venerdì 7 gennaio 2022

11...LED ZEPPELIN♪♫ storie di immagini. e curiosità.


 .LED ZEPPELIN♪♫ storie di immagini. e curiosità.

Non sottovalutare mai quanto sia funky John Paul Jones. L'inglese bianco e pastoso ha le capacità di suonare il basso di un grande musicista di sessione Motown, e ha avuto modo di dimostrarlo in tutto il catalogo dei Led Zeppelin. Se mai ci fosse stato un taglio di fine periodo che dimostrasse quanto Jones potesse essere sciolto e viscido sulla quattro corde, sarebbe sul taglio Coda 'Ozone Baby'.
C'è un motivo per cui il basso di Jones è forte nel mix, se non più forte, della chitarra di Page: sta facendo il lavoro più interessante nella canzone. Gli Zeppelin erano tutt'altro che kaput quando Bonham morì tragicamente nel 1980, e "Ozone Baby" consolidò il fatto che John Paul Jones e il suo bassista stavano invecchiando come un buon vino.
Auguri
Jonesy💞🍾🌹
Led Zeppelin: Ozone Baby [DRUM TRACK]
Ozone Baby (Remaster)
album Coda..
e pensare che è stata sua moglie a dirgli di chiamare Jimmy...
<<Stavo vagando da un paio di giorni assonnato per casa, dopo diverse collaborazioni non avevo nulla da fare; fino a che mia moglie mi disse: "La smetti di trascinarti per casa? Esci di qui, fai qualcosa, cercati una band!". Avevo appena saputo che un musicista con cui avevo precedentemente collaborato, Jimmy Page, cercava un bassista…>>”.


compleanno jimmy Page..

Questo raro e chiaro scatto di quanto segue: Robert Plant, suo figlio Karac, Scarlet Page, la figlia di Jimmy, Carmen Plant, e sua moglie Maureen Wilson al Premiere Party di "La canzone rimane la stessa". "
21 novembre 1976.






Auguri
 Genio😘🤟🌹
ho sempre pensato che
La gioventù è il dono della natura, ma l’età adulta è l’opera d’arte. Lella..
Buon compleanno
OH JIMMY!!! e..tuffiamoci in questa marea tempestosa, fluida, gratificante, rigenerante, mistica, deliriante, effervescente,penetrante, visionaria distruttiva e rinanescente,tuonante quanto soffusa, ombra e luce mitica..ne avrei da aggiungere..e continuo a bearmi di si tanta magnificienza..grazie😘






