Led Zeppelin: Robert Plant ha sognato il compianto John Bonham
NOTIZIE ROCK
ROBERT PLANT PENSÒ DI DIRE ADDIO ALLA MUSICA PER FARE L'INSEGNANTE: "VOLEVO LIBERARMI DI TUTTO. LA CELEBRITÀ NON SIGNIFICAVA NULLA PER ME"
Il frontman dei Led Zeppelin ha raccontato il difficile momento dopo la morte del figlio Karac e la scomparsa di John Bonham
Robert Plant , il cantante dei Led Zeppelin e simbolo della figura sovrumana della rockstar tipica degli anni 70 ha raccontato un retroscena molto personale sul momento più difficile e drammatico della sua vita, la tragica morte di suo figlio Karac nel 1977 . Robert Plant era in America con i Led Zeppelin per una data al Louisiana Superdome di New Orleans ed è volato a casa per stare con la sua famiglia, cancellando quello che sarà l'ultimo tour della band in America (l'ultimo concerto è quello del 24 luglio a Oakland). “ Non è stato facile considerando l'isteria che c'era intorno alle rock band negli anni 70 ” ha detto Robert Plant, “ Non desideravo altro che tornare ad una vita normale”. Il rapporto con la moglie Maureen Wilson è forte anche l'amicizia con il batterista John Bonham : “ John e sua moglie Pat ci hanno aiutato moltissimo a superare il momento ”. I Led Zeppelin tornano in studio a Stoccolma in Svezia nel novembre 1978 per registrare l'album In Through the Out Door , che esce nell'agosto 1979 e arriva al numero uno in America e in Inghilterra.
https://youtu.be/dSEClIembvU
Nell'agosto 1979 la band fa due concerti a Copenhagen poi due serate leggendarie a Knebworth e un breve tour europeo ma mentre si prepara a tornare in America, il 25 settembre durante le prove a Old Mill House, la casa di Jimmy Page a Windsor, John Bonham muore per intossicazione da alcol. Un secondo colpo durissimo per Robert Plant, che dopo l'uscita di CODA, una raccolta di inediti e outtakes, decide di sciogliere i Led Zeppelin.
“ Il caos e la vanità della vita da celebrità non significavano più niente per me ” ha detto, “ Volevo fare qualcosa di più onesto e importante, e volevo mettere via l'ego e nasconderlo in un armadio. Tutti gli artisti e gli intrattenitori sono persone insicure, cercano la gloria per compensare la loro debolezza. Volevo liberarmi da tutto .”
Robert Plant pensa di mollare la musica e diventare un professore : “ Ci ho pensato seriamente e ancora oggi mi piace l'idea. Ogni tanto sono andato con Alison Krauss a prendere suo figlio Sam a scuola e mi ha affascinato sentire il rumore e le grida di gioia dei ragazzi in classe ”. Robert Plant è un grande appassionato di storia e letteratura britannica , che ha usato come riferimento in molte canzoni dei Led Zeppelin, dalla mitologia vichinga in Immigrant Song ai libri di JRR Tolkien in Ramble On , e non ha dubbi sulle materie che vorrebbe insegnare: “Ho cinque nipoti e tutti si meravigliano della mia follia, adoro raccontare grandi storie del passato. Battaglie, guerrieri, tradizioni: sono capace di mandare a dormire tutti in due secondi durante un viaggio sul tour bus ”.
https://youtu.be/RlNhD0oS5pk
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https://www.virginradio.it/news/rock-news/1300271/robert-plant-trova-una-lettera-della-madre-del-67-se-l-avessi-aperta-forse-avrei-lasciato-la-musica-ora-sarei-un-signore-qualsiasi.html
ROCK NEWS
ROBERT PLANT TROVA UNA LETTERA DELLA MADRE DEL '67: "SE L'AVESSI APERTA FORSE AVREI LASCIATO LA MUSICA, ORA SAREI UN SIGNORE QUALSIASI"
La voce dei Led Zeppelin durante il lockdown ha ritrovato un sacco di vecchi ricordi: "avrei potuto non continuare con la musica se avessi aperto quella lettera"
La storia del rock poteva essere scritta in modo diverso, se Robert Plant, il cantante dei Led Zeppelin avesse letto una lettera che sua madre gli ha scritto nel 1967. È una rivelazione fatta da Plant durante un’intervista con la rivista Rolling Stone USA per presentare l’album Raise the Roof, la sua seconda collaborazione con Alison Krauss, uscito il 19 novembre.
Durante il lockdown, Plant ha raccontato di aver messo mano al suo archivio personale, ritrovando lettere, appunti e note della sua lunga carriera, iniziata nella scena blues delle Midlands, poi nei Band of Joy insieme a John Bonham e infine con Jimmy Page nei New Yardbirds, che nel 1968 cambiano nome in Led Zeppelin e il 12 gennaio 1969 debuttano con un devastante primo album omonimo. «Tra le tante cose ho ritrovato una lettera che mi madre mi ha spedito nel 1967 ma che non avevo mai aperto».
La madre, Annie Celia Plant, gli parla della sua decisione di lasciare casa a 16 anni, la carriera scolastica e un posto da contabile trovato dal padre Robert C.Plant, ingegnere che lavora per la Royal Air Force, per seguire la sua passione per la musica. «Nella lettera c’era scritto: “Robert, dovresti tornare a casa. Sue ti sta aspettando e nello studio di contabili sarebbero felici di riaverti”. È incredibile, non so perché non l’ho aperta, in fondo era una lettera di mia madre! Se l’avessi fatto forse sarei tornato indietro e adesso sarei un signore qualsiasi che se ne va a caccia nelle campagne lungo il confine del Galles».
