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Il celebre batterista “che al posto del piede destro aveva le nacchere”, come disse Jimi Hendrix, nel libro “privato” scritto dal fratello Mick John Bonham
«Durante i primi anni mi accorsi che John aveva la passione di percuotere gli oggetti: barattoli di biscotti, scatole di dolcetti, qualsiasi cosa producesse un suono. Per me quello fu un periodo particolarmente stressante, perché scoprii che anch’io facevo parte della finta batteria di John. Ma fu quello l’inizio della carriera di batterista di John “Bonzo” Bonham!». Mick Bonham non fu solo disc jockey, scrittore e fotografo, ma anche e soprattutto il fratello minore del più grande batterista della storia del rock.
Con lui condivise tutto e il fratellone batterista dei Led Zeppelin non gli fece mancare mai affetto e riconoscenza. Lo difendeva nelle risse, si faceva in due per assicuragli il rispetto dei suoi amici e riusciva anche ad accollarsi le colpe che non fossero le sue. «Fin dal primo giorno, io e John dormivamo nella stessa camera, nonostante la nostra casa fosse piena di stanze. Era davvero bello poter chiacchierare di ciò che era successo nell’arco della giornata e di ciò che ci riservava il futuro. Inoltre, a volte io e John litigavamo e ci menavamo di brutto, e stando nella stessa stanza potevamo farlo direttamente lì, senza contare che almeno avevo un letto soffice su cui atterrare quando mi afferrava e mi lanciava in aria».
Questa e tante altre testimonianze sono contenute nel libro John Bonham, il motore dei Led Zeppelin (Arcana, p.p.256, euro 23,00) nella traduzione di Marco Lascialfari, con inserto fotografico e 50 scatti inediti di Mick. Più che essere una biografia il libro è un ritratto di famiglia (c’è anche uno scritto della sorella Deborah in appendice), un diario intimo e confidenziale che mostra i lati nascosti e poco conosciuti, la bontà d’animo e le fragilità umane di un musicista imponente, God of Thunder, il dio del tuono lo soprannomineranno in seguito. Un gigante buono e generoso, nonostante la fama negativa che lo accompagnerà. Gli occhi che lo scrutano non sono quelli di un estraneo, ma di un fratello che non può far altro che rendere pubblica l’umanità di un artista, sottacendo con un pizzico di ironia i lati più controversi, i luoghi comuni di quella perdizione che affligge da sempre, come una maledizione, la vita delle rockstar.
Dall’infanzia passando per l’adolescenza, John dimostrò in ogni occasione la sua passione per la batteria, passando dai fusti di latta all’ascolto smodato e appassionato di Gene Krupa, uno dei più importanti batteristi jazz che legò il suo nome alle fortune dell’orchestra di Benny Goodman.
Per mantenersi, John fece il carpentiere e tanti altri lavori pur di alimentare il sogno di suonare in una band. Suonò in tanti gruppi di Birmingham e dintorni: l’inizio di una carriera che si sarebbe rivelata nel giro di alcuni anni entusiasmante. La grande occasione non si fece attendere quando Robert Plant (che aveva conosciuto nei Band of Joy) gli chiese di entrare a far parte dei New Yardbirds con Jimmy Page e John Paul Jones, prima che cambiassero il nome in Led Zeppelin e dessero alle stampe nel 1969 due dischi che avrebbero cambiato la storia del rock (Led Zeppelin I e Led Zeppelin II, quest’ultimo scalzò dal primo posto delle classifiche di Billboard, Abbey Road dei Beatles).
Tecnica batteristica eccelsa, potente e incisiva quanto raffinata e precisa: John Bonham fece scuola e continua a essere un punto di riferimento per chiunque si avvicini allo strumento. Nella storia, su tutto, resterà il celeberrimo assolo di Moby Dick. « posto del piede destro ha le nacchere», confessò Jimi Hendrix a Robert Plant. Ancora, nel libro, Phil Collins, il batterista dei Genesis che lo avrebbe sostituito nella reunion sul palco del Live Aid nel 1985, racconta: «Rimasi sconcertato dal batterista. Faceva cose con la grancassa che non avevo mai visto prima. Mi ripromisi di tenere d’occhio questo John Bonham e ne seguii i progressi. Anche allora ebbe un’influenza importantissima sul mio modo di suonare». Ancora, il suo collega di band, il bassista John Paul Jones ricorda che durante un festival in cui si esibiva anche James Brown (uno degli idoli di Bonham) i tre batteristi dell’afroamericano vedendo la potenza di Bonzo rimasero increduli a fissarlo mentre suonava, chiedendosi com’era possibile che da solo facesse l’equivalente alle percussioni di quello che loro facevano in tre.
