Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di se e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla.
Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di se e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla.
https://youtu.be/Z2xbDHFNfCs
Page/Plant perform Thank You and Ramble On. Live in Detroit, April 1st, 1995.
𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐥𝐢𝐯𝐞 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐠𝐨𝐝𝐞𝐭𝐞𝐯𝐞𝐥𝐨 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐞𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐢 𝐨𝐭𝐭𝐨𝐛𝐫𝐞..
𝐦𝐢 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞
𝐊𝐚𝐬𝐦𝐢𝐫 𝐞̀ 𝐈𝐦𝐩𝐞𝐫𝐢𝐚𝐥𝐞
.𝐫𝐢𝐯𝐞𝐝𝐫𝐞𝐭𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐚 𝐭𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐧𝐮𝐝𝐨 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐢𝐧𝐨..
𝐈𝐧𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢..𝐈𝐫𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢 𝐨𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐮𝐫𝐚 ..𝐈𝐧𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐢..𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞𝐦𝐢..𝐢𝐦𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐬𝐢..𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐚𝐫𝐢..
𝐬𝐢 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐭𝐨𝐧𝐨..𝐬𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐥'𝐎𝐥𝐭𝐫𝐞..
𝐞𝐬𝐭𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐯𝐨𝐜𝐚𝐥𝐞..𝐮𝐥𝐭𝐫𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞..𝐢𝐥 𝐏𝐞𝐚𝐫𝐜𝐲 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐚𝐦𝐨 ..𝐬𝐞 𝐬𝐢 𝐟𝐨𝐬𝐬𝐞 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐩𝐨̀ 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐨𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐯𝐚..𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐬𝐚𝐥𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐚𝐝𝐝𝐨𝐬𝐬𝐨..𝐞 𝐟𝐨𝐫𝐬𝐞 𝐥𝐮𝐢 𝐬𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐛𝐮𝐭𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐮 𝐝𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨..
𝐚𝐝𝐫𝐞𝐧𝐚𝐥𝐢𝐧𝐚 𝐝𝐚 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚!! 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀..𝐚𝐥𝐜𝐡𝐢𝐦𝐢𝐚..𝐢𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐦𝐞𝐭𝐞𝐨𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨
𝐠𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐦𝐞𝐫𝐚𝐯𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚..𝐥𝐢𝐯𝐞 𝐢𝐧 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 , 𝐜'𝐞𝐫𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚𝐝 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐚𝐮𝐝𝐢𝐨..
𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 𝐞̀ 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐬𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐇𝐢𝟖 𝐌𝐚𝐬𝐭𝐞𝐫. 𝐅𝐢𝐥𝐦𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐓𝐞𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐞𝐩𝐡𝐞𝐧𝐬𝐨𝐧 𝐝𝐢 𝐓𝐡𝐢𝐫𝐝 𝐄𝐲𝐞 𝐏𝐫𝐨𝐝𝐮𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧 (𝐓𝐄𝐏).
𝐉𝐢𝐦𝐦𝐲 𝐏𝐚𝐠𝐞 & 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭 𝐏𝐥𝐚𝐧𝐭 𝐥𝐢𝐯𝐞 𝐚𝐭 𝐀𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐖𝐞𝐬𝐭 𝐀𝐫𝐞𝐧𝐚, 𝐏𝐡𝐨𝐞𝐧𝐢𝐱, 𝐀𝐙 𝐨𝐧 𝐌𝐚𝐲 𝟏𝟎, 𝟏𝟗𝟗𝟓.
𝐆𝐨𝐨𝐝 𝐦𝐨𝐫𝐧𝐢𝐧𝐠 𝐅𝐚𝐦𝐢𝐥𝐲
Jimmy Page & Robert Plant live at America West Arena, Phoenix, AZ on May 10, 1995.
Good morning Family
this live is incredible enjoy it on this Sunday in October ..
I recommend you get to the end
Kasmir is Imperial
.you will also see Robertino shirtless ..
Incredible .. Irresistible pure ovation .. Infinite .. extreme .. imperious .. stellar ..
they have fun .. they know well that I am the Beyond ..
vocal extension ... ultra fine ... the Pearcy we know ... if he had come a little closer to the crowd that was watching ... many would have jumped on him ... and maybe he would have jumped on them ...
adrenaline from fear !! sensuality .. alchemy .. meteorite impact
grateful for this wonder..live on video, until today there was the audio one ..