Robert Plant è tornato anche per l’ennesima volta sul tema della reunion dei Led Zeppelin dopo il leggendario concerto del 2007: «Al tempo era giusto fare un concerto perché c’era una giusta ragione: lanciare una fondazione benefica per gli studenti dedicata al fondatore della Atlantic Records, Ahmet Ertegun. Ma non abbiamo mai nemmeno parlato di fare un tour dei Led Zeppelin». Robert Plant ha invece annunciato un tour con Alison Krauss negli Stati Uniti a partire dal 1 giugno 2022. Il 26 giugno Robert Plant e Alison Krauss arriveranno a Londra ad Hyde Park e poi partiranno per un tour in Europa dal 1 luglio in Norvegia al 20 luglio a Berlino, con una data in Italia a Lucca il 14 luglio.
https://youtu.be/zPcv4k2ZgOw
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https://www.virginradio.it/news/rock-news/1291615/robert-plant-durante-il-lockdown-ho-sognato-john-bonham-e-mio-figlio-karak-morto-nel-1977-a-soli-cinque-anni.html
NOTIZIE ROCK
ROBERT PLANT: "DURANTE IL LOCKDOWN HO SOGNATO JOHN BONHAM E MIO FIGLIO KARAK MORTO NEL 1977 A SOLI CINQUE ANNI"
Il leder dei Led Zeppelin: "Questi sogni sono magnifici momenti di grande conforto"
Robert Plant ha raccontato nel suo podcast Digging Deep la sua vita durante il lockdown e ha spiegato come la vita in isolamento e le misure restrittive a cui tutti siamo stati sottoposti negli ultimi due anni hanno portato le persone a fare sogni sempre più inusuali . A volte sono strani, a volte come ha detto lui stesso sono: « Magnifici momenti di grande conforto ».
Il cantante dei Led Zeppelin ha raccontato di aver sognato « Paesaggi meravigliosi in cui mi ritrovavo con la mia famiglia, mio padre e mio figlio che è mancato quando aveva solo cinque anni e anche i miei più cari amici ». Tra questi, Plant ha raccontato di aver sognato spesso John “Bonzo” Bonham , il batterista dei Led Zeppelin, originario come lui di West Bromwich nella Black Country e con cui ha suonato dal 1965, prima nella band blues The Crawling King Snakes e poi nel 1967 nei Band of Joy . È stato Robert Plant a volere John Bonham nei Led Zeppelin , era legatissimo a lui e dopo la sua morte il 24 settembre 1980 è stato il più determinato nel volerelo scioglimento della banda . Adesso, il suo amico Bonham è tornato a trovarlo in sogno.
Robert Plant ha anche spiegato il motivo per cui probabilmente ha fatto questo tipo di sogni: « Sono sempre stato in movimento e con il pensiero rivolto alla prossima esperienza. Avevo un'energia che con il passar degli anni ho dovuto imparare a gestire, a manovrare, fino a metterla in un angolo » ha detto, « Quindi a quanto pare oggi quando dormo questa energia si risveglia e mi riporta indietro in quei luoghi splendidi » .
Anche nel mondo reale Robert Plant ha raccontato che il lockdown è stata un'occasione per ritrovare dei vecchi amici e stringere nuovi legami : « Il mio vicino di casa suonava con me e Bonzo negli anni '60, siamo parte di una vecchia banda di amici . E poi c'è la famiglia di contadini a cui apparteneva la mia casa, abita dall'altro lato della strada e siamo diventati amici ». In generale, Robert Plant ha detto che passare il tempo a casa con la famiglia invece di essere sempre in viaggio è stata: « Una rivelazione, il vero sogno di questo periodo ».
https://youtu.be/doiH0NZmNAY
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https://stonemusic.it/55654/robert-plant-e-i-sogni-su-john-bonham-durante-il-lockdown/
Robert Plant e i sogni su John Bonham durante il lockdown
Nel 1980, la scomparsa dello storico batterista dei Led Zeppelin ha calato il sipario su un'era e forse non è casuale che il suo fantasma abbia fatto visita ai sogni di Robert Plant durante la difficile chiusura pandemica. Scopriamo come ne ha parlato il cantante nel suo podcast.
È vero, la parola lockdown fa rabbrividire dopo un anno di emergenza sanitaria. Ma in questo caso a pronunciarla è Robert Plant, che recentemente ha risvegliato memorie e fantasmi nel suo podcast Digging Deep, già all’episodio finale della sua quarta stagione. E non è un caso che il titolo sia Life Begin Again, date le riflessioni del cantante che, accanto al co-presentatore e conduttore radiofonico Matt Everitt, ha fatto luce su momenti peculiari tra passato recente e lontano. La chiusura domestica, infatti, e l’allontanamento dall’energica vita sociale della rockstar, lo ha reso spettatore di sogni notturni inusuali.
https://youtu.be/doiH0NZmNAY
In questi gli ha fatto visita il vecchio compagno di avventure John Bonham, vulcanico batterista la cui scomparsa ha messo un punto sulla carriera dei Led Zeppelin, decretandone la fine emotiva e professionale. Tuttavia il cantante ha dichiarato di aver visto nei suoi sogni anche il padre e il figlio Karac, morto a soli 5 anni a causa di un virus intestinale. Il tragico evento, avvenuto nel 1977, ha avuto luogo mentre i Led Zeppelin erano impegnati sul palco di New Orleans ed è stata la moglie di Plant, Maureen Clave, ad avvertirlo del malore del bambino. Dalle ceneri di quel momento distruttivo, Plant ha coniato uno dei capolavori degli Zeppelin: All My Love.