Bonzo non disdegnò ogni tipo di eccesso (alcol su tutto), fu collezionista di macchine costosissime e spesso non aveva alcun timore a mostrare il lato più esuberante del suo carattere. In un’altra gustosa testimonianza Glen Matlock ricorda che durante un concerto dei suoi Sex Pistols e dei Damned successe il pandemonio: «Rimasi stupefatto quando vidi John in piedi dietro alla batteria con un ghigno rabbioso stampato sul viso. Se ne stava lì dritto e tutto impettito e partì con una violenta invettiva contro la band. Gridò: “Dove cazzo è andata la band? Hanno suonato solo quindici minuti. Noi suoniamo per tre ore, cazzo, perché siamo uomini veri, non un branco di smidollati. Fu così che John Bonham uscì dalla scena punk, accompagnato dall’idea che alla veneranda età di ventinove anni uno è già un vecchio hippy».
Irascibile (fu soprannominato The Beast, la bestia, per i suoi scatti d’ira indotti spesso dall’alcol), ma anche umilissimo. Come quando, dopo un concerto dei Police, per i quali stravedeva, si complimentò con il batterista, Stuart Copeland, mentre un giovane e spocchioso Sting gli diceva: «Ehi, attento a non calpestarmi le scarpe di camoscio blu», senza che il portentoso batterista battesse ciglio.
Dell’essere un batterista diceva: «Se il tuo sound si basa solo sulla tecnica, suonerai come chiunque altro. Ciò che conta è essere originale».
Questa raccolta di ricordi è stata pubblicata postuma alla morte di Mick Bonham avvenuta a 49 anni nel 2000. La moglie Linda ha curato la pubblicazione non facendo mistero di sottolineare: «<Coloro che conoscono più da vicino la nostra famiglia si renderanno conto che Mick ha dato un taglio leggero e spensierato alla sua storia, e ha taciuto parecchi ricordi, poiché di natura troppo intima e personale o troppo dolorosi: ad esempio, la descrizione da lui fornita della morte di John è concisa, poiché non riusciva a trovare le parole giuste per esprimere il suo dolore».
John “Bonzo” Bonham morì il 25 settembre 1980 soffocato dal suo stesso vomito. Aveva solo 32 anni. Il 4 dicembre dello stesso anno con un comunicato stampa i Led Zeppelin annunciavano al mondo intero la loro fine:«Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere – in piena armonia tra noi ed il nostro manager – che non possiamo più continuare come eravamo».
John Bonham
Il motore dei Led Zeppelin
Mick Bonham
Arcana Edizioni
p.p. 256, euro 23
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http://www.we-rock.info/news/john-bonham-bonzo-gli-zeppelin-il-fratello-mick/
«Durante i primi anni mi accorsi che John aveva la passione di percuotere gli oggetti: barattoli di biscotti, scatole di dolcetti, qualsiasi cosa producesse un suono. Per me quello fu un periodo particolarmente stressante, perché scoprii che anch’io facevo parte della finta batteria di John. Ma fu quello l’inizio della carriera di batterista di John “Bonzo” Bonham!». Mick Bonham non fu solo disc jockey, scrittore e fotografo, ma anche e soprattutto il fratello minore del più grande batterista della storia del rock.
Con lui condivise tutto e il fratellone batterista dei Led Zeppelin non gli fece mancare mai affetto e riconoscenza. Lo difendeva nelle risse, si faceva in due per assicuragli il rispetto dei suoi amici e riusciva anche ad accollarsi le colpe che non fossero le sue. «Fin dal primo giorno, io e John dormivamo nella stessa camera, nonostante la nostra casa fosse piena di stanze. Era davvero bello poter chiacchierare di ciò che era successo nell’arco della giornata e di ciò che ci riservava il futuro. Inoltre, a volte io e John litigavamo e ci menavamo di brutto, e stando nella stessa stanza potevamo farlo direttamente lì, senza contare che almeno avevo un letto soffice su cui atterrare quando mi afferrava e mi lanciava in aria».Questa e tante altre testimonianze sono contenute nel libro John Bonham, il motore dei Led Zeppelin (Arcana, p.p.256, euro 23,00) nella traduzione di Marco Lascialfari, con inserto fotografico e 50 scatti inediti di Mick. Più che essere una biografia il libro è un ritratto di famiglia (c’è anche uno scritto della sorella Deborah in appendice), un diario intimo e confidenziale che mostra i lati nascosti e poco conosciuti, la bontà d’animo e le fragilità umane di un musicista imponente, God of Thunder, il Dio del tuono lo soprannomineranno in seguito. Un gigante buono e generoso, nonostante la fama negativa che lo accompagnerà. Gli occhi che lo scrutano non sono quelli di un estraneo, ma di un fratello che non può far altro che rendere pubblica l’umanità di un artista, sottacendo con un pizzico di ironia i lati più controversi, i luoghi comuni di quella perdizione che affligge da sempre, come una maledizione, la vita delle rockstar.