This video is straight from the Hi8 Master cassette. Filmed by Terry Stephenson of Third Eye Production (TEP).
Jimmy Page & Robert Plant live at America West Arena, Phoenix, AZ on May 10, 1995.
https://youtu.be/L9ZFWBC95IA
Tales Of Bron (poetry intro)
Immigrant Song (intro)
The Wanton Song
Bring It On Home
Ramble On
Thank You
Shake My Tree
Lullaby
No Quarter
Gallows Pole
Hurdy Gurdy solo
When the Levee Breaks
Hey Hey What Can I Do
The Song Remains The Same
Since I've Been Loving You
Friends
Calling To You
Down By the Seaside
Break On Through
Dazed & Confused
Four sticks
In The Evening
Carouselambra
encores -
Black Dog
Kashmir.
Page & Plant rock New Orleans. This is the 9th show on their world tour. The band is bringing the house down with In The Evening, Black Dog and Kashmir. Live from New Orleans March 11th, 1995.
https://youtu.be/PaVXgUYjRgQ
Robert Plant & the Strange Sensation. Live from Camden, New Jersey July 27, 2002.
Win My Train Fare Home (If I Ever Get Lucky)
Hey Joe
Darkness, Darkness
Going to California
Fixin' to Die
Four Sticks
Tall Cool One
Babe, I'm Gonna Leave You
Song to the Siren,
Concerto segreto per Page & Plant
LONDRA - Se un astronauta di 77 anni torna nello spazio, due rockstar ultracinquantenni potranno ben tornare sul palco. Tanto più che sono targate Led Zeppelin. è accaduto venerdì sera, in forma privatissima, in un piccolo teatro della London University e accadrà in tutta Europa, a partire dal 5 novembre. Il dirigibile di Jimmy Page e di Robert Plant si alzerà in volo dalla Wembley Arena (esaurita la prima data, quasi chiusa la seconda d' emergenza) e il 19 novembre atterrerà per un solo concerto italiano al Forum di Assago. E la notizia, a Londra, non era la riunione dei due soci fondatori del più importante gruppo del rock degli anni d' oro (si incontrarono nell' 85 sul palco di Live Aid, insieme hanno già inciso due dischi), quanto che Page & Plant suonassero in un piccolo spazio, su un palcoscenico minuscolo, davanti a non più di 400 persone. Il concerto era ovviamente segretissimo. Ogni spettatore aveva un Vip Pass senza neanche il nome dei due musicisti; molti fra il pubblico erano giovanotti canadesi, vincitori di un concorso indetto da una marca di birra, altri erano studenti della London University infiltrati chissà come. Nessun adolescente in giro, ma in compenso un tangibile desiderio di ritorno all' infanzia con molte ragazze che, forse per celebrare Halloween, tenevano fra i capelli due piccole corna illuminate di rosso. Ma purtroppo non c' è più niente di diabolico in quel che resta dei Led Zeppelin, i quali, volendo, possono offrire un doppio spettacolo. Il primo è squisitamente acustico: chiudendo gli occhi mentre loro suonano torna quasi intatta l' emozione di trovarsi alla fonte del rock. La voce di Plant è ancora quella, strana, intensa, appassionata. Jimmy Page insiste con maestria su una chitarra che ha fatto la storia. I suoi assoli su Bring it on home, su Heartbreaker, su Ramble on, ci riportano di colpo ai primi anni 70, a Led Zeppelin II. Ma il secondo spettacolo, quello a occhi aperti, ha inevitabilmente qualcosa di inquietante: nel teatrino i due sono vicinissimi al pubblico, si sente il loro respiro, si colgono, purtroppo, anche le rughe, i menti cadenti, le tinture, forse un velo di fondotinta. Il tutto accentuato da un ventilatore ai piedi dei musicisti che alza loro le chiome con un effetto impietoso. L' estetica trarrà vantaggio da un palasport, anche perché Plant ha ancora un corpo asciutto e sensuale come allora, e Page nasconde bene la pancetta dietro alla sua Gibson. Sull' effetto acustico del rock Led Zeppelin suonato in un piccolo club ci sarebbe da discutere. Anche perché è subito chiaro che i due scelgono roba dura, tiratissima, molto old fashioned. Al centro del concerto c' è un momento acustico durante il quale suonano seduti, ma per due ore scompaiono anche i loro noti interessi per la musica etnica e Page & Plant celebrano soprattutto il passato: Goin' to California, Tangerine, addirittura Babe I' m gonna leave you da Led Zeppelin I, fino al bis di Rock' n' roll. Scelgono anche di non eseguire i nuovi singoli (dal loro ultimo disco insieme ci sono solo Walking into clarksdale e Heart in my hand) e neanche i classici degli Zep. A fine serata, uscendo, pensiamo con rimpianto che le nostre orecchie oramai fracassate avrebbero fatto uno sforzo in più per accogliere Starway to heaven e Whole lotta love.
