiosa famiglia di mercanti, egli poteva vantare, tra l’altro, anche una solida relazione con la famiglia Medici. Il matrimonio di Simonetta fu dunque l’occasione, per il signore di Piombino, di avvicinarsi alla famiglia egemone fiorentina e di gettare le basi per una futura alleanza, che si concretizzò poi nel 1482, grazie all’unione della figlia Semiramide con Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto “il Popolano”.
Un evento fondamentale
La vita fiorentina di Simonetta dovette trascorrere tranquilla, nella modestia e riservatezza richieste alle donne del suo rango, tanto che le (scarse) notizie che abbiamo di lei si deducono solo in maniera indiretta, leggendo la corrispondenza di altri membri della sua famiglia. La bella Cattaneo si spense ancora giovane, a soli 23 anni di età. Che cosa accadde, allora, per consacrarla alla fama? Fondamentale fu la giostra che si disputò a Firenze in piazza Santa Croce nel 1475, vinta da Giuliano de’ Medici e a lei dedicata. Il torneo ebbe infatti delle ricadute culturali importanti, ancora oggi evidenti in numerose opere d’arte e di letteratura.
Le giostre fiorentine
Nella Firenze del Quattrocento si andò ad attestare la consuetudine di organizzare giostre e manifestazioni cavalleresche nel periodo del carnevale o in occasione di altre festività e celebrazioni cittadine. Erano queste occasioni di svago, di ostentazione, di magnificenza, concepite per dimostrare il valore e l’onore individuale e collettivo.
Per tale motivo ad esse partecipavano non solo i cittadini fiorentini ma anche capitani di ventura, uomini d’arme e principi stranieri, talvolta rappresentati dai propri cavalieri.
Con l’età laurenziana e l’affermarsi del potere mediceo, le giostre vennero ben presto investite di un nuovo significato, che poneva in secondo piano la celebrazione cittadina per dare maggiore risalto al prestigio personale del casato.
Lorenzo e Giuliano, cavalieri senza macchia
Fu Lorenzo il Magnifico stesso a distinguersi per primo in uno di questi tornei cavallereschi, che giocò e vinse il 7 febbraio 1469. L’avvenimento segnò, a pochi mesi di distanza dal matrimonio per procura con la romana Clarice Orsini, il definitivo passaggio all’età adulta del rampollo Medici, ormai ventenne. La giostra di Lorenzo presenta evidenti similitudini con quella, di pochi anni successiva, che ebbe come protagonista il fratello minore. Entrambe vennero ideate dagli intellettuali che gravitavano intorno alla famiglia e furono concepite come un racconto cavalleresco, con protagonista un prode cavaliere (il giovane Medici) costretto a superare prove ed ostacoli per conquistare il cuore della dama amata. Entrambe vennero celebrate a posteriori da poeti della cerchia medicea: Luigi Pulci mise in rima la giostra di Lorenzo mentre al Poliziano toccò l’onore di cantare le gesta di Giuliano.
Amori impossibili
Ma chi erano le donne amate tanto vagheggiate dai due cavalieri? Nel caso di Lorenzo si trattava di Lucrezia Donati, nobildonna fiorentina e sposa di Niccolò Ardinghelli, mentre il cuore di Giuliano batteva per la bella Simonetta che, come precedentemente ricordato, all’epoca della giostra era maritata da ormai qualche anno a Marco Vespucci.
Due donne sposate e quindi impossibilitate a ricambiare il loro sentimento. Come potè, allora, non essere motivo di scandalo l’aperta ammirazione nei loro confronti? Proprio grazie agli ideali cavallereschi dell’amor cortese e alla trasformazione dell’amore terreno, passionale, in tensione capace di elevare moralmente e spiritualmente.
Un sontuoso apparato decorativo
La giostra del il 28 gennaio 1475 venne indetta per celebrare la “lega italica” che sanciva l’alleanza tra Firenze, Milano e Venezia ed era stata rinnovata nel dicembre precedente. Fu anche l’occasione, però, per mettere in luce il prestigio della famiglia Medici e la solidità della dinastia. Ad accompagnare Giuliano lungo il corteo che lo portò a piazza Santa Croce, luogo destinato ad ospitare il torneo, vi furono non solo il fratello Lorenzo ma anche il nipote Pietro, di appena tre anni. L’intero apparato decorativo e gli ornamenti indossati da Giuliano e dei suoi cavalieri furono particolarmente sontuosi. Nel libro di ricordi del notaio ser Giusto d’Anghiari si legge che i giovani “avevano ornamenti di perle e di gioie e il valsente di 60.000 fiorini” e che le perle erano così numerose che durante gli scontri le si potevano vedere rotolare per terra!