Ancora oggi tra le canzoni più celebri e amate della band, la traccia di IN THROUGH THE DOOR (1979), porta con sé una poesia di dolore e amore immortale. Così come i sentimenti che legano Plant a Bonham. Cosicché rivederlo in sogno è stato un momento piacevole per il cantante:
Ho sognato di essere tornato con vecchi amici come John Bonham, come mio padre, mio figlio che se n'è andato quando aveva cinque anni. E sono stati magnifici momenti di grande sollievo.
https://youtu.be/cdERUjC0rYw
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https://www.virginradio.it/news/rock-news/1264201/robert-plant-avrebbe-potuto-smettere-di-cantare-per-diventare-un-insegnante-ecco-perche.html
ROBERT PLANT AVREBBE POTUTO SMETTERE DI CANTARE PER DIVENTARE UN INSEGNANTE. ECCO PERCHÉ
Tra vicende personali e motivi di salute il leggendario frontman dei Led Zeppelin avrebbe potuto anche perdere la voce
Robert Plant, una delle voci più simboliche, potenti e riconoscibili di tutta la storia del rock. Un frontman leggendario che con le sue movenze sul palco con i Led Zeppelin e le sue espressioni vocali ha contribuito a creare un vero e proprio modello da emulare per tutte le generazioni future. Ma alcune vicende personali e di salute avrebbero potuto minare la longeva e bellissima carriera di uno degli artisti più prolifici e sperimentatori degli ultimi 50 anni.
C'è stato però un momento in cui il leggendario frontman prese seriamente in considerazione l'idea di lasciare la musica alle spalle e studiare per diventare un insegnante. Accadde nel 1977 quando suo figlio Karac morì all'età di cinque anni. Come disse in un'intervista rilasciata a Louder: "pensai alla mia vita di quel momento, e al fatto che probabilmente avessi dovuto mettere molto più del mio impegno nella vita delle persone che amavo e di cui avrei dovuto prendermi cura, di mia figlia e della mia famiglia in generale. Quindi sì, ero pronto a prenderla in mano". In un'altra intervista rilasciata successivamente a Rolling Stone dichiarò: "Persi il mio ragazzo. Non volevo più far parte dei Led Zeppelin. Volevo solo stare con la mia famiglia."
In quell'intervista Plant dichiarò che dolo una persona riuscì a convincerlo a restare nel mondo della musica e nei Led Zeppelin: il suo migliore amico John Bonham.
Quell'episodio del 1977 non fu l'unico che rischiò di allontanare Plant dalla musica e dai palchi più prestigiosi di tutto il mondo.
A metà degli anni '70 Plant si sottopose ad un intervento di rimozione di alcuni noduli alle corde vocali, pratica molto comune tra le grandi voci di quell'epoca. Questa operazione potrebbe porre fine alla carriera di un artista ma, come abbiamo avuto la fortuna di sentire con gli album successivi registrati dal frontman dopo l'operazione, le cose andarono tutto sommato bene. Fino agli anni '90 quando un medico, dopo una visita specialistica, disse a Plant che nel giro di pochi mesi avrebbe perso la capacità di cantare e probabilmente quella di parlare. Per fortuna si sbagliò ma tra il 1990 e il 1992 la carriera del cantante ebbe una breve pausa che gli servì a riposare le corde vocali e imparare nuove tecniche.
https://youtu.be/ZUkSGT_4xUo
https://youtu.be/ZUkSGT_4xUo
Dal 1993 la sua carriera risorse e dal 1994, dopo la reunion con Jimmy Page, la sua voce ebbe una vera e propria seconda vita, ritrovando addirittura la capacità e possibilità di rimettere mano alle leggendarie canzoni dei Led Zeppelin.
https://youtu.be/PGnZm8Qvndg
https://www.virginradio.it/news/rock-news/1264201/robert-plant-avrebbe-potuto-smettere-di-cantare-per-diventare-un-insegnante-ecco-perche.html
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Robert Plant , una delle voci più simboliche, potenti e riconoscibili di tutta la storia del rock. Un frontman leggendario che con le sue movenze sul palco con i Led Zeppelin e le sue espressioni vocali ha contribuito a creare un vero e proprio modello da emulare per tutte le generazioni future. Ma alcune vicende personali e di salute avrebbero potuto minare la longeva e bellissima carriera di uno degli artisti più prolifici e sperimentatori degli ultimi 50 anni.
C'è stato però un momento in cui il leggendario frontman prese seriamente in considerazione l'idea di lasciare la musica alle spalle e studiare per diventare un insegnante. Accadde nel 1977 quando suo figlio Karac morì all'età di cinque anni. Come disse in un'intervista rilasciata a Louder: " pensai alla mia vita di quel momento, e al fatto che probabilmente avrei dovuto mettere molto più del mio impegno nella vita delle persone che amavo e di cui avrei dovuto prendermi cura, di mia figlia e della mia famiglia in generale. Quindi sì, ero pronto a prenderla in mano ". In un'altra intervista rilasciata successivamente a Rolling Stone dichiarò: " Persi il mio ragazzo. Non volevo più far parte dei Led Zeppelin. Volevo solo stare con la mia famiglia. "
In quell'intervista Plant dichiarò che dolo una persona riuscì a convincerlo a restare nel mondo della musica e nei Led Zeppelin: il suo migliore amico John Bonham .
Quell'episodio del 1977 non fu l'unico che rischiò di allontanare Plant dalla musica e dai palchi più prestigiosi di tutto il mondo.
A metà degli anni '70 Plant si sottopone ad un intervento di rimozione di alcuni noduli alle corde vocali, pratica molto comune tra le grandi voci di quell'epoca. Questa operazione potrebbe porre fine alla carriera di un artista ma, come abbiamo avuto la fortuna di sentire con gli album successivi registrati dal frontman dopo l'operazione, le cose andarono tutto sommato bene. Fino agli anni '90 quando un medico, dopo una visita specialistica, disse a Plant che nel giro di pochi mesi avrebbe perso la capacità di cantare e probabilmente quella di parlare. Per fortuna si sbagliò ma tra il 1990 e il 1992 la carriera del cantante ebbe una breve pausa che gli servì a riposare le corde vocali e imparare nuove tecniche.
