sabato 19 novembre 2022

5..JOHN BONHAM LE TRACCE DI BATTERIA..L'INSUPERABILE (31 maggio 1948--25 settembre 1980)

 




https://auralcrave.com/2020/12/14/john-bonham-cuore-e-tecnica-di-uno-dei-piu-grandi-batteristi-di-sempre/

John Bonham: cuore e tecnica di uno dei più grandi batteristi di sempre

È ormai consuetudine annoverare John Bonham tra i migliori batteristi rock di sempre. Evitando di assegnarli una posizione in una classifica di stampo sanremese, in quanto le arti eludono le logiche della competizione sportiva, possiamo riconoscere l’importanza della sua figura all’interno della tradizione musicale rock. Infatti il suo approccio allo strumento, il suo stile musicale e le sue scelte di arrangiamento hanno sicuramente mutato il ruolo della batteria all’interno di un brano rock. La sua grandezza artistica è quindi determinata non tanto dalle abilità tecniche e dalla potenza espressiva, ma dalla sua attitudine musicale e dalle scelte timbriche messe in atto, tant’è che dopo la sua tragica morte avvenuta il 25 settembre del 1980, i Led Zeppelin decisero di non sostituirlo e dunque di sciogliersi definitivamente. Oltre il grande affetto che legava i membri della band, Bonham costituiva una parte determinante del sound degli Zeppelin.

Il primo album della band britannica esce nel 1969 con in nome di Led Zeppelin I e sin dalla traccia d’apertura Good Times Bad Times si avverte la differenza stilistica tra John Bonham e gli altri batteristi rock britannici coevi come Charlie Watts, Ringo Starr, Ginger Baker, Keith Moon ecc.
Di fatto, che cosa è avvenuto? Ascoltando i brani precedenti al 1969 dei Rolling Stones, i Cream, gli Who e tante altre band, si nota come la batteria – oltre che marcare determinati accenti all’interno del brano aumentandone la dinamica – o scandisce la pulsazione metronomica, o venivano creati dei groove regolari e rigidi. Emblematico è il caso di (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones, in cui Charlie Watts colpisce cassa, rullante e charleston scandiscono esattamente in sincrono il beat del brano. 
Nell’intro di Good Times Bad Times accade subito qualcosa di diverso. Il batterista britannico, dopo aver accentuato la doppia plettrata di Page, aziona il pedale del charleston per scandire i quarti, poi gli ottavi, di seguito aumenta la dinamica percuotendo con le bacchette il campanaccio. Inusuale è l’utilizzo di questo strumento, mai comparso in un set di una batteria rock prima di Bonham, così come l’enorme gong posizionato alle sue spalle. Infine, dopo un fill spezzato in cui sembra che un oggetto rotoli prima in avanti e poi torna indietro, risolve la tensione in un groove decisamente movimentato determinato dall’incastro irregolare di grancassa, rullante e charleston. Qui il lavoro di indipendenza degli arti era notevole in quanto con i due elementi della batteria egli crea delle figure groovemiche complesse su un ostinato fisso formato dal campanaccio (suonato con la mano destra) e dal charleston a pedale (suonato con piede sinistro).

Possiamo asserire che queste scelte stilistiche provengono da uno dei più importanti batteristi bebop: Max Roach. È infatti evidente come Bonham assimili le espressioni del solo The Third Eye e The Drum Also Waltzes, per poi rivisitarle in chiave rock in God Times Bad Times, nelle improvvisazioni di matrice psichedelica di Whole Lotta Love e Dazed And Confused ed infine nel solo di Moby Dick.

A testimoniare l’importanza della tradizione jazz per il batterista britannico (in particolare del bepop) vi è una dichiarazione del suo tecnico personale Jeff Ocheltree:

John ascoltava Max Roach, Alphonse Mouzon, Elvis Jones e un sacco di batteristi jazz. C’è una cosa che mi infastidisce a proposito di John Bonham – disse – tutti pensano che lui fosse un batterista duro che picchiava forte sui suoi tamburi. In realtà, Bonham era appassionato di swing e suonava con molta tecnica”.