Dall’infanzia passando per l’adolescenza, John dimostrò in ogni occasione la sua passione per la batteria, passando dai fusti di latta all’ascolto smodato e appassionato di Gene Krupa, uno dei più importanti batteristi jazz che legò il suo nome alle fortune dell’orchestra di Benny Goodman. Per mantenersi, John fece il carpentiere e tanti altri lavori pur di alimentare il sogno di suonare in una band. Suonò in tanti gruppi di Birmingham e dintorni: l’inizio di una carriera che si sarebbe rivelata nel giro di alcuni anni entusiasmante. La grande occasione non si fece attendere quando Robert Plant (che aveva conosciuto nei Band of Joy) gli chiese di entrare a far parte dei New Yardbirds con Jimmy Page e John Paul Jones, prima che cambiassero il nome in Led Zeppelin e dessero alle stampe nel 1969 due dischi che avrebbero cambiato la storia del rock (Led Zeppelin I e Led Zeppelin II, quest’ultimo scalzò dal primo posto delle classifiche di Billboard, Abbey Road dei Beatles). Tecnica batteristica eccelsa, potente e incisiva quanto raffinata e precisa: John Bonham fece scuola e continua a essere un punto di riferimento per chiunque si avvicini allo strumento. Nella storia, su tutto, resterà il celeberrimo assolo di Moby Dick. «al posto del piede destro ha le nacchere», confessò Jimi Hendrix a Robert Plant. Ancora, nel libro, Phil Collins, il batterista dei Genesis che lo avrebbe sostituito nella reunion sul palco del Live Aid nel 1985, racconta: «Rimasi sconcertato dal batterista. Faceva cose con la grancassa che non avevo mai visto prima. Mi ripromisi di tenere d’occhio questo John Bonham e ne seguii i progressi. Anche allora ebbe un’influenza importantissima sul mio modo di suonare». Ancora, il suo collega di band, il bassista John Paul Jones ricorda che durante un festival in cui si esibiva anche James Brown (uno degli idoli di Bonham) i tre batteristi dell’afroamericano vedendo la potenza di Bonzo rimasero increduli a fissarlo mentre suonava, chiedendosi com’era possibile che da solo facesse l’equivalente alle percussioni di quello che loro facevano in tre.
Bonzo non disdegnò ogni tipo di eccesso (alcol su tutto), fu collezionista di macchine costosissime e spesso non aveva alcun timore a mostrare il lato più esuberante del suo carattere. In un’altra gustosa testimonianza Glen Matlock ricorda che durante un concerto dei suoi Sex Pistols e dei Damned successe il pandemonio: «Rimasi stupefatto quando vidi John in piedi dietro alla batteria con un ghigno rabbioso stampato sul viso. Se ne stava lì dritto e tutto impettito e partì con una violenta invettiva contro la band. Gridò: “Dove cazzo è andata la band? Hanno suonato solo quindici minuti. Noi suoniamo per tre ore, cazzo, perché siamo uomini veri, non un branco di smidollati. Fu così che John Bonham uscì dalla scena punk, accompagnato dall’idea che alla veneranda età di ventinove anni uno è già un vecchio hippy». Irascibile (fu soprannominato The Beast, la bestia, per i suoi scatti d’ira indotti spesso dall’alcol), ma anche umilissimo. Come quando, dopo un concerto dei Police, per i quali stravedeva, si complimentò con il batterista, Stuart Copeland, mentre un giovane e spocchioso Sting gli diceva: «Ehi, attento a non calpestarmi le scarpe di camoscio blu», senza che il portentoso batterista battesse ciglio. Dell’essere un batterista diceva: «Se il tuo sound si basa solo sulla tecnica, suonerai come chiunque altro. Ciò che conta è essere originale».