Jimmy Page, Plant e la voglia di rischiare
È uno di quei pochi individui per i quali è stato coniato il termine “Guitar God”, ma la persona che incontro in una stanza d’albergo è sicuramente umana. Sprizza energia ed entusiasmo per il nuovo progetto assieme al suo partner storico, Robert Plant. Ma non chiamateli Led Zeppelin…
L’album Walking into Clarksdale nel 1998 segna il ritorno all’essenziale dopo la fortunata digressione del progetto No Quarter: Jimmy Page & Robert Plant Unledded, segnata dalla contaminazione con elementi e musicisti nordafricani. Page e Plant hanno ritrovato la voglia di lavorare assieme dopo lo sbandamento seguito alla morte di John Bonham e le reciproche avventure e “tradimenti”.
Una delle coppie più creative del rock è di nuovo in contatto con la creatività e soprattutto ha voglia di salire sul palco: il frutto è un disco grezzo, immediato, in cui la produzione di Steve Albini ha valorizzato grandi suoni di chitarra immersi in un ambiente essenziale senza fronzoli. Per quanto Page ci tenga a separare il nuovo lavoro dal recente periodo Unledded, gli elementi etnici affiorano qua e là fra assolo taglienti e ballate intriganti. Non è un capolavoro all’altezza degli album prodotti vent’anni prima ma la personalità dei due artisti è ben presente.
Archiviati gli anni ottanta con la deludente esibizione del Live Aid e la festa di anniversario di Atlantic Records al Madison Square Garden, Page e Plant sfruttano il momento positivo per proiettarsi in avanti.
John Paul Jones, totalmente ignorato nei recenti progetti, non nutre sentimenti molto cordiali verso i due e i fan degli Zeppelin dovranno aspettare fino al 2007 per la vera reunion della band e un intero concerto alla O2 Arena con Jason Bonham alla batteria.
https://youtu.be/QTHXOW8XNKg
Incontriamo Page in un lussuoso hotel di Montecarlo mentre un folto numero di giornalisti assedia Robert Plant preoccupato per un fastidioso mal d’orecchio. Sono reduci dall’esibizione al Festival di Sanremo per la promozione del nuovo album, un playback finito con una sfumata prematura dell’audio che lascia il povero Plant nel mezzo di uno dei suoi epici roteare dell’asta.
Il chitarrista inglese è di buon umore e lo è ancor di più quando capisce che deve parlare di chitarra. L’argomento Sanremo serve a rompere il ghiaccio…
…è una situazione veramente bizzarra, Jeff Beck, che è un mio buon amico ha suonato li con gli Yardbirds prima che io mi unissi alla band…
Ho sentito raccontare un paio di aneddoti divertenti in proposito…
Già, me lo posso immaginare. Specialmente con il manager di allora, Giorgio Gomelski, che era veramente incredibile, un tipo straordinario. Era russo, e a quei tempi non avevi modo di conoscere molti russi in Inghilterra (ride)! Aveva una gran fantasia, ma con gli affari era terribile. Comunque, posso immaginare che ci siano delle storie su quel periodo, e dopo l’intervista mi piacerebbe ascoltarle. Anche Robert Plant era già venuto a Sanremo, quando ha fatto “Trees” o qualunque fosse il titolo esatto… “Palms”, forse… (ridacchia). A quanto pare hanno fatto partire il nastro della base senza preoccuparsi di chi era sul palco e i musicisti si sono dovuti precipitare a prendere gli strumenti. La cosa era…. beh, abbastanza organizzata ma in maniera un po’ folle all’apparenza.