Un altro elemento ripreso dal sound della tradizione jazz riguarda l’accordatura delle pelli della batteria. All’ascolto dei dischi dei Led Zeppelin, è evidente come egli tirasse le pelli di tutti i tamburi per avere un suono più squillante e potente. Questa caratteristica è riscontrabile in particolare in molti batteristi delle big band degli anni ’30, in pieno periodo della Swing Era. Tra i nomi più importanti sia per la qualità musicale, sia per l’ammirazione di Bonham nei loro confronti, dobbiamo segnalare Buddy Rich e Gene Krupa.

Di quest’ultimo possiamo notare la consonanza tra l’intro di Sing, Sing, Sing (brano di Luis Palma del 1936 e coverizzato da Benny Goodman nel 1937, con alla batteria proprio Gene Krupa) – in cui lo swing è decisamente più marcato e aggressivo rispetto al brano di Luis Palma – e quello di Poor Tom, contenuto nell’album Coda successivo allo scioglimento della band.

Inoltre quel motivo percussivo viene rivisitato in chiave rock nella seconda parte della traccia conclusiva di Led Zeppelin I, ossia How Many More Times, in particolare nel momento in cui la band termina l’improvvisazione psichedelica e compie una transizione verso il finale in cui viene ripreso il riff principale. 

https://youtu.be/2Vbn2XQ7GPo

Tornando a God Times Bad Times, a circa 30 secondi del brano emerge subito una delle peculiarità di Bonham, ossia invece di percuotere la grancassa con un solo colpo, lui ne inserisce due consecutivi suonati molto rapidamente con la tecnica dello slide sul mitico pedale Speed King della Ludwig. Questo sound simula quello prodotto dal doppio pedale, mai utilizzato durante la sua carriera. I due rapidi colpi sulla grancassa immediatamente successivi al beat tenuto sul campanaccio (o sul charleston) formano una terzina: un gruppo di tre beat molto ravvicinati. Questa tecnica da lui spesso utilizzata garantisce una maggiore dinamicità e potenza al groove, entrambe caratteristiche provenienti dal genere funky. Perciò il jazz ed il funky erano i due poli musicali riuniti da John Bonham, motore pulsante degli Zeppelin. Quegli stilemi groovemici o quella modalità di esprimere lo swing, inseriti poi nel rock, aumentavano notevolmente la vivacità di un brano. Del resto, qual è uno degli aspetti peculiari di un grande un artista? Sicuramente la capacità di miscelare in modo originale le estetiche artistiche esistenti, riuscendo ad ottenere un risultato innovativo.    

In particolare è interessante notare come in Darlene ci sia una reinterpretazione rock di Funky Drummer di James Brown e di Ziggy Modeliste di Danny Adler, altro capostipite del funky. Queste modalità di concepire un groove con accenti spostati rispetto alla convenzionale cadenza sul secondo e quarto beat del 4/4, pause che troncano le battute in anticipo rispetto alla regolare cadenza, volti anche a diffondere delle reazioni psico-motorie nel pubblico, sono rintracciabili anche in altri brani ben più noti come Ramble onImmigrant Song, nella parte tra le strofe e l’assolo di In My Time of DyingCustard PieThe Crunge, ma anche nella prima sezione del già citato How Many More Times

È interessante notare come in Fool In The Rain vi sia una atipica apertura di charleston con cui si innesca un ondeggiamento ritmico volto a sbilanciare la sua regolarità. Alcuni elementi di questo groove sono stati ripresi in un secondo momento da Jeff Porcaro in Rosanna, noto brano dei Toto.

https://youtu.be/lWnhz1ZcF74

John Bonham - Led Zeppelin - Fool In The Rain - Isolated Drum Track AWESOME
In Four Sticks invece si riscontra un ritorno alle sonorità delle big band, questa volta però amalgamato con una peculiarità tipica del funky. Ossia, mentre il charleston scandisce i quarti su cui si innesta il groove principale ottenuto percuotendo il tom ed un timpano, i colpi della grancassa, per incrementare il senso ritmico del brano, vengono posizionati in levare. Tuttavia essendo in un contesto hard rock, quindi l’attenzione di Bonham è rivolta anche alla massa di volume prodotta, utilizza 4 bacchette legate tra loro a coppie da due, in modo da generare un notevole impatto sonoro tipico dell’estetica rock.
https://youtu.be/T8GP2j7NdSo