On the occasion of Jimmy Page's Birthday...
In a career that has spanned seven decades, Jimmy Page has written the rule book on the art of rock guitar. From monolithic riffing to blistering solos, through acoustic beauty to vast instrumental guitar orchestration.
Here are ten examples of some of his best solos from the Led Zeppelin catalogue...
10: COMMUNICATION BREAKDOWN (1969)
An early Zep anthem and a prime example of the economy Page can bring to the table. The song itself has the sort of frantic quality that the likes of Johnny Rotten and the punk rock movement would attempt to replicate a decade later. As for the solo – short, sharp and incisive. A mimed performance for Swedish TV in March 1969 was a rare small screen appearance.
9: RAMBLE ON (1969)
Page brings grace, finesse and style to the proceedings with a smooth tonal run at one minute 47 that perfectly complements the upbeat chorus. The ripple of notes he churns out for the second solo around two minutes 25 is also mighty fine.
8: FOR YOUR LIFE (1976) ..
This Presence track found a physically impaired Plant (he was recovering from a car smash) questioning their dubious on the road life style. Page’s solo is as vicious as some of the lyrical observations. A venomous affair that spirals out of the speakers. Never performed live in the Zep era, they bravely attempted it at the 2007 reunion show – and absolutely nailed it.
7: THE ROVER (1975)
He can do bombastic, he can do blues, he can do 50’s rock’n’roll – he can damn near doing anything, and he can definitely do guitar melody as well as anyone. The solo on this under-rated gem is ample proof.
6: IN THE EVENING (1979)
Jimmy may have been taken something of a back seat to Plant and John Paul Jones in the recording of their final studio album In Through the Out Door – however on this strutting opening track, he impressively stamps his authority on proceedings. The slamming door effect of the solo is yet another innovation. Washed up in 1979? Not on this evidence.
5: BLACK DOG (1971)
Page cleverly interweaves the riff across a series of accapella vocal lines and what a riff it is – a monster affair played in a manner that would baffle copyists for years to come. The solo he saves for the close – a beautifully constructed cascade of rippling notes.
4: WHOLE LOTTA LOVE (1969)
Time has done nothing to diminish the pure adrenalin rush of the riff that ate the world. It leads on into a simply scintillating solo played out against Bonzo’s hammerings . For their 1979 Kenbworth appearances it was given a new lease of life – recharged, revamped and re-modeled for the post punk era. How joyous they all look on the clip from the official 2003 DVD release. Crunching through it all again and again
3: SINCE I’VE BEEN LOVING YOU (1970)
Drama, dynamics and dexterity are the ingredients for this flawless performance. An excited cry of ”Watch out!” from Plant is the signal for Page to let loose with a solo of awesome
artistry. Always a live stage favourite, this was one of the undoubted highlights of their Song Remains The Same movie.
2: ACHILLES LAST STAND (1976)
It was Page’s determination to turn adversity into triumph that ignited the entire Presence album. At the helm of it all, is this extraordinary opening ten minute lament. The guitar orchestration is pure a genius and the final outpouring of overdubbed majesty quite breathtaking. The defining studio statement of a defining guitar hero.
1: STAIRWAY TO HEAVEN (LIVE AT EARLS COURT 1975)
Much maligned, in truth rarely bettered. As impressive as the studio version, the live rendering from their Earls Court performance in 1975 is even better. Marvel at the entry of that solo as Page goes from madrigal to maelstrom with the switch of a guitar neck. Masterful.
Happy Birthday to the Lord Of The Strings..
Dave Lewis - January 9,2022.
In occasione del compleanno di Jimmy Page...