https://youtu.be/ZUkSGT_4xUo
Dal 1993 la sua carriera risorse e dal 1994, dopo la reunion con Jimmy Page , la sua voce ebbe una vera e propria seconda vita, ritrovando addirittura la capacità e possibilità di rimettere mano alle leggendarie canzoni dei Led Zeppelin.
https://youtu.be/PGnZm8Qvndg
ROBERT PLANT AVREBBE POTUTO SMETTERE DI CANTARE PER DIVENTARE UN INSEGNANTE. ECCO PERCHÉ
Tra vicende personali e motivi di salute il leggendario frontman dei Led Zeppelin avrebbe potuto anche perdere la voce
Robert Plant: «Gli anni ’70 sono stati grandi, ma dovevo lasciarmi gli Zeppelin alle spalle»
In questa intervista, il rocker fa una cosa rara per lui: riconsidera il passato. Racconta com'è nata la carriera solista, spiega la vera storia del «dio dorato» di 'Almost Famous', ricorda John Bonham
A inizio anno Robert Plant era negli Stati Uniti. Si preparava a entrare in studio di registrazione e a fare un nuovo tour. L’idea era tenere un po’ di piccoli concerti con i Saving Grace, il gruppo che fa, così dice lui, «folk-rock psichedelico portato sui Monti Appalachi». Il tour previsto in maggio è stato rimandato a ottobre e poi indefinitamente. «Pensavamo, chissà, magari questa pandemia passerà velocemente, ma era un’illusione. E così ogni impegno è stato posticipato, spostato, fermato, sospeso».
Il cantante ne ha approfittato per leggere, ma non per scrivere musica. «Con tutto quel che sta succedendo nel mondo non riesco proprio a scrivere, per lo meno canzoni. È come se la portata degli eventi fosse troppo vasta e la canzone popolare fosse un mondo a parte. Non siamo mai stati così sotto attacco, per lo meno dai tempi dell’influenza spagnola».
Al posto di pubblicare nuova musica, Robert Plant ha fatto una cosa inusuale per lui: si è guardato indietro. È cominciato tutto l’anno scorso quando ha raccontato storie dietro le sue canzoni nel podcast Digging Deep. Ora ha messo assieme una doppia antologia di materiale post Zeppelin intitolata Digging Deep: Subterranea, comprendente tre inediti. Le canzoni non sono raccolte in ordine cronologico e sentirle una dopo l’altra mostra il filo rosso che lega le musiche soliste di Plant dal 1982 in poi.
Plant è uno che non sta mai fermo e passa da un’avventura musicale all’altra. È quindi curioso che per una volta abbia voluto fermarsi e guardasi alle spalle. «Quando riascolto questi pezzi mi viene da pensare: ma il tizio che canta s’è mai preso una pausa?», dice scherzando. «È mai andato in vacanza? Che diavolo stava facendo? Perché a un certo punto non ha chiuso il becco e si è messo a studiare qualcosa di nuovo, chessò, matematica applicata o astronomia? Ma Digging Deep scorre che è un piacere. Sembra l’opera di un artista sicuro di sé, che tanto sicuro però non è mai stato. Ho solo cercato di scompigliare le carte per vedere che cosa sarebbe successo. Nessuno di questi pezzi è all’altezza di Masters of War di Bob Dylan o canzoni di quel genere. Sono fotografie del momento in cui sono nate in una sala prove al confine gallese».
È sabato sera in Inghilterra e Plant concede un’ora di conversazione a Rolling Stone, finché non comincia in tv la partita della sua squadra di calcio. A 72 anni d’età, è incline a lunghe riflessioni sulla sua storia. «C’è molta incertezza, ma anche spirito di squadra», dice della situazione nel Regno Unito. «Nessuno ha il libro delle regole, per lo meno non da quando gli Heptons l’hanno registrato nel 1973», aggiunge riferendosi alla canzone Book of Rules.
A che cosa ti sei aggrappato per andare avanti durante il lockdown?
Ho una famiglia e amici vicini e lontani, conosco i miei vicini da una vita, c’è aria di cameratismo, c’è dell’ottimismo. Siamo una comunità coscienziosa e ci prendiamo cura di chi non è forte quanto noi. C’è una consapevolezza che mi fa sentire bene. E canto. Ne ho bisogno. Non sono tutte canzoni di Elvis, di quei tempi non puoi suonare granché al pub. Ho fatto qualcosa con altri cantanti, distanziati. È stato bello. Non c’è niente di frivolo in questa faccenda.
Non potendo andare in tour hai pubblicato Digging Deep. La tua musica solista era decisamente differente da quella dei Led Zeppelin. Come pensavi di andare avanti dopo la fine della band?
Avevo 32 anni. All’epoca, i media erano convinti che a quell’età uno dovesse farsi da parte. E ovviamente gli Zep erano più grandi dei suoi quattro membri. Era difficile vedere le cose per come stavano e cioè che dopo un po’ sviluppi una forma di dipendenza e quando molli tutto nella testa avviene un cambiamento di tipo chimico. Per venire alla tua domanda, potevo fare qualunque cosa. Dovevo far partire un qualche progetto e cambiare di continuo per non sentirmi istituzionalizzato.
Sapevo che stavo dicendo addio agli anni ’70. Succedevano grandi cose in quel decennio. Mi hanno dato dolore e piacere in grandi quantità, ma dovevo guardare avanti.
https://youtu.be/FxSsol3Zd7k
n che misura il sound dei tuoi primi lavori era influenzato dai tuoi collaboratori?
È successo nei primi due, due album e mezzo, forse fino a Shaken ’n’ Stirred, quando abbiamo cominciato a cambiare le cose. Richie Hayward [dei Little Feat] è entrato nel gruppo dopo la morte di Lowell George, io sono andato con Ahmet Ertegun a New York e ho messo in piedi gli Honeydrippers con altra gente. Per me era tutto un grande caleidoscopio musicale a cui tutti questi grandi musicisti contribuivano. Per 11 anni avevo avuto un’incredibile relazione con solo quattro persone, non sapevo come avere ha che fare con i musicisti se non in quel modo. Avevo fatto parte di una società segreta e protetta, non sapevo nulla di come si tratta con tanti musicisti.