Lo stendardo di Sandro Botticelli
Purtroppo perduto è il magnifico stendardo da parata concepito da Sandro Botticelli per Giuliano, che rappresentava un tema caro alla cerchia culturale medicea: una Atena/Minerva grande “al naturale”, simbolo di amore casto. La dea, secondo quanto riportato da uno spettatore d’eccezione, l’umanista Naldo Naldi, era rappresentata con i suoi consueti attributi: stringeva in una mano una lunga lancia e nell’altra lo scudo con la testa di Medusa. I suoi piedi poggiavano sul fuoco, che bruciava i rami di ulivo disposti ai lati della sua figura. Tutt’intorno, si stendeva un bel prato fiorito con un ceppo di olivo a cui era incatenato il dio dell’amore, Cupido, le cui armi erano deposte ai suoi piedi. A un ramo di ulivo era anche legato il motto “La sans par” (la senza uguali), allusione alla bellezza irraggiungibile di SImonetta, le cui fattezze erano riconoscibili nel volto della dea.
Le Stanze del Poliziano
Ad Agnolo Poliziano (1454-1464), accolto in casa del Magnifico fin dal 1473, spettò il compito di trasformare il combattimento cavalleresco di Giuliano in una invenzione letteraria. Nelle Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro dei Medici, opera in ottave rimasta incompiuta, il giovane cavaliere assume le sembianze di un cacciatore insensibile all’amore, Iulio, che viene attirato in un tranello dal risentito Cupido e si innamora della ninfa Simonetta. Per conquistare il cuore della casta ninfa, Iulio dovrà dimostrare il suo valore vincendo un torneo ed avviandosi lungo un percorso di formazione e maturazione che lo porterà a sublimare il suo amore. Ecco come il Poliziano descrisse la ninfa: “Candida è ella, e candida la vesta / Ma pur di rose e fior dipinta e d’erba: / Lo inanellato crin dell’aurea testa / Scende in la fronte umilmente superba. / Ridegli attorno tutta la foresta, / E quanto può sue cure disacerba. / Nell’atto regalmente è mansueta; / E pur col ciglio le tempeste acqueta”.
Una fine prematura
L’amore platonico tra Giuliano e Simonetta non era destinato a durare, stroncato dalla morte prematura di entrambi i giovani. La Cattaneo si spense l’anno successivo alla giostra, probabilmente a causa della tisi. A nulla valsero gli sforzi della famiglia e l’interessamento di Lorenzo il Magnifico per salvarla dalla malattia che l’aveva colpita.
Dalle lettere di Piero Vespucci sappiamo che il Medici aveva addirittura inviato il suo medico personale, maestro Stefano, al capezzale della donna. Dopo un lieve miglioramento, le condizioni di Simonetta peggiorarono, e forse non aiutò il fatto che l’inviato di Lorenzo fosse in contrasto con maestro Moyse, l’altro medico incaricato dalla famiglia, con il quale dissentiva sia sulle cause dell’infermità sia sui migliori rimedi da adottare.
Simonetta morì il 26 aprile 1476 e venne sepolta il giorno dopo nella cappella di famiglia, all’interno della chiesa fiorentina di Ognissanti. Il suo corpo rimase in vista durante il corteo funebre e i presenti non mancarono di annotare che neppure la morte era riuscita a privarla della sua grazia e della sua bellezza.
Due anni più tardi, il 26 aprile 1478, un tragico destino colpì anche Giuliano, vilmente ucciso nel corso della Congiura dei Pazzi.