Stavi per dire “all’italiana”?
Ma a me piace la gente latina! L’unica cosa che non mi è andata del tutto giù – voglio essere onesto con te – è stato il fatto di suonare in playback, anche perché ora siamo in grado di suonare quel pezzo meglio della versione sul disco.
Lo so. Non vogliono correre rischi in queste occasioni…
…e posso anche capire il perché. Tutto sul filo del rasoio, no? Certo, non vogliono correre rischi. Ma il pubblico è assai particolare!
Non esattamente quello che vi trovate davanti nei concerti.
Già, ma in prima fila c’era una donna bellissima… era straordinaria, veramente straordinaria (sottolinea abbondantemente il concetto con il tono della voce)… È stato bello proiettare la mia musica verso di lei (ridacchia). Probabilmente una modella.
WALKING INTO CLARKSDALE
Il singolo che avete presentato, “Most High”, era particolarmente inusuale musicalmente per un posto come Sanremo, ma è interessante, direi, proprio come scelta per rappresentare il disco…
Noi facciamo un disco, lo diamo alla casa discografica perché lo venda e loro scelgono il singolo che ritengono più adatto allo scopo. Credo che la scelta, in questo senso, sia stata la migliore. D’altronde l’unico pezzo che non potesse far pensare a un seguito alla nostra “stravaganza egiziana” (il disco precedente, No Quarter – Jimmy Page and Robert Plant Unledded, con relativo tour) era questo, l’unico privo di sapore musicale orientale, mentre il resto dell’album… È un album molto onesto, costruito sull’immediatezza e la performance, assolutamente non troppo “prodotto”, tutto il materiale può essere eseguito dal vivo senza problemi.
Direi che questo viene fuori molto chiaramente dall’ascolto.
Già, è questo il punto ed è il bello di questo album. Ora che siamo in tour, possiamo evitare tutti quei musicisti, le orchestre, cosa che andava benissimo all’epoca di No Quarter; sono molto orgoglioso di quanto abbiamo fatto con gli egiziani, ma ora ho la libertà di muovermi e di fare assoli quando mi pare, perché non c’è il rischio di mandare fuori tempo l’orchestra! In quel tour avevamo con noi un musicista che suonava la ghironda in “Gallows Pole” e poi passava alla concertina. Era molto bello avere questi strumenti sul palco, ma ora abbiamo deciso di limitarci a un tastierista che aggiunge quei pochi colori quando è necessario.
E GLI ZEPPELIN?
Molta gente è sempre lì ad aspettare un nuovo album…
Non c’è alcun nuovo Zeppelin: qualunque cosa sia, questo disco rappresenta ciò che io e Robert proponiamo di nuovo. E la nostra personalità è forte, ci puoi sentire e riconoscere anche quando suoniamo o cantiamo nei dischi di qualcun altro. Mettici assieme e ottieni una partnership molto interessante anche perché abbiamo fatto tante cose in passato.
Credo che la cosa più importante da considerare sia che i Led Zeppelin sono esistiti dal 1968 fino alla fine degli anni settanta, e ora ci stiamo avvicinando ad un nuovo millennio, il 2000 non è lontano. Ma la cosa più importante è che Robert ed io, l’uno a contatto dell’altro, possiamo ancora fare scintille! Questo è importante, che possiamo ancora scrivere, tirar fuori delle idee, ispirarci reciprocamente. Questo è molto bello. Se l’avessimo perso ora non saremmo qui. Ci sono molti musicisti là fuori in tante band che decisamente hanno perso questa capacità, non ci riescono più, non possono più fare quello che facciamo noi.
D’altrocanto posso capire chi ascolta vecchie registrazioni della fine degli anni sessanta come le BBC Sessions e scopre che erano e sono tuttora cosi toste e moderne…
Beh, ti dirò una cosa. Nei concerti che facciamo ora c’è “How Many More Times”. La facciamo oggi e non la suono diversamente da allora. Quando dico che è la stessa energia… non ne ho tanta come trent’anni fa, ma quella che ho la conservo per usarla sul palco.