Quei colpi così pesanti derivano dallo stile di Keith Moon, con cui i Led Zeppelin si esibirono, e Ginger Baker, altro batterista decisamente apprezzato da Bonham. Questo è deducibile dall’autobiografia del musicista dei Cream intitolata Hellraiser: The Autobiography of the World’s Greatest Drummer, in cui scrisse:

“John Bonham una volta fece una dichiarazione, nella quale affermò che c’erano solo due batteristi nella storia del rock ‘n’ roll inglese: lui stesso e Ginger Baker.”

Oltre all’abilità nell’unire organicamente differenti tradizioni musicali per innovare le sonorità del rock, un’altra peculiarità di John Bonham riguarda la ricerca sonora in studio di registrazione e l’equilibrato temperamento musicale all’interno dei brani.

È attestato che egli, durante le registrazioni di Led Zeppelin IV e Houses of the Holy, avesse posizionato la batteria in un sottoscala del castello di Jimmy Page ad Hedley Grange. L’intenzione era di produrre un ampio riverbero, una scelta che ha caratterizzato in parte il suono del suo strumento.

Tali scelte risaltano in The Crunge, in D’yer Mak’er, nella celebre No Quarter, ma anche in When The Levee Breaks, brano di chiusura di Led Zeppelin IV. In quest’ultimo si nota la sua elevata abilità nel gestire l’utilizzo dei piatti, infatti il riverbero presente nel sottoscala condiziona notevolmente le caratteristiche timbriche di un piatto e questo rischierebbe di compromettere l’intero sound del brano sovrastando gli altri strumenti e la voce di Robert Plant. Perciò il crash – uno dei piatti più invasivi – viene utilizzato soltanto nei fill che determinano il passaggio da una sezione all’altra del brano.  

https://youtu.be/jF5L0hZtwVs

Dunque le scelte stilistiche innovative ed inconsuete apportate nella tradizione rock, fino ad allora in linea di massima legata al blues e al folk britannico, hanno determinato l’importanza di John Bonham. Egli ha portato questo genere su un altro piano espressivo: di fatto il batterista non si limita più ad accompagnare gli altri musicisti della band ma diventa parte centrale dell’arrangiamento di un brano. Nel suo lavoro carpisce sonorità del passato, è attento al gusto musicale contemporaneo e personalizza lo stile proponendo dei risultati all’avanguardia. Questa attitudine è stata fondamentale per le generazioni successive, ed è evidente ascoltando alcuni tra i più importanti batteristi attuali come Gavin Harrison e Danny Carey.

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Durante i momenti più bui della mia vita, quando ho perso mio figlio e la mia famiglia era allo sbando, è stato Bonzo a venire da me. Gli altri ragazzi (Page & Jones) erano del Sud (dell'Inghilterra) e non avevano lo stesso tipo di etichetta sociale che abbiamo qui al Nord che potrebbe effettivamente colmare quella scomoda voragine con tutte le sensibilità richieste ... per consolare. "