Questa raccolta di ricordi è stata pubblicata postuma alla morte di Mick Bonham avvenuta a 49 anni nel 2000. La moglie Linda ha curato la pubblicazione non facendo mistero di sottolineare: «Coloro che conoscono più da vicino la nostra famiglia si renderanno conto che Mick ha dato un taglio leggero e spensierato alla sua storia, e ha taciuto parecchi ricordi, poiché di natura troppo intima e personale o troppo dolorosi: ad esempio, la descrizione da lui fornita della morte di John è concisa, poiché non riusciva a trovare le parole giuste per esprimere il suo dolore».
John “Bonzo” Bonham morì il 25 settembre 1980 soffocato dal suo stesso vomito. Aveva solo 32 anni. Il 4 dicembre dello stesso anno con un comunicato stampa i Led Zeppelin annunciavano al mondo intero la loro fine:
«Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere – in piena armonia tra noi ed il nostro manager – che non possiamo più continuare come eravamo».
Si dice che questo batterista abbia cambiato completamente la musica rock attraverso la sua tecnica, il suo modo di suonare pieno di passione e la sua apertura a nuovi stili.
Essendo in prima linea nell’LP fondamentale dei Led Zeppelin, le sue capacità da batterista erano invidiate da tutti all’interno dell’industria.
Anni dopo la sua scomparsa, Jimmy Page, uno dei più bravi chitarristi di tutti i tempi nonché suo compagno di band, ammise di essere rimasto affascinato dal contributo di questo artista alla musica rock.
John Bonham – Il Motore Dei Led Zeppelin
Dopo aver venduto nove milioni di dischi ed aver fatto molte tournée da record, i Led Zeppelin giunsero ad una brusca e prematura fine.
Scritto dal fratello Mick, questo libro è un resoconto molto intimo sulla vita del nostro batterista; partendo dall’adolescenza di entrambi, il libro racconta (grazie anche al contributo delle testimonianze di Robert Plant e John Paul Jones) la vita e la carriera di Bonham, dagli esordi alla fama planetaria, come membro della più potente band rock’n’roll della storia.
Attraverso questo libro è possibile capire per quale motivo “Bonzo” venga considerato come il motore di questo incredibile progetto; si tratta di uno scritto che un vero fan non può perdersi.
John Bonzo Bonham E I Led Zeppelin
Prima della sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1980, la creatività ed il suono di Bonham avevano già contrassegnato il gusto di molti amanti del rock in tutto il mondo, lasciandoli alla ricerca continua di quel grande impatto simbolo del modo in cui suonava nel gruppo.
In seguito alle loro conclusioni si parlava a lungo di ognuna delle esibizioni di questo batterista. Ciò che emergeva ogni volta in maniera piuttosto chiara era che la performance fosse pesante, vivace, virtuosistica e deliberata.
Ogni ascoltatore sarebbe elettrizzato dallo spettacolo mostrato dalle abili percussioni di questo batterista. Questo è il motivo; forse rimane nei libri di storia come uno tra i più grandi batteristi di tutti i tempi.
Si dice che quando Bonham fosse al minimo, non suonasse mai in modo noioso. Tutti potevano ancora sentire l’impatto del suo potere e della sua forza.
Era come se stesse solo parlando alla batteria e questa avesse seguito alla lettera le sue istruzioni. Quando era al suo meglio dal punto di vista ritmico, non ha mai dato al suo pubblico alcuna delusione.
Ogni notte in cui Bonham era in tournée con i Led Zeppelin, l’atmosfera si riempiva di vita e divertimento.
Sembrava sapere come sfuggire ad ogni difficoltà con il suo drumming travolgente; ne è un esempio il pezzo “Moby Dick “.
https://youtu.be/IOb8otk7Y0U
Questo suo modo particolare di suonare la batteria e le percussioni era la sua firma e la sua tecnica per lasciare tutti i fan a chiedere di più.
Ogni performance che ha fatto durante il suo periodo di attività con i Led Zeppelin era migliore della precedente; facendo così, Bohnam lasciava il palco tra gli applausi di tutti.
Dave Grohl, un altro famoso batterista, non ha perso l’occasione di elogiare lo stile di questo musicista quando ha scritto per “Rolling Stone”.
Grohl dice di aver passato anni nella sua camera da letto ascoltando il lavoro di Bonham e cercando di emulare il suo stile.