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Simonetta Vespucci diva e musa, bellissima e colta, amata da potenti e artisti, morì a 23 anni
Andò in sposa a 16 anni au fiorentino e nella città del giglio trovò la sua gloria imperitura. È sempre suo il volto delle donne bellissime (Venere, Primavera) dipinte da Botticelli
Alcune donne, con la loro morte spesso prematura, divengono miti: sono le così dette star, le dive, le divine. Nel secolo scorso la Monroe, che ormai si identifica solo con il nome: Marilyn, quasi fosse uno dei grandi del passato: Leonardo, Galileo, Dante. Certo era un’attrice, e nemmeno spregevole, ma altre lo furono più di lei e forse erano belle non meno di lei, ma Marilyn sola è rimasta nel cuore di intere generazioni con una vera e propria adorazione che va ben al di là dei sui effettivi meriti di recitazione. Sicuramente non estraneo alla creazione del suo mito anche l’essere divenuta icona di alcuni artisti, valga per tutti il celeberrimo ritratto di Andy Warhol: una serie di serigrafie in cui il volto sensuale della diva si ripete ossessivamente con la sola diversificazione dei vari accesi colori; l’immagine riprende in forma artistica un famoso ritratto fotografico della Monroe di Gene Korman scattato mentre si stavano girando le riprese del film tragico Niagara.
Ma per quanto moderno e pop appaia il caso di Marilyn, niente di nuovo sotto il sole, già molti secoli fa un’altra giovane donna sembra precorrere, mutatis mutandis, quasi la stessa vicenda biografica. Anche lei in niente superiore ad altre del suo secolo, anche lei idolatrata dagli artisti contemporanei o immediatamente successivi, anche lei divenuta, proprio attraverso questi artisti, diva: Simonetta Cattaneo Vespucci. Era nata nel 1453, figlia di Gaspare Cattaneo e Caterina Violante Spinola, già vedova e madre. La famiglia faceva parte della ricca aristocrazia genovese, ma si era dovuta allontanare dalla città perché un fratellastro di Simonetta, doge di Genova, per tornaconto personale aveva chiamato i francesi in città e per questo era stato prima costretto a fuggire, poi era stato ucciso.
Il patrigno e la madre non avevano alcuna responsabilità in questa intricata vicenda politica, ma stimarono comunque più appropriato allontanarsi dalla città e ritirarsi in una loro villa presso Portovenere dove nacque Simonetta, ultima di dodici figli. In seguito si trasferirono a Piombino dove risiedeva un’altra sorellastra di Simonetta, alla quale la giovane fu molto legata per tutta la vita e che aveva sposato Jacopo III Appiani, signore della città.
Come trascorresse i suoi primi anni e quale fosse la sua istruzione non è dato sapere con precisione, ma possiamo immaginare che non sia stata molto diversa da quella di altre giovani del suo stesso ceto: le arti del trivio e del quadrivio, un po’ di latino, un po’ di letteratura, naturalmente una buona educazione religiosa e poi due materie fondamentali per una giovane che volesse trovare un buon marito: il ricamo e la danza.
Tuttavia Simonetta non doveva aver molto bisogno di questi ornamenti aggiuntivi, sia la sua ottima parentela sia la sua bellezza la raccomandavano a pretendenti di alto rango; si aggiunga che il cognato l’aveva dotata riccamente attraverso le rendite di alcune miniere di ferro dell’isola d’Elba. Si fece così avanti il fiorentino Piero Vespucci che la chiese per il figlio Marco, coetaneo della ragazza.
I Vespucci erano una famiglia di mercanti, assai abbienti, e Piero si trovava allora come ambasciatore dei Medici presso la corte di Jacopo, del quale era anche socio in affari. Su Jacopo III giudizi contrastanti: signore crudele, infido e senza scrupoli, ma anche buon amministratore e legatissimo alla moglie che sempre lo seguiva sebbene numerosissime fossero le sue amanti.
L’unico documento in cui a noi posteri è concesso conoscere direttamente il sentire di Simonetta si trova in una lettera del 21 marzo 1472 di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico: La Simonetta dice che è più settimane che gli fu detto che la sorella era morta di questo [cioè per avvelenamento], e come tutti morrebbero senza manco, chè avevano bevuto.
La morte della sorella e del cognato, che tanto avevano fatto per la sua famiglia, ospitandola per ben dieci anni, e per lei con la ricca dote, deve averla sconvolta profondamente. Ma intanto Simonetta a sedici anni va in sposa a Marco Vespucci, e quasi come per un matrimonio moderno abbiamo una documentazione visiva della cerimonia. Un cassone nuziale dipinto da Botticelli, fra l’altro con illustrazioni della novella di Nastagio degli Onesti dal Decameron di Giovanni Boccaccio, porta in uno dei riquadri l’immagine di un banchetto di nozze; il tavolo è a ferro di cavallo e da un lato siedono gli uomini riccamente abbigliati, dall’altro le dame anche esse adorne come si conviene in tale festosa occasione. Al centro del gruppo femminile Simonetta, vestita di bianco, come sarà solito ritrarla appunto Botticelli e di fronte a lei un unico uomo, sicuramente il neo sposo Marco.