Anche in Walking Into Clarksdale ci sono diverse cose che prenderanno in contropiede l’ascoltatore medio, spiazzandolo… non è il classico rock’n’roll…
Qualsiasi cosa… Quando ho scritto “Friends” ad esempio, nel primo album c’era un suonatore di tablas, perché mi interessavo a queste cose da prima degli Zeppelin, ovviamente. World music o comunque la si voglia chiamare. Altri tipi di influenze musicali e quando ho scritto “Friends” era tutto dentro la mia testa per quanto avevo fatto e ascoltato prima. Ero fresco da una grossa litigata con la mia ragazza del periodo, ho preso la chitarra con la voglia di sfogarmi ed ecco che è venuto fuori il pezzo! C’erano queste influenze che all’epoca erano più indiane, di Bombay, ma la vera origine era il litigio, una specie di esplosione., anche se non suona come un’esplosione. Ma è stata quella la forza, l’energia che mi ha fatto prendere la chitarra e suonare.
IL PRODUTTORE GIUSTO, GLI ERRORI, L’ORGOGLIO
Tornando al suono del disco, cosa mi dici della scelta di Steve Albini come produttore?
Abbiamo scelto Albini perché è un fonico che ha prodotto i Nirvana, Bush, varie altre band. Il bello di Albini è che è una specie di combinazione di me e Robert quando lavoriamo assieme: noi cambiamo, cambiamo la musica in continuazione. Probabilmente hai sentito dire di Bob Dylan, non so, poi, se sia vero o no, che continua a modificare le sue canzoni in studio fino all’ultima registrazione.
È quello che facciamo noi con la nostra musica. Steve Albini era qualcuno che, in certe circostanze, se ci lanciavamo in una jam e poi dopo entravamo in regia per ascoltarla, beh, eravamo già sicuri che il suono e l’energia sarebbero stati lì, sul nastro. I fonici di oggi, specialmente quelli che vengono dalle tastiere, non sanno neanche come microfonare correttamente un amplificatore, un sassofono o una batteria!
Albini è un grande esperto nell’arte di sfruttare i microfoni efficacemente, così da non equalizzarli affatto su nastro. Il segnale passa attraverso il banco flat, integro, proprio come dovrebbe essere. Lavora solo sul posizionamento e sulla scelta dei microfoni più adatti. Lui porta con sé i suoi.
Nel disco avete tenuto anche dei punti in cui…
…possono esserci degli errori? Oh, non importa! Non bado a queste cose… non importa se qualcosa suona sbagliato o che altro…
A dispetto del fatto che oggi ci vuole cosi poco con il computer per correggere anche una singolo nota…
Certo.
È un’esplicita scelta, dunque…
Certo! Di presentare le cose cosi come sono. La cosa più importante è che tutti si aspettavano da noi il seguito dell’esperienza con la musica nordafricana e anche un album prodotto in maniera piuttosto pesante con quel tipo di riff heavy che io posso metter giù in qualsiasi momento. È per questo che i Led Zeppelin anche nell’ultimo periodo erano comunque diversi da gruppi come Whitesnake, perché ogni volta tiravamo fuori qualcosa di inaspettato. Comunque sia, la cosa più importante alla fine della giornata è di prendersi la responsabilità del proprio lavoro, qualunque sia stato il risultato: non ho ancora fatto mai niente in tutta la mia carriera di cui poi mi sia dovuto vergognare e questo è bello. Sono orgoglioso, molto orgoglioso di quanto abbiamo fatto ora.
UNO O DUE MANICI?
Che tipo di amplificazione hai usato?
Un Fender ToneMaster per quasi tutte le registrazioni. Ho cambiato un paio di volte per ottenere qualcosa di un po’ più radicale, ma il Fender ToneMaster rimane per me l’ampli più versatile perché suona bene con qualsiasi strumento, sia con una Les Paul che una Stratocaster, mentre un ottimo ampli come il Matchless suona meglio con una Telecaster. Con il Fender puoi usare di tutto.
Hai usato la nuova Les Paul Jimmy Page Signature?
Oh, no. Ho usato quella vera! Perché usare le copie quando puoi sfruttare l’originale? (ride) Quella è la mia chitarra favorita, la mia amante… (allude alla ben nota Les Paul Standard “burst” del ’58 usata con i Led Zeppelin).
C’è il suono di una Fender in alcuni punti…
Sì, ho usato la Telecaster in “Walking Into Clarksdale”.