Sono sempre riuscito a stringere buoni rapporti coi musicisti e per questo motivo trovavo particolarmente stimolante continuare a cambiarli. La gente entrava nella band, usciva, altri musicisti arrivavano, qualcuno tornava. Il turnover è diventato sempre più veloce. Significa che ci si trova a lavorare a un progetto sapendo di non avere prospettive nel lungo periodo. A volte vengono fuori grandi cose.
Big Log è uno dei tuoi primi successo solisti. Hai detto quando l’ha scritto volevi che fosse potente, ma non pesante. Perché?
Quella canzone metta assieme intensità e bellezza. Volevo allontanarmi dalla musica che avevo fatto in passato. Era un’idea ridicola quella di scappare da qualcosa che era stato così importante negli anni ’70 e trovarsi nel 1982 a pensare che, ok, non sono esattamente Andy Williams, però…
Ce ne ho messo di tempo per arrivare al risultato, ho messo sottosopra la mia musica. E sono arrivato a porre le fondamenta della musica, anche se all’epoca non sembrava, arrivando fino a qui, fino all’ultimo concerto che ho fatto l’anno scorso con gli Space Shifters all’Hardly Strictly Bluegrass di San Francisco. È stato un viaggio vario e intenso, ma a volte è stato una merda.
Le canzoni non sono esposte in ordine cronologico nell’antologia, ma credo ci sia un filo conduttore, al di là della tua voce. È così anche per te?
C’è tanta energia. All’epoca mi piaceva qualunque novità, come la rivoluzione techno degli anni ’80 a cui ora guardiamo con orrore. O forse no, forse pensiamo: che diavolo stavi facendo, Robert? La risposta è: facevo musica con entusiasmo e in modo chiassoso. Era divertente. Qualcosa però ha funzionato. È una fase che per molto tempo mi ha imbarazzato. Specialmente quando è arrivato il 1993 e Fate of Nations, che è stato il disco della svolta per me. È che all’epoca non hai prospettiva, ti butti in qualunque novità.
https://youtu.be/VlkTI45Q670
Dreamland del 2002 rappresenta un’altra svolta. In quel disco cantavi pezzi come Song to the Siren di Tim Buckley e Darkness Darkness degli Youngbloods con grande profondità e usando uno spettro di musiche più ampio. Che cosa era successo?
Dalla metà alla fine degli anni ’90 ero stato in tour con Unledded e poi Walking into Clarksdale con Jimmy Page. Avevo capito che la musica potente, o derivante da essa, aveva fatto il suo corso, almeno per me. Cercavo un modo per uscirne. Facevo cover con un piccolo gruppo chiamato Priory of Brion che era un modo per non finire a suonare in una zona industriale tedesca di fronte a 15 mila persone che aspettavano Godot. Il mio manager mi disse che da quella roba nonavrebbe ricavato nemmeno una sterlina di commissioni. E io: benissimo, perché suoniamo per 200 persone a sera.
Quando sono nati gli Strange Sensation, Charlie Jones mi ha presentato Clive Deamer, che aveva lavorato con Roni Size e su Dummy dei Portishead. Volevo introdurre nella mia musica quel modo nuovo di fare i beat. Il modo di suonare la batteria [di Deamer] è stato fondamentale. Volevo rifare canzoni che amavo. La voce e le canzoni di Jesse Colin Young [degli Youngbloods] non erano solo inni per noialtri negli anni ’60, ma riuscivano ad essere brevi e significative. Ecco come mi è venuta l’idea di fare Darkness Darkness. In quanto a Tim Buckley, i This Mortal Coil che incidevano per la 4AD come i Cocteau Twins aveva rifatto la sua Song to the Siren in modo davvero evocativo.
Prima di allora non sarei stato in grado di fare cose del genere perché non c’entravano nulla col clima musicale e con i musicisti che m’accompagnavano. Mi ha dato modo di ripartire riconciliandomi con la musica da trip che amavo alla fine degli anni ’60 e rifarla con musicisti post trip hop inglesi, che erano davvero unici. Gli Strange Sensation sono in sostanza gli Space Shifters, a parte un paio di musicisti che se ne sono andati. La flessibilità nel loro modo di suonare ci ha dato modo di tradurre, di rivisitare quella musica.
Ogni tanto metti nei testi riferimenti ai Led Zeppelin. Canti di “dancing days” in Dance With You Tonight. E usi la frase “sing in celebration” e “the accident remains the same” in Great Spirit. Hai persino scritto per il tuo ultimo album un pezzo titolato The May Queen, che rimanda a Stairway to Heaven. Sono riferimenti voluti al passato?
Assolutamente sì. Ma la May Queen (la reginetta di calendimaggio, ndr) è sempre stata importante nella storia, nell’arte, nel folclore. Forse la citazione migliore sta in Charlie Patton Highway: “This car goes ’round in circles, the road remains the same”.
Ho notato.
Furbo bastardo. Ho pensato che fosse divertente, oltre a descrivere una scena vera. Il giorno in cui ho scritto la canzone ero a Como, Mississippi. Stavo andando a Clarksdale e mi sembrava che la strada girasse in circolo. Ero da solo e ascoltavo Patton alla radio.
Mi piacciono le citazioni. Mi piace l’idea di continuità. O forse non continuità, ma riferimenti a un’altra epoca. Ce ne sono tanti sparsi nei dischi.
La nuova New World mi sembra quasi un aggiornamento di Immigrant Song. La vedi anche tu così?
In un certo senso sì. Page e io abbiamo scritto Immigrant Song dopo un concerto in Islanda. Viene dall’interesse che provo fin da ragazzo per le invasioni che hanno interessato quelle isole, per le tribù e le culture che si sono avvicendate. Tutta l’Inghilterra settentrionale era una provincia vichinga. L’ultimo re danese ha lasciato l’Isola di Man, a nord-ovest di Liverpool, nel 1400-e-qualcosa.