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JOHN BONHAM: BONZO, GLI ZEPPELIN E IL FRATELLO MICK
Il celebre batterista “che al posto del piede destro aveva le nacchere”, come disse Jimi Hendrix, nel libro “privato” scritto dal fratello Mick John Bonham
«Durante i primi anni mi accorsi che John aveva la passione di percuotere gli oggetti: barattoli di biscotti, scatole di dolcetti, qualsiasi cosa producesse un suono. Per me quello fu un periodo particolarmente stressante, perché scoprii che anch’io facevo parte della finta batteria di John. Ma fu quello l’inizio della carriera di batterista di John “Bonzo” Bonham!». Mick Bonham non fu solo disc jockey, scrittore e fotografo, ma anche e soprattutto il fratello minore del più grande batterista della storia del rock.
Con lui condivise tutto e il fratellone batterista dei Led Zeppelin non gli fece mancare mai affetto e riconoscenza. Lo difendeva nelle risse, si faceva in due per assicuragli il rispetto dei suoi amici e riusciva anche ad accollarsi le colpe che non fossero le sue. «Fin dal primo giorno, io e John dormivamo nella stessa camera, nonostante la nostra casa fosse piena di stanze. Era davvero bello poter chiacchierare di ciò che era successo nell’arco della giornata e di ciò che ci riservava il futuro. Inoltre, a volte io e John litigavamo e ci menavamo di brutto, e stando nella stessa stanza potevamo farlo direttamente lì, senza contare che almeno avevo un letto soffice su cui atterrare quando mi afferrava e mi lanciava in aria».
https://xl.repubblica.it/articoli/john-bonham-bonzo-gli-zeppelin-e-il-fratello-mick/9030/?fbclid=IwAR2JCyKQHzT3FG5hu6NFDaWE1v17_uZJ45X54ZgZT_7jOPCZb6lMZi79Wq4

JOHN BONHAM: BONZO, GLI ZEPPELIN E IL FRATELLO MICK

Il celebre batterista “che al posto del piede destro aveva le nacchere”, come disse Jimi Hendrix, nel libro “privato” scritto dal fratello Mick John Bonham
«Durante i primi anni mi accorsi che John aveva la passione di percuotere gli oggetti: barattoli di biscotti, scatole di dolcetti, qualsiasi cosa producesse un suono. Per me quello fu un periodo particolarmente stressante, perché scoprii che anch’io facevo parte della finta batteria di John. Ma fu quello l’inizio della carriera di batterista di John “Bonzo” Bonham!». Mick Bonham non fu solo disc jockey, scrittore e fotografo, ma anche e soprattutto il fratello minore del più grande batterista della storia del rock.
Con lui condivise tutto e il fratellone batterista dei Led Zeppelin non gli fece mancare mai affetto e riconoscenza. Lo difendeva nelle risse, si faceva in due per assicuragli il rispetto dei suoi amici e riusciva anche ad accollarsi le colpe che non fossero le sue. «Fin dal primo giorno, io e John dormivamo nella stessa camera, nonostante la nostra casa fosse piena di stanze. Era davvero bello poter chiacchierare di ciò che era successo nell’arco della giornata e di ciò che ci riservava il futuro. Inoltre, a volte io e John litigavamo e ci menavamo di brutto, e stando nella stessa stanza potevamo farlo direttamente lì, senza contare che almeno avevo un letto soffice su cui atterrare quando mi afferrava e mi lanciava in aria».
Questa e tante altre testimonianze sono contenute nel libro John Bonham, il motore dei Led Zeppelin  (Arcana, p.p.256, euro 23,00) nella traduzione di Marco Lascialfari, con inserto fotografico e 50 scatti inediti di Mick. Più che essere una biografia il libro è un ritratto di famiglia (c’è anche uno scritto della sorella Deborah in appendice), un diario intimo e confidenziale che mostra i lati nascosti e poco conosciuti, la bontà d’animo e le fragilità umane di un musicista imponente, God of Thunder, il dio del tuono lo soprannomineranno in seguito. Un gigante buono e generoso, nonostante la fama negativa che lo accompagnerà. Gli occhi che lo scrutano non sono quelli di un estraneo, ma di un fratello che non può far altro che rendere pubblica l’umanità di un artista, sottacendo con un pizzico di ironia i lati più controversi, i luoghi comuni di quella perdizione che affligge da sempre, come una maledizione, la vita delle rockstar.

Dall’infanzia passando per l’adolescenza, John dimostrò in ogni occasione la sua passione per la batteria, passando dai fusti di latta all’ascolto smodato e appassionato di Gene Krupa, uno dei più importanti batteristi jazz che legò il suo nome alle fortune dell’orchestra di Benny Goodman.