E la dodici corde che si sente in “Blue Train” e “Please Read The Letter”?
È la Gibson EDS-1275 doppio-manico… (ci pensa su) è buffo, sai, posso rivelarti una cosa? Non avevo mai usato la doppio-manico per registrare. Questa è la prima volta che la uso in studio, è un fatto interessante.
Che acustiche hai usato?
Una Yamaha. Ho sperimentato che le chitarre Yamaha sembrano essere le migliori per me.
“
E Ia stessa che usavi all’epoca degli Zeppelin?
Avevo una Yamaha molto, molto buona che mi fu rubata, credo sia stato in un aeroporto. Non ti dico quanto suonasse bene, aveva una voce enorme! E non era neanche uno strumento al top della linea prodotta nei primissimi anni settanta. Oh… (ripensa a ciò che ha appena detto…) ora tutti andranno in cerca di uno strumento di quel periodo, come succede sempre in questi casi, faresti meglio a cancellare questa domanda. Quella che ho usato sul disco è stata fatta per me in Giappone ed è anch’essa molto bella.
“
Non hai usato I’acustica a due manici che ti aveva costruito la Washburn poco tempo fa?
Ho usato l’Ovation doppio-manico. Quelli della Washburn hanno cercato di fare i furbi e a me non piace quel tipo di gente. Prima di loro c’era stata l’Ovation che mi aveva fatto avere questo strumento molto velocemente, prima delle registrazioni di Unledded. A un certo punto, la Washburn ha trovato il modo di sgattaiolare nel camerino in uno dei concerti, non ricordo quale, per chiedermi cosa pensavo del loro strumento. Io ho detto che la parte dodici-corde era molto ben fatta e così via. Allora hanno messo in piedi tutte queste storie sull’Ovation, sul fatto che non ne ero soddisfatto, devi averle lette. È stata un’azione molto meschina dire che avevo lasciato Ovation per i loro prodotti. Veramente meschina.
“
Hai usato effetti nel banco o solo i tuoi pedali?
Solo i miei vecchi pedali, l’overdrive, a parte un Whammy Pedal in “Clarksdale”. Sì, mi piace il Whammy Pedal.
“
Nessuna accordatura aperta?
Non ricordo… Oh, sì, “Most High” è in open tuning di DO. Simile a quella che uso per “Bron-Y-Aur”, ma non proprio identica. L’ho impostata sulla Transperformance Guitar, quella con i pulsanti, sai.
“
Stavo per nominarla…
La chitarra Transperformance è uno stupefacente frutto della tecnologia perché… e quando ne ho sentito parlare all’inizio mi sono sempre rifiutato di crederci, è in grado di accordarsi da sola e ha in memoria 210 tipi di accordature diverse! Ovviamente, non le uso tutte. Se ne selezioni una, standard-tuning, ad esempio, legge la frequenza generata dalle corde e le porta fino al pitch desiderato con un sistema di ingranaggi motorizzati. Vuoi un’accordatura di DO? Premi un bottone e tutto comincia a muoversi per poi bloccarsi automaticamente una volta raggiunta l’accordatura corretta.
“
Lavora dunque cambiando veramente la tensione delle corde…
“
Certo, può tirare la corda fino a quattro semi-toni in alto e allentarla fino a scendere di cinque. O forse è il contrario… comunque funziona perfettamente.
“
Ovviamente continui ad usarla nei concerti.
“
È chiaro. La sto usando proprio ora, nel tour. Ce ne sono altre in giro, ma molto poche. Joe Perry ne ha una… ma sembra che Joe Perry ed io continuiamo ad usare le stesse cose (ridacchia)…
“
E a proposito del Roland VG-8? La tua immagine appare nella loro pubblicità…
“
Il Roland VG-8 è fantastico, ha dei suoni veramente belli e in ogni caso il tracking, la quantità di ritardo tra la nota generata mettendo in vibrazione la corda e quella sintetica “triggerata” per mezzo del pick-up esafonico è molto buono. All’inizio le macchine guitar-synth della Roland suonavano bene, ma il tracking peggiorava progressivamente quanto più si andava verso le corde basse. Questo nuovo prodotto ha alcuni suoni interni notevoli, anche se non l’ho usato nel disco… anzi, ripensandoci, l’ho usato in un pezzo ma è un unico accordo in “Most High”. Solo un accordo quando arriva al bridge, anzi, due accordi, tutto qui. Ma credo sia ottimo per registrare in casa. Tanto di cappello alla Roland, hanno fatto un buon lavoro.