Ho scritto New World dopo un viaggio nel South Dakota dove ho incontrato uno scrittore chiamato Kent Nerburn. È autore di una trilogia, il cui primo libro è titolato Neither Wolf Nor Dog. È roba che ti tiene inchiodato alla sedia. Parla di nativi americani e cultura anglosassone. Ho frequentato a lungo gli Stati Uniti, pensavo di essermi fatto un’idea della loro complessità, ma in ogni Stato ci sono centri urbani e rurali dove vive gente proveniente da ogni parte del pianeta. Ho cominciato a vedere posti come il Nord e il Sud Dakota e il Wyoming con occhi diversi quando ci ho passato un paio d’anni, specialmente quando non ero in tour, gravitando attorno a Austin. Sono diventato più consapevole della realtà di quei luoghi.
https://youtu.be/rHSRC7e1-Fg
Che musica stai ascoltando?
Non ho un buon rapport con la radio inglese. Non voglio dire che la radio sia sparita, ma è diventata obsoleta, o quasi. A New Orleans ci sono un paio di ottime stazioni radio, ti scarichi la app e senti tutti i colori della Louisiana nella musica. Continuo ad ascoltare i Low Anthem, mi piacciono i pezzi con melodie forti. Sento quel che gira. Non molto tempo fa ero a Nashville e ho sentito molti nuovi cantanti e autori. Ascolto musica vecchia e nuova. L’ultimo di Dylan è pieno di cose belle e il pezzo che lo apre mi ha steso. È fantastico. È un epitaffio e un battesimo allo stesso tempo. Davvero forte.
So che durante la pandemia hai passato del tempo con Tony Iommi dei Black Sabbath, anche se non so se avete registrato qualcosa assieme. Avete messo all’asta una chitarra e posato per una foto, con le mascherine. Com’è stato rivederlo?
Ci siamo incrociati all’aeroporto di Nashville in gennaio o febbraio. Un tizio ci ha visti mentre aspettavamo il volo per l’Inghilterra e ha detto: “Grandi, vi siete riformati”. Forse pensava che si fossero riformati i Led Zeppelin o i Black Sabbath o una cosa come quando il tipo dei Guns N’ Moses è andato in tour con gli AC/DC. La cosa mi ha divertito e ho detto a Tony: tu potresti suonare Kashmir e io cantare Paranoid. Alla fine abbiamo fatto un evento di beneficienza assieme.
Lui è molto serio su questa cosa: sa che deve la vita a chi lavora in un ospedale vicino a casa sua, perciò partecipa a molte iniziative di beneficenza. Anch’io faccio qualcosa con il Servizio sanitario nazionale della zona dove vivo, mi ha sorpreso la mancanza di mezzi. Nel Regno Unito c’è un grande sentimento di riconoscenza verso il Servizio sanitario nazionale e i lavoratori della salute che hanno oprato senza protezioni adeguate in condizioni pericolose. Ecco perché abbiamo fatto l’asta. E Tony è un brav’uomo. Credo che ce l’abbia fatta.
Credo che ce l’abbia fatta.
Di recente abbiamo intervistato Cameron Crowe per i 20 anni di Quasi famosi, e ci ha raccontato di quando ha fatto vedere il film a te e a Jimmy Page e tu hai confermato che la frase «sono un dio dorato» è tua. Ma cosa volevi dire? Che significa «sono un dio dorato»?
Nella maggior parte dei casi, nel primo periodo dei Led Zeppelin, quello che dicevamo era puro intrattenimento comico. Credo che fossimo nel mezzo di un momento particolarmente ridicolo, forse al compleanno di Bonzo da qualche parte a Beverly Hills, e qualcuno aveva fatto una torta a tre piani. Eravamo a questo evento e John la mostrava a tutti, poi è arrivato George Harrison che l’ha colpita con una mossa di karate. Bonzo ha deciso che era il caso di rispondere, ed è successo di tutto, era un’altra di quelle situazioni… erano scherzi tra ragazzi. Mancava solo qualcuno che chiudesse la questione con un gesto ancora più privo di senso. Quindi ho aperto le braccia e proclamato quella cosa. Poi un pezzo di torta è casualmente finito sul mio naso, qualcosa del genere.
La settimana scorsa cadeva l’anniversario dei 40 anni dalla morte di John Bonham. Come l’hai ricordato?
È una cosa enorme. Tante altre persone che mi erano vicine ora non ci sono più, ma lui è onnipresente perché abbiamo vissuto assieme una grande avventura. Le nostre strade si erano incrociate anche prima degli Zeppelin e sono sempre state esperienze caotiche finite nelle lacrime. Ma con gli Zeppelin riuscivamo sempre a tornare indietro: dividevamo la macchina, tornavamo dall’aeroporto e andavamo nelle nostre case al confine col Galles. Eravamo molto uniti, in senso lato, lo siamo stati fino alla fine. Venivamo dallo stesso posto, dallo stesso nido.
Vivo ancora in quella zona, quindi lo sento ancora presente. Tanta gente lo conosceva, come conosce me. Non siamo andati molto lontano, a parte qualche triste avventura. È ancora molto presente, è una cosa curiosa per chi vive da queste parti. Qui si ricordano soprattutto la sua presenza fisica e la sua personalità, ma nel mondo dellla batteria ha trasceso molti altri musicisti. Insieme a Jonesy (John Paul Jones), che dava al tutto molta classe, hanno fatto sì che gli Zeppelin fossero diversi dalle altre band del periodo, quei due avevano un modo di lavorare unico. Quindi sì, sono 40 anni ed è ancora una grande perdita per tutti. Ora, quando è notte, guardo il cielo nuvoloso. Sono sicuro che è in un pub da qualche parte a fare battute.