Per mantenersi, John fece il carpentiere e tanti altri lavori pur di alimentare il sogno di suonare in una band. Suonò in tanti gruppi di Birmingham e dintorni: l’inizio di una carriera che si sarebbe rivelata nel giro di alcuni anni entusiasmante. La grande occasione non si fece attendere quando Robert Plant (che aveva conosciuto nei Band of Joy) gli chiese di entrare a far parte dei New Yardbirds con Jimmy Page e John Paul Jones, prima che cambiassero il nome in Led Zeppelin e dessero alle stampe nel 1969 due dischi che avrebbero cambiato la storia del rock (Led Zeppelin I e Led Zeppelin II, quest’ultimo scalzò dal primo posto delle classifiche di Billboard, Abbey Road dei Beatles).

Tecnica batteristica eccelsa, potente e incisiva quanto raffinata e precisa: John Bonham fece scuola e continua a essere un punto di riferimento per chiunque si avvicini allo strumento. Nella storia, su tutto, resterà il celeberrimo assolo di Moby Dick. « posto del piede destro ha le nacchere», confessò Jimi Hendrix a Robert Plant. Ancora, nel libro, Phil Collins, il batterista dei Genesis che lo avrebbe sostituito nella reunion sul palco del Live Aid nel 1985, racconta: «Rimasi sconcertato dal batterista. Faceva cose con la grancassa che non avevo mai visto prima. Mi ripromisi di tenere d’occhio questo John Bonham e ne seguii i progressi. Anche allora ebbe un’influenza importantissima sul mio modo di suonare». Ancora, il suo collega di band, il bassista John Paul Jones ricorda che durante un festival in cui si esibiva anche James Brown (uno degli idoli di Bonham) i tre batteristi dell’afroamericano vedendo la potenza di Bonzo rimasero increduli a fissarlo mentre suonava, chiedendosi com’era possibile che da solo facesse l’equivalente alle percussioni di quello che loro facevano in tre.

fu collezionista di macchine costosissime e spesso non aveva alcun timore a mostrare il lato più esuberante del suo carattere. In un’altra gustosa testimonianza Glen Matlock ricorda che durante un concerto dei suoi Sex Pistols e dei Damned successe il pandemonio: «Rimasi stupefatto quando vidi John in piedi dietro alla batteria con un ghigno rabbioso stampato sul viso. Se ne stava lì dritto e tutto impettito e partì con una violenta invettiva contro la band. Gridò: “Dove cazzo è andata la band? Hanno suonato solo quindici minuti. Noi suoniamo per tre ore, cazzo, perché siamo uomini veri, non un branco di smidollati. Fu così che John Bonham uscì dalla scena punk, accompagnato dall’idea che alla veneranda età di ventinove anni uno è già un vecchio hippy».

Irascibile (fu soprannominato The Beast, la bestia, per i suoi scatti d’ira indotti spesso dall’alcol), ma anche umilissimo. Come quando, dopo un concerto dei Police, per i quali stravedeva, si complimentò con il batterista, Stuart Copeland, mentre un giovane e spocchioso Sting gli diceva: «Ehi, attento a non calpestarmi le scarpe di camoscio blu», senza che il portentoso batterista battesse ciglio.

Dell’essere un batterista diceva: «Se il tuo sound si basa solo sulla tecnica, suonerai come chiunque altro. Ciò che conta è essere originale».
Questa raccolta di ricordi è stata pubblicata postuma alla morte di Mick Bonham avvenuta a 49 anni nel 2000. La moglie Linda ha curato la pubblicazione non facendo mistero di sottolineare: «<Coloro che conoscono più da vicino la nostra famiglia si renderanno conto che Mick ha dato un taglio leggero e spensierato alla sua storia, e ha taciuto parecchi ricordi, poiché di natura troppo intima e personale o troppo dolorosi: ad esempio, la descrizione da lui fornita della morte di John è concisa, poiché non riusciva a trovare le parole giuste per esprimere il suo dolore».

John “Bonzo” Bonham morì il 25 settembre 1980 soffocato dal suo stesso vomito. Aveva solo 32 anni. Il 4 dicembre dello stesso anno con un comunicato stampa i Led Zeppelin annunciavano al mondo intero la loro fine:«Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere – in piena armonia tra noi ed il nostro manager – che non possiamo più continuare come eravamo».





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