Per leggere l’intervista completa con gli esempi da suonare, acquista Chitarre n.147 in versione digitale scrivendo a info@chitarre.com.
https://www.musicoff.com/musica-e-cultura/interviste/jimmy-page-plant-e-la-voglia-di-rischiare/
Jimmy Page & Robert Plant
JIMMY PAGE AND ROBERT PLANT – No Quarter
L’album si apre con una ipnotica versione di “Nobody’s Fault But Mine”, riarrangiata su un tempo più lento, con ampio spazio lasciato al suono arcano della ghironda, che caratterizza in maniera importante il sound della canzone. Seguono a ruota due belle riletture di “Thank You” e “No Quarter”, con quest’ultima che viene spogliata di ogni sovrastruttura, fino a raggiungere il puro minimalismo. Bisogna aspettare “Friends” per ascoltare i primi arrangiamenti di archi e l’ensemble egiziano aggiunge davvero un tocco magico a questa grande composizione. Meno efficaci, invece, gli archi adagiati su “Since I’ve Been Loving You”, un grande blues che riesce a tradurre la fatica e il lamento tipiche del genere e che non trova particolari arricchimenti negli abbellimenti a tratti leziosi dell’orchestra.
Naturalmente non possono mancare gli episodi figli della tradizione folk dei Led Zeppelin, come “The Battle Of Evermore”, “That’s The Way” e, soprattutto, “Gallows Pole”, composizioni che già trovavano nella dimensione acustica il loro mondo ideale e che qui vengono semplicemente riportate alla luce tra l’entusiasmo del pubblico. Altalenante, invece, la qualità dei brani originali, composizioni anche coraggiose, che cercano la contaminazione con la world music, ma che spesso rimangono un po’ abbozzate, buoni spunti non sufficientemente sviluppati (non a caso, l’unica eccezione, a nostro parere, è “Wonderful One”, la composizione più classica tra le quattro proposte).
A chiudere la performance, invece, troviamo la leggendaria “Kashmir”, un brano già perfetto che sembra essere stato scritto proprio pensando a questa performance dal vivo: l’arrangiamento maestoso degli archi, l’ipnotico battere delle percussioni e una band in ottima forma regalano all’ascoltatore una delle più belle versioni di questa straordinaria composizione.
Nei giorni precedenti e quelli immediatamente successivi alla performance, una domanda rimbalza tra i fan e gli addetti al lavori. Cosa succederà ora? A nessuno è sfuggita l’assenza di John Paul Jones che, non solo non è stato invitato a partecipare allo show, ma non è stato nemmeno informato dai suoi ex compagni di questo parziale ritorno sulle scene. Un colpo basso che il bassista, comprensibilmente, fatica ad ingoiare e che può essere spiegato solo dall’esatta volontà di NON voler riesumare i Led Zeppelin. Per quello i tempi non sono ancora maturi e bisognerà aspettare ancora più di dieci anni perché il sogno di molti si concretizzi. Per il momento, questo estemporaneo progetto “Unledded” rimane una parentesi a sè stante, che riesce a guardare al passato senza abbandonare la volontà di sperimentare e trovare nuove fonti di ispirazione.