Era un batterista magnifico.
Sì. Suonava con grande feeling. Una sera siamo andati al Burning Spear, un club nero nel South Side di Chicago, per vedere Bobby “Blue” Bland e la sua orchestra. A un certo punto John è salito sul palco e ha suonato Further on Up the Road, Turn on Your Love Light e roba del genere, è stato assurdo. I musicisti sembrano dipendere da lui, perché aveva davvero tanto feeling. Era a suo agio con Bobby “Blue” Bland tanto quanto lo sarebbe stato anni dopo con Fool in the Rain. Era unico.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.
https://www.facebook.com/notes/358406942031004/
Blues..invenzione..carisma..talento..fascino
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Il leder dei Led Zeppelin: "Questi sogni sono magnifici momenti di grande conforto"
Robert Plant: "Durante il lockdown ho sognato John Bonham e mio figlio Karak morto nel 1977 a soli cinque anni
Robert Plant ha raccontato nel suo podcast Digging Deep la sua vita durante il lockdown e ha spiegato come la vita in isolamento e le misure restrittive a cui tutti siamo stati sottoposti negli ultimi due anni abbiano portato le persone a fare sogni sempre più inusuali. A volte sono strani, a volte come ha detto lui stesso sono: «Magnifici momenti di grande conforto».
Il cantante dei Led Zeppelin ha raccontato di aver sognato «Paesaggi meravigliosi in cui mi ritrovavo con la mia famiglia, mio padre e mio figlio che è mancato quando aveva solo cinque anni e anche i miei più cari amici». Tra questi, Plant ha raccontato di aver sognato spesso John “Bonzo” Bonham, il batterista dei Led Zeppelin, originario come lui di West Bromwich nella Black Country e con cui ha suonato dal 1965, prima nella band blues The Crawling King Snakes e poi nel 1967 nei Band of Joy. È stato Robert Plant a volere John Bonham nei Led Zeppelin, era legatissimo a lui e dopo la sua morte il 24 settembre 1980 è stato il più determinato nel volere lo scioglimento della band. Adesso, il suo amico Bonham è tornato a trovarlo in sogno.
Robert Plant ha anche spiegato il motivo per cui probabilmente ha fatto questo tipo di sogni: «Sono sempre stato in movimento e con il pensiero rivolto alla prossima esperienza. Avevo un’energia che con il passar degli anni ho dovuto imparare a gestire, a manovrare, fino a metterla in un angolo» ha detto, «Quindi a quanto pare oggi quando dormo questa energia si risveglia e mi riporta indietro in quei luoghi splendidi».
Anche nel mondo reale Robert Plant ha raccontato che il lockdown è stata un’occasione per ritrovare dei vecchi amici e stringere nuovi legami: «Il mio vicino di casa suonava con me e Bonzo negli anni ’60, siamo parte di una vecchia banda di amici. E poi c’è la famiglia di contadini a cui apparteneva la mia casa, abita dall’altro lato della strada e siamo diventati amici». In generale, Robert Plant ha detto che passare il tempo a casa con la famiglia invece di essere sempre in viaggio è stata: «Una rivelazione, il vero sogno di questo periodo».
https://www.deezer.com/en/show/363352
Scavando in profondità con Robert Plant
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ROBERT PLANT: "VI RACCONTO DI QUANDO IN CONCERTO NON RICORDAVO IL TESTO DI STAIRWAY TO HEAVEN". L'INTERVISTA
Il frontman dei Led Zeppelin ha raccontato di quando il manager lo aiutava a ricordare il testo con dei cartelli nel tour '72/'73
ROBERT PLANT SU STAIRWAY TO HEAVEN: "NON HO IDEA DI COSA PARLI. RIFLETTE L’OTTIMISMO DEL RAGAZZO CHE ERO A 23 ANNI"
Il frontman dei Led Zeppelin: "All'epoca tutti parlavano di Vietnam. Io credo di aver fatto un lavoro migliore parlando di speranza"
Ogni musicista spera di scrivere una canzone che duri nel tempo» ha detto Jimmy Page in una intervista celebrativa della carriera dei Led Zeppelin nel 1992, «Noi abbiamo fatto Stairway to Heaven. Ha tutti gli elementi che ci rappresentano, è stata una pietra miliare per noi. Per questo siamo stati molto attenti a non farla uscire mai come singolo e non tagliarla». Secondo il chitarrista dei Led Zeppelin, Stairway to Heaven (che la band ha suonato per la prima volta il 5 marzo 1971 alla Ulster Hall di Belfast) doveva spingere il pubblico a comprare l’intero album Led Zeppelin IV che esce l’8 novembre 1971, arriva al numero 1 in Inghilterra e al numero 2 in America e vende 35 milioni di copie.
Con sette minuti e 55 secondi di durata e diversi cambi di tempo e genere, dalla ballad folk alla sezione hard rock, Stairway to Heaven è diventata una della canzoni più importanti nella storia del rock, la più richiesta dagli ascoltatori delle radio americane di sempre e il monumento definitivo della grandezza dei Led Zeppelin. Robert Plant e Jimmy Page iniziano a scriverla durante il periodo trascorso in isolamento in Galles nel cottage di Bron-Y-Aur, subito dopo aver concluso il quinto trionfale tour consecutivo in America e la finiscono durante le session di Led Zeppelin IV ad Headley Grange.