In una carriera che dura sette decenni, Jimmy Page ha scritto il libro di regole sull'arte della chitarra rock. Dal riffing monolitico agli assoli blistering, attraverso la bellezza acustica fino alla vasta orchestrazione strumentale di chitarra.
Ecco dieci esempi di alcuni dei suoi migliori assoli dal catalogo Led Zeppelin...
10: RIPARTIZIONE DELLA COMUNICAZIONE (1969)
Un primo inno Zep e un primo esempio di economia che Page può portare in tavola. La canzone stessa ha quel tipo di qualità frenetica che quelli come Johnny Rotten e il movimento punk rock avrebbero tentato di replicare un decennio dopo. Quanto all'assolo - breve, tagliente e incisivo. Una performance mimata per la TV svedese nel marzo 1969 fu una rara apparizione sul piccolo schermo.
9: RAMBLE ON (1969)
Page porta grazia, finezza e stile al procedimento con una corsa tonale liscia a un minuto 47 che completa perfettamente il ritornello upbeat. L'increspatura di note che fa per il secondo assolo intorno ai due minuti e 25 va benissimo.
8: PER LA TUA VITA (1976) ..
Questa traccia di Presence ha trovato una pianta con problemi fisici (si stava riprendendo da un incidente d'auto) che metteva in dubbio il loro dubbia stile di vita sulla strada. L'assolo di Page è vizioso come alcune osservazioni liriche. Una vicenda velenosa che esce a spirale dagli altoparlanti. Mai esibito dal vivo nell'era Zep, hanno coraggiosamente tentato alla reunion show del 2007 - e ci hanno assolutamente azzeccato.
7: IL ROVER (1975)
Sa fare bombastic, sa fare blues, sa fare rock'n'roll anni '50 - può dannatamente quasi fare qualsiasi cosa, e sa sicuramente fare melodia di chitarra come chiunque altro. L'assolo su questa gemma sottovalutata ne è una prova ampia.
6: DI SERA (1979)
Jimmy potrebbe essere stato preso una specie di sedile posteriore a Plant e John Paul Jones nella registrazione del loro ultimo album in studio In Through the Out Door - tuttavia su questa traccia di apertura incedente, ha impressionantemente timbrato la sua autorità nei procedimenti. L'effetto porta sbattuta dell'assolo è l'ennesima innovazione. Lavato nel 1979? Non su queste prove.
5: CANE NERO (1971)
Page intreccia abilmente il riff attraverso una serie di linee vocali accapella e che riff è – una vicenda mostruosa giocata in un modo che sconcerterebbe i copisti per gli anni a venire. L'assolo che conserva per la chiusura - una cascata di note che increspano in modo meraviglioso.
4: TUTTO LOTTA AMORE (1969)
Il tempo non ha fatto nulla per sminuire la pura adrenalina del riff che ha mangiato il mondo. Conduce in un assolo semplicemente scintillante giocato contro i martellati di Bonzo. Per le loro apparizioni a Kenbworth del 1979 gli è stata data una nuova vita - ricaricata, rinnovata e rimodellata per l'era post punk. Come sembrano tutti felici sul video dell'uscita ufficiale del DVD del 2003. Schiacciando tutto questo ancora e ancora
3: DA QUANDO TI AMO (1970)
Dramma, dinamica e destrezza sono gli ingredienti per questa prestazione impeccabile. Un grido eccitato di "Attenzione! » da Plant è il segnale per Page di lasciarsi andare con un assolo di impressionante
artistica. Sempre tra i preferiti dal vivo, questo è stato uno dei momenti salienti indubbi del loro film Song Remains The Same.
2: ULTIMO STAND DI ACHILLES (1976)
È stata la determinazione di Page a trasformare le avversità in trionfo ad accendere l'intero album dei Presence. Al timone di tutto questo, c'è questa apertura straordinaria lamento di dieci minuti. L'orchestrazione della chitarra è pura genialità e l'effusione finale di sovraincantata maestà è piuttosto mozzafiato. La dichiarazione definitiva in studio di un eroe della chitarra.
1: STAIRWAY TO HEAVEN (LIVE A EARLS COURT 1975)
Molto maligno, in verità raramente migliorato. Impressionante come la versione in studio, il rendering live della loro esibizione di Earls Court nel 1975 è ancora migliore. Meravigliosi dell'ingresso di quell'assolo mentre Page passa da madrigal a maelstrom con lo switch di un collo di chitarra. Magistrale
Buon compleanno al Signore degli Strings...
Dave Lewis - 9 gennaio 2022.