Giunta a Firenze la ragazza fece scalpore, prima di tutto per la sua bellezza, ma questa vale ben poco e stanca presto se non unita ad altre doti di fascino che la Cattaneo doveva possedere in abbondanza, sebbene giovanissima. In una città coltissima, raffinata e scettica come doveva essere la Firenze dello scorcio del secolo XV, la bellezza da sola certamente non poteva bastare per farne un’icona, appunto una diva; e diva divenne a tutti gli effetti.
Per primo si innamorò di lei Lorenzo che le dedicò alcuni sonetti, poi naturalmente il fratello minore Giuliano; come a tutti noto, fu lei infatti la dama del suo cuore, quella per la quale combatté, ed essendo fratello del Signore della città ovviamente vinse, nella giostra in suo onore. Ma quello che colpisce ancora più nel profondo è il fatto che Simonetta lascia un segno indelebile nella storia dell’arte e della letteratura.
Suo è il volto di quasi tutte le donne del Botticelli; i capelli biondi inanellati, le labbra carnose, la pelle luminosa, l’ovale perfetto, tutte le generazioni successive hanno continuato ad ammirarla fino ai giorni nostri: è lei la Primavera, è lei Venere che sorge dalle acque, è lei la Venere languidamente sdraiata su rossi cuscini con a fianco Marte dormiente. Botticelli la deve aver conosciuta bene e frequentata quasi quotidianamente dal momento che abitava proprio in una delle case dei Vespucci.
È ancora lei la Cleopatra con l’aspide al collo di Piero di Cosimo, opera del 1480, circa quattro anni dopo la sua morte; come accadde, strana coincidenza, per il ritratto della Monroe di Andy Wharol, anche questo dipinto dopo la morte dell’attrice . È a lei che pensiamo ogni volta che riandiamo alla Firenze eccezionale ed effimera degli anni di Lorenzo, perché poi tutto passerà in fretta: Giuliano morirà nella congiura dei Pazzi e Lorenzo, anche lui, morirà non troppo anziano; con lui non finirà certamente la grande fioritura del nostro Rinascimento e neppure si oscurerà la gloria di questa piccola e immensa città; ma l’incanto della giovinezza di un’epoca e di una società finirà per sempre.
Simonetta, dipinta da Botticelli e cantata nelle Stanze per la giostra di Giuliano dei Medici del Poliziano, morirà giovanissima a soli ventitré anni. Giuliano la piangerà, come testimonia in una lettera lo stesso suocero della Cattaneo; pare, infatti, che spesso dopo la sua morte si recasse desolato a casa dei Vespucci a chiedere allo stesso marito qualche ricordo della bella morta. Poi naturalmente Giuliano si troverà un’altra compagna dalla quale avrà anche un figlio, ma l’incanto di Simonetta rimarrà immortalato per sempre.
E dopo di lei il diluvio: la famiglia prese parte alla sciagurata congiura dei Pazzi, in special modo Piero, che fu tenuto prigioniero nelle terribili galere delle Stinche, riuscì poi a trasferirsi a Milano, ma la sua fortuna si era ormai oscurata e la sua ricchezza volatilizzata. Lo stesso triste destino attese anche al figlio, che, tuttavia, pochi anni dopo si risposò ed ebbe molti figli. La fama dei Vespucci non dipese certo da loro, ma da un lontano cugino, che navigando avrebbe donato all’umanità un intero continente.
Ecco questa è la storia di una giovane divenuta, per la sua bellezza e per essere nata nell’epoca giusta, la prima star della storia; e così Firenze, che tanto ha dato al mondo in fatto di arte e ingegno, ci ha regalato anche la prima icona di stile, molto prima dell’avvento della così detta civiltà dell’immagine.
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Giuditta del Caravaggio
La bocca più sensuale mai dipinta.
"Le finestre che si svegliano più tardi, i motori che riposano, le case che profumano di ricordi, le corse che diventano danze. È domenica."
web
“Do not go where the path may lead, go instead where there is no path and leave a trail.” ― Ralph Waldo Emerson
: Guido Adler
"Non andare dove può portare il sentiero, vai invece dove non c'è sentiero e lascia una scia. » ― Ralph Waldo Emerson
: Guido Adler
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NOI CHE ERAVAMO GIOVANI NEI MAGNIFICI ANNI 70..