PAGE & PLANT: FUGA DAL ROCK
ROBERT Plant è simpatico, sornione, come sempre. Un vecchio monello del rock, mai del tutto addomesticato. Jimmy Page, ovvero Jimmy lo "Scuro" è invece più agitato, a disagio, si tocca la faccia continuamente come in preda a tic, e lancia risatine nervose. Vederli uno a fianco all' altro è un avvenimento, di quelli che sovvertono la routine del rock con pesanti brandelli di storia. Dopo quattordici anni di separazione sono a Milano a presentare il film-concerto (che poi dal 7 novembre sarà in vendita come disco) intitolato No quarter, e sottotitolato Unledded, meravigliosa, esplosiva riunione dei due pilastri principali della leggenda Led Zeppelin. Hanno aspettato tanto, spiegano Plant e Page, perché ci voleva del tempo. Doveva avvenire in modo naturale, potendo prendere le distanze dall' ingombrante fardello del mito, covare a lungo il desiderio di incontrarsi di nuovo. E così è successo. Il film, poco più di un' ora, realizzato come risposta alla richiesta di Mtv di registrare un concerto ' unplugged' , secondo la voga corrente, segue i due in concerto tra verdi e pietrosi paesaggi del Galles, nelle piazze di Marrakesh, in un teatro londinese, e fin dal primo fotogramma lascia respirare la tensione dei grandi eventi. Coinvolgendo musicisti rock, orchestre d' archi, musicisti marocchini ed egiziani, hanno rivisto il loro vecchio materiale, scrostando la rocciosa immobilità del mito, e ne hanno prodotto di nuovo. Poco hard rock, diluito e amalgamato con i riff ostinati e ipnotici delle percussioni arabe, tanto poco rock da deludere qualcuno. Ma alla domanda "perché così poco rock?" Plant ribatte perentorio: "Vai ad ascoltare i vecchi dischi dei Led Zeppelin". Page del resto, ammoniva già a suo tempo che a lui interessava il gioco delle luci e delle ombre, non necessariamente il monocolore del rock duro. Ma si sa, il luogo comune è durissimo a morire, e anche oggi i Led Zeppelin ne sono prigionieri. "Riunendoci" spiega Plant "avevamo perfettamente chiaro che doveva essere qualcosa di nuovo", e si concede perfino una stoccatina ai gruppi mummia come gli Stones: "Noi non abbiamo l' obbligo di ripeterci all' infinito...". E di nuovo si tratta. Anche i pezzi-icona del gruppo, come Battle of Evermore, No Quarter, Four Sticks sono trasformati radicalmente, portati in una zona indefinita dove la musica mediorientale si sposa perfettamente col rock o almeno con quello che ne resta. Una grande lezione. Non è vero del resto che fino dagli anni Sessanta il rock si è preoccupato di smentire qualsiasi verginità stilistica? Oggi spesso lo si dimentica, eppure era così e forse questa è la vera vocazione del rock. Per quanto riguarda Page e Plant sembra che solo adesso, abbiano potuto svolgere fino alle estreme conseguenze i loro desideri potenziali. In Battle of Evermore, la cantante Najma Akhtar sposta il tema celtico verso orizzonti diversi. In Kashmir, apoteosi finale del film, il misterioso ed intelligente tema originale esplode in una fantasmagoria di strumenti arabi. Lo stesso Plant, sembra sempre più attratto dalla vocalità extraoccidentale, come conferma lui stesso in conferenza stampa. "L' importante" sottolinea Page, "era andare avanti. Io ho una grande passione per le cose realizzate con i Led Zeppelin, ma questo è quello che siamo oggi". E a proposito di gruppo, immancabilmente qualcuno chiede perché non abbiano coinvolto anche il bassista John Paul Jones, e i due hanno risposto con disarmante candore. "Non c' era il tempo. Il nostro incontro è stato veloce, diretto, sincero. In tre sarebbe stato più complicato, e poi sarebbe stato subito leggenda, che è quello che non volevamo". Effettivamente nel film si respira pienamente questa ansia di liberarsi del mito, come ironicamente sottolinea il titolo Unledded, di spaziare liberamente su una serie di scintille di energia ritrovata miracolosamente dopo tanto tempo. E' emozionante vedere i due in una piazza di Marrakesh insieme ad un' orchestra locale, divertire e coinvolgere il pubblico marocchino, in questa rilettura che ha portato anche alla composizione di pezzi nuovi, quattro dei quali saranno inclusi nel disco, e tre sono già presenti nel filmato. Per gli altri si vedrà in futuro. "Abbiamo solo aperto uno spiraglio" ha detto l' ombroso Page "ma è una porta che potremmo aprire completamente". Intanto sono ancora lì, due veri "working class heroes" provenienti da ambienti modesti e incolti della Inghilterra anni Sessanta, e diventati in pochi mesi, ancora giovanissimi, padroni del mondo, come accadde anche a Beatles e Rolling Stones, e oggi disposti a ricominciare daccapo, a sentirsi nuovi. E la cosa incredibile è che ci sono riusciti.
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