 “Non me ne vogliano gli estimatori di altri generi musicali, di altre band, di altri musicisti, di altri brani dei Led Zeppelin o i semplici ammiratori di questa appassionante e inebriante formazione. Ma devo confessare che quando penso alla musica, la prima cosa che mi passa per la mente è il Rock, quando penso al Rock la prima cosa che mi passa per la testa sono i Led Zeppelin e quando penso ai Led Zeppelin nella mia mente c’è spazio per uno e un solo brano: “Dazed and Confused”. Mi scuso in anticipo per l’enfasi, perché descrivere questo pezzo, per me, è come per un figlio devoto descrivere l’amata mamma; per un marito innamorato l’adorata moglie; per un padre l’amore incondizionato per la propria figlia! Non chiedetemi il perché sia così! Questa circostanza è una di quelle che la scienza definirebbe come un dato ultimo. Premetto, che questo è l’unico caso in cui posso accettare gli immancabili riferimenti a riti satanici, patti col diavolo o alla bontà divina che accompagna la leggenda dei Led Zeppelin. La mia posizione in questo caso è netta: «Sì! È plausibile che i Led Zeppelin abbiano venduto l’anima al demonio e se in cambio hanno ricevuto questa performance, sono pronto a fare lo stesso in qualunque momento.». Sì, perché non è del brano in sé che stiamo parlando. In fondo non è altro che una cover! Certo, si tratta di una cover evoluta dal suo tema Blues originario e condotta alle più estreme, illogiche e imprevedibili conseguenze evolutive del Rock-Blues! Ma… questi sono i Led Zeppelin! No, no ragazzi… qui stiamo parlando di un’esibizione a cui nemmeno Lucifero in persona avrebbe mai potuto immaginare di poter assistere. Non nella vita terrena almeno! Penso di poter definire le prestazioni dei quattro semplicemente perfette. Per essere preciso, sono più che perfette. Ispirate, epiche, divine, sovrumane, celestiali, indemoniate. Memorabili! È Jones a dominare e sorreggere tutto e tutti con apodittica personalità. Plant è straziante, esaltante, elettrizzante, emozionante, graffiante e sensuale come mai era stato prima e come mai sarebbe stato dopo quell’incredibile serata. Bonzo martella come un invasato a una velocità inverosimile, con una potenza inaudita… inenarrabile! Page è apocalittico. Disegna nell’aria riff stratosferici, assolo e distorsioni ripetute che travalicano il limite dell’ossessione, con melodie ipnotiche e arpeggi divini! Chi altro è mai stato in grado di creare un’atmosfera e sensazioni simili? Chi altri ci riuscirà mai? “In principio… Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.”: John Paul Jones! Il basso cupo, tetro e pesante domina il pezzo e ne sostiene maestosamente l’idea, i principi, i concetti, la dimensione e l’atmosfera. Un’atmosfera cupa, psichedelica e tetra… noir! Sentiamo sempre e solo Jones alle tastiere, mentre Page comincia a esortare la mitica Les Paul a cantare. Sì, la invita a cantare per duettare con Plant! Percy accetta volentieri l'invito penetrando il cielo con una voce graffiante, oscura, furibonda e sofferente. Una voce maledettamente Blues, espressione della devastazione dell’amore, della pazzia nella vendetta, del dolore per il risentimento verso una donna che, non solo non ricambia il suo immenso amore, ma si prende gioco di lui uccidendo lentamente la sua anima. Una donna malefica, una donna traditrice che lo inganna e che “stordisce e confonde” con il caos creato nell’intimità dell'animo. Intanto la Les Paul è sempre più distorta, sempre più cattiva e veemente… sempre più aggressiva! Sono passati poco più di otto minuti e mezzo quando il pubblico può assistere a un vero e proprio miracolo: il dominatore indiscusso del palco; il domatore del pubblico si fa da parte: Plant si oscura, si annienta, sprofonda sparendo negli inferi… perché lui sa quello che sta per succedere; lui sa già quello che, proprio in quel preciso momento, deve succedere. È arrivato il tempo che ZoSo riscuota il premio del suo patto col demonio. Diventa un tutt’uno con la chitarra, una vera e propria simbiosi mistica, sacra e profana allo stesso tempo. La sua mano è accorpata nell’archetto da violino per scolpire indelebilmente la storia sulle corde della Les Paul. E sono gatti arruffati in calore che si azzuffano… ossessioni paranoiche che s’intrecciano. Prismi di note che si diramano in un turbinio di suoni. Il cielo, il paradiso, l’inferno e il Nirvana sono oramai a portata di mano… è l'annuncio dell’apocalisse! È il caos perfetto! I più temerari, nelle prime file, si chiedono caoticamente cosa stia succedendo sul palco. Quelli in fondo non vedono bene, ma sentono tutto. «Beh, deve essere l’acido lisergico…» pensa qualcuno. «Ma che diavolo sta succedendo lassù…?» pensano altri. L’estasi adesso è davvero collettiva e, proprio mentre cala il silenzio, Robert si lamenta… ma la Les Paul lo risolleva. Cala di nuovo il silenzio. Il pubblico è stordito; è confuso! Tutti credono che il brano sia finito e, come ripresi dall’estasi, accennano a un timido applauso. Nemmeno per idea! Siamo solo al preludio, alla prefazione, ai preliminari di un’orgia di suoni che si sta lentamente consumando, ma che è ancora lontana dall’orgasmo. Il brano, adesso, sconfina di gran lunga ogni limite della conoscenza e della percezione umana. Trascendiamo la realtà e la verità stessa. È il Blues dei Led Zeppelin che trascende nella psichedelia e, quando il pezzo raggiunge il culmine acclamato e inquieto del disagio da rimuovere, arriva il momento di Bonham. Bonzo usa le bacchette come fossero il martello della divinità dei tuoni… e richiama tuoni e fulmini ai suoi ordini: soprannaturale la rullata a spianare la strada a Page che richiama ancora una volta a sé tutto il maledetto talento artistico dagli inferi e lo scarica in una sequenza di melodie, di armonie, di sinfonie e sonetti. Anche la rabbia di Plant trova finalmente libero sfogo! I quattro discendono all'unisono nel baratro della psichedelia e trascinano tutto il pubblico giù con loro. Solo Bonzo mantiene una calma apparente. Risveglia tutti dal sogno in cui sono piombati, sopportando da solo il gravoso onere di riportarli alla realtà con il suo poderoso break! Accompagna Page per poi congedarlo con un’esplosione sui tamburi. Il brano torna alla sua tetra sonorità iniziale. Qualche barlume, qualche timido sprazzo di rabbia e rancore, fino a che Plant la spegne nell’atteso orgasmo finale. Boooooom… il dirigibile è esploso… lo Zeppelin è in fiamme! Dio… cosa non avrei dato per esserci! Quando tutto è finito, sembra che Plant senta un disperato bisogno di ricordare al pubblico che tra loro anche Page è un essere umano e lo presenta così: «Jimmy Page electric guitar…» dice al pubblico ancora stordito! Chissà… forse non era un bisogno sentito in quel momento. Forse era una clausola di quel “patto”, fare in modo che nessuno dubitasse della natura demoniaca di quella performance. E se così fosse allora chissà… forse Bonham è stato l’inestimabile prezzo da pagare per quel dannato patto. Ma questa, è un’altra storia…”


Tratto da Oltre il sound dei Led Zeppelin - la filosofia della più grande band di sempre", 1. ed. Milano, 2017
Copyright © Alex Andros

“Dazed and Confused”
Ispirato alla versione Live – Madison Square Garden – New York 1973

Jimmy Page and Roy Harper during a night out in London (September 1, 2016)
Vita on the road con i Led Zeppelin: beh, se lo metti nel contesto, diciamo, di una settimana, probabilmente abbiamo avuto 5 spettacoli al suo interno. E ciascuno di questi spettacoli sarebbe lungo minimo 3 ore. Questo è un allenamento serio. Musicalmente e fisicamente. Si