"noi nati negli anni 50, 60, 70
abbiamo vissuto in sette,sei o cinque decadi,
due secoli e due millenni
abbiamo avuto la musica migliore, i film più belli,
i drive-in, le bevande alla spina e
Happy Days.
e non siamo nemmeno tanto vecchi,ancora..
Siamo solo tanto fighi!!!!!
WE WHO WERE YOUNG IN THE MAGNIFICENT YEARS 70 ..
"we born in the 50s, 60s, 70s
we lived in seven, six or five decades,
two centuries and two millennia
we had the best music, the best movies,
drive-ins, drinks on tap e
Happy Days.
and we're not even that old yet ..
We're just so cool !!!!!
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Non sono giovane, e non sarò mai vecchia.
Appartengo ad una tribù di donne che possiedono il riso delle bambine e il sorriso ironico un pò insolente di antiche e mature signore di altri tempi..
capelli lunghi e liberi, ricci come certi capricci
occhi antichi come la Terra,
dove la bellezza interiore non finisce.
Non ho e non avrò mai l'età che indicano i documenti,
perché non sono giovane e non sarò mai vecchia
sono e sarò sempre solo ..me stessa..
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L'unica via di uscita
del dolore
.... è entrarci dentro.
e affrontarlo coraggiosamente..
E’ una gioia senza pecche scoprire un’anima pura. Sono anime che somigliano ai primi libri dei bambini: contengono poche parole e sono piene di colori.
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Chi non crede nella magia è destinato a non incontrarla mai.
La musica! Una magia che supera tutte quelle che noi facciamo qui!
[Albus Silente]
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..è il mio divagar e naufragar
le Muse lo fanno ogni giorno..
i loro pensieri ..sempre alla ricerca di quel libero volar..
un divagare alla ricerca di se stessi e delle ali dell'altro
Divagare
Le foglie stanno cadendo tutto intorno
È tempo che sti per conto mio
Grazie, ti ringrazio molto
Per una così gradevole permanenza
Ma ora per me è ora di andare
La luna d’autunno illumina la mia via
Per ora annuso la pioggia
E con il dolore
E sta affrontando la mia via
Ah, a volte sono così stanco
Ma so di avere una cosa da fare
Divagare
E ora è tempo, il tempo è ora
Di cantare la mia canzone
Vado in giro per il mondo, devo trovare la mia ragazza
Sulla mia via
Sono così da dieci anni
Divagare
Devo trovare la regina di tutti i miei sogni
Non ho tempo diffondere le mie radici
Il tempo è finito
E attraverso la nostra salute abbiamo bevuto mille volte
È tempo di divagare
Divagare
E ora è tempo, il tempo è ora
Di cantare la mia canzone
Vado in giro per il mondo, devo trovare la mia ragazza
Sulla mia via
Sono così da dieci anni
Devo divagare
Devo trovare la regina di tutti i miei sogni
Non ti sto dicendo bugie
Il mio è un racconto che non può essere raccontato
Mi tengo stretto la mia libertà
Quanti anni fa, in passato
Quando la magia riempiva l’aria
“Ero nelle profondità più oscure di Mordor”
ho incontrato una ragazza così onesta
ma Gollum, e il cattivo
Si avvicinarono e scivolarono via con lei
Lei, lei, sì
Non c’è nulla che io possa fare, no
Immagino che continuo a divagare
Lo farò, sì, sì, sì
Canto la mia canzone (devo trovare la mia piccola)
Devo divagare, cantare la mia canzone
Devo fare il giro del mondo, piccola
Divagare, sì
Doo, doo, doo, doo, doo, tesoro mio
Doo, doo, doo, doo
Doodoo doodoo doodoo doodoo doodoo
Devo continuare a cercare la mia piccola
(Piccola piccola piccola piccola piccola piccola
devo continuare a cercare la mia piccola
(La mia, mia, mia, mia, mia, mia, mia piccola)
Sì, sì, sì sì sì sì sì
Sì sì sì sì sì sì sì
Non riesco a trovare il mio uccello azzurro
Ascolto il canto del mio uccello azzurro
Non riesco a trovare il mio uccello azzurro
Continuo a vagare, piccola
Continuo a vagare, piccola
Led Zeppelin - Ramble On (acoustic)
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“Possa tu costruire la scala che porta alle stelle e percorrerne ogni gradino.”
...la mia passeggiata mattutina..
Buongiorno anime belle
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