«Una sera ci siamo seduti davanti al fuoco e io ho scritto le prime due strofe del pezzo, che mi sembravano perfette per quello che Jimmy stava suonando» ha raccontato Robert Plant, «Volevo mettere insieme tutti i riferimenti alle antiche tradizioni britanniche e al mondo Celtico». Il cantante dei Led Zeppelin, però, non ha spiegato davvero il significato del testo e delle sue immagini affascinanti, dalla “scala verso il paradiso” alla “foresta che riecheggia di risate”, dalla Regina di Maggio al “pifferaio” alla “signora anziana che pensa sia oro tutto ciò che luccica.”
https://youtu.be/Ly6ZhQVnVow
Nel 2022 in una intervista con Rolling Stone ha ammesso: «Non ho idea di cosa parli. Credo sia una canzone sulla speranza, ma piuttosto grande. Riflette l’ottimismo di un ragazzo di soli 23 anni». Robert Plant ha detto che Stairway to Heaven contiene anche degli inevitabili riferimenti alla situazione politica del tempo: «Tutti i cantautori del tempo parlavano del Vietnam e della corruzione, ed erano tutti molto eloquenti e impegnati nei loro testi. Io credo di aver fatto un lavoro migliore per arrivare al punto e parlare della speranza».
https://www.virginradio.it/news/rock-news/1348599/robert-plant-su-stairway-to-heaven-non-ho-idea-di-cosa-parli-riflette-lottimismo-del-ragazzo-che-ero-a-23-anni.html
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Robert Plant spiega il significato di “Stairway to Heaven”
A Robert Plant viene chiesto se secondo lui gli ascoltatori lo hanno mai interpretato nel modo giusto e lui ha risposto: “Non ne ho idea. Voglio dire, è passato così tanto tempo. Lo dicevo negli Zeppelin: ‘Questa è una canzone di speranza’. Ed è pazzesco, davvero, perché all'epoca era gigantesca. La costruzione musicale era, all'epoca, qualcosa di molto speciale, e so che Jimmy e i ragazzi erano davvero molto orgogliosi della musica. E così mi hanno detto dopo avermela passata: ‘Cosa hai intenzione di fare a riguardo?’ Quindi ho iniziato a provare a scrivere qualcosa che suppongo rientri nello stesso idioma di qualcosa come "The Rover", o forse "Rain Song". Dentro c'è un po' di ottimismo e riflessione da parte di qualcuno che non era vecchio. Avevo 23 anni infatti o qualcosa del genere”.
Poi prosegue: “E quindi cosa penso adesso? Quando lo sento da solo, mi sento sopraffatto per ogni singolo motivo che potresti immaginare. C'era l'atmosfera e l'aria di cercare di farcela. Il mondo oggi è un posto diverso. All’epoca tutti si stavano riprendendo dal Vietnam. C'erano persone davvero brave con le parole che hanno raccontato tutto quel periodo in modo molto meno pittorico e hanno fatto un lavoro molto migliore nel raggiungere quel punto. Ma io sono quello che sono e, come diceva mio nonno, non posso essere di più che quello che sono”.
https://www.rockol.it/news-731914/led-zeppelin-robert-plant-spiega-significato-di-stairway-to-heaven
Robert Plant Talks About Led Zeppelin's 'Stairway to Heaven' | The Big Interview
LED ZEPPELIN, PLANT E IL SUO 'ODIO' PER STAIRWAY TO HEAVEN
La cantante delle Heart racconta di quando Robert Plant le rivelò il suo 'odio' per Stairway To Heaven
Plant odiava Stairway To Heaven
Stairway To Heaven al Kennedy Center Honors
L'archivio di Robert Plant
Pochi giorni fa Robert Plant ha intanto rivelato di aver trascorso i mesi in lockdown a catalogare il suo archivio. Un vero tesoro per tutti gli appassionati dei Led Zeppelin e del rock composto da registrazioni inedite e materiale di archivio di ogni tipo, inclusi documenti particolari.
Tra gli oggetti catalogati dal cantante dei Led Zeppelin anche una lettera che sua madre gli aveva inviato quando aveva lasciato casa per cantare con i Led Zeppelin invitandolo a mollare quella vita e tornare in paese per cercarsi un lavoro vero come contabile: "La cosa mi ha fatto pensare a quanto fosse un azzardo in quei tempi mandare tutto all'aria e buttarsi in un'avventura del genere dicendo solo 'scusate ma devo farlo'. Sono tornato a casa solo quando mi sono fidanzato e ho presentato ai miei genitori la mia futura moglie. La cosa divertente è che ho aperto quella busta per la prima volta pochi mesi fa".
Per poter aver accesso a tutto questo, però, bisognerà attendere il più tardi possibile, o almeno si spera. La volontà del cantante dei Led Zeppelin, già trasferita anche ai figli, è infatti quella di rendere disponibile tutto gratuitamente, una volta che sarà morto :"Solo per poter vedere quante cose sciocche sono state fatte dal 1966 ad oggi".
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https://www.truemetal.it/heavy-metal-news/led-zeppelin-robert-plant-non-posso-piu-scrivere-unaltra-stairway-to-heaven-456512
Led Zeppelin: Robert Plant, ‘Non posso più scrivere un’altra ‘Stairway to Heaven’
Robert Plant ha affermato di non poter più ‘relazionarsi’ con il capolavoro dei Led Zeppelin ‘Stairway to Heaven’ del 1971.
Durante un’apparizione al programma radiofonico Ultimate Classic Rock Nights, Plant ha candidamente parlato del perchè non possa più fare un’altra ‘Stairway to Heaven’:
Certo, ‘Starway to Heaven’ è stata una canzone bellissima, sia dal punto di vista della composizione musicale che del songwriting. Ora, liricamente e sentimentalmente non posso collegarmi ad essa, perché manca quella magia creatasi in fase di scrittura in quel momento ben preciso. Ricordo ancora che quando io e Page abbiamo lavorato al brano, ci siamo seduti accanto al fuoco ed abbiamo esaminato tutti i frammenti, minuziosamente. Mentre il resto della band, nei giorni successivi, lavorava alla stesura degli spartiti, ricordo che andai nella mia camera da letto per scrivere il testo e pensai subito alle aree pastorali della Gran Bretagna che tanto amo ed alla loro magia.
Ecco perché non posso più scrivere o relazionarmi con un’altra ‘Stairway to Heaven’.
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