Era affascinato dallo swing e dalla spavalderia dietro al ritmo, alla velocità ed alla potenza della batteria di Bonham.
Lui stesso ha ammesso di voler raggiungere lo stesso senso di direzione istintiva, oltre che memorizzare ciò che ha fatto Bonham alla batteria mentre suonava con i Led Zeppelin.
Scommetto che, se guardassi John in azione, saresti costretto anche tu a provare quello che abbiamo descritto. Si tratta di portare la musica nel sangue.
Per anni, ogni rocker post-Bonham ha desiderato seguire le orme di questo batterista in un caso o nell’altro. È anche vero che i più grandi batteristi oggi sul mercato hanno ricevuto la sua ispirazione.
Ci sono così tante registrazioni delle sue esibizioni che qualsiasi tua esigenza di batteria potrebbe essere soddisfatta.
È sempre stato il desiderio di molti batteristi crescere allo stesso livello del più grande di tutti i tempi e questa ricerca ha permesso loro di trovare la strada giusta.
La Morte Di John Bonham
I Led Zeppelin sono ricordati come una delle band più grandi e produttive di sempre; il loro talento è noto tanto quanto il loro successo. Tuttavia è ben conosciuta anche la loro reputazione per gli eccessi nella vita privata.
Questo gruppo britannico era famoso per le storie che lo ritraevano al centro di numerose storie di dissolutezza, tra cui numerose avventure sessuali e l’abuso di alcool e droghe.
Nel ’75 Robert Plant, il frontman, ebbe un tragico incidente con la moglie e ne uscì con una prognosi di sei mesi bloccato su una sedia a rotelle: la conclusione più ovvia fu il ritiro del gruppo dalla scena rock, che avvenne nel 1976.
A seguito di questo spiacevole episodio, la band visse un periodo piuttosto buio che culminò con la morte di John Bonham, avvenuta il 25 Settembre 1980, quando il batterista dei Led Zeppelin aveva solo 32 anni.
Durante le prove con i compagni di gruppo nella villa di Jimmy Page a Windsor, Inghilterra, il nostro batterista era ubriaco e non accennava a smettere di bere.
Fu così che la sera dello stesso giorno, John venne trasportato in una stanza e lasciato là a dormire, venendo poi ritrovato senza vita a causa del vomito che lo aveva soffocato.
Successivamente all’accaduto, il 4 Dicembre del medesimo anno i Led Zeppelin rilasciarono un comunicato all’interno del quale dichiaravano l’interruzione dell’attività artistica della band, la quale si riunirà in seguito solamente altre cinque volte, tra cui il Live Aid dell’85 ed il loro ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame, avvenuto dieci anni dopo.
Bonham was a collector of Motown music and introduced John to various artists when he had returned home from touring with Led Zeppelin. He first saw Led Zeppelin in action at Club Lafayette, Wolverhampton on 24 February 1969 and was impressed by their performance. Bonham later was invited on-stage and played congas during 'Whole Lotta Love', when Led Zeppelin performed at the Preston Public Hall on 23 November 1971. He also had a brief cameo appearance in the film The Song Remains the Same when John was playing billiards in the local public house. Bonham was also a photographer and took hundreds pictures of John and the Old Hyde Farm, of which a number were published in his biographies of John, and some unpublished ones later reused as part of the background projection during Jason Bonham's Led Zeppelin Experience tours of North America. These images gave an in-sight into an intimate family-side of John Bonham which was rarely reported in the media. Mick also took photographs of the Worcestershire area which have been used in local history displays.
In late 1975, at the height of the disco era, Mick Bonham operated the first Dolly Disc franchise in the United Kingdom. Professional entertainers with Dolly Disc included Connie Chapman, Karen Pennington, Jilly Davies, and Vicky Harten.
After John's death, Mick briefly looked after the Old Hyde Farm. A long-time friend of tribute band Fred Zeppelin, he used to introduce them when they performed in Redditch. It was after reading sensationalist news stories about John that Mick decided to set the record straight. Contributing to Chris Welch's and Geoff Nicholls' 2001 book John Bonham: A Thunder of Drums, Bonham had only just arranged to have his first book published when he died suddenly from a myocardial infarction on 14 January 2000. Writing in a warm but direct style, his first biography Bonham by Bonham: My Brother John was published posthumously in 2003. This book was followed up with John Bonham: The Powerhouse Behind Led Zeppelin in 2005, which included additional interviews and was based on a near-completed manuscript Mick Bonham was finishing at the time of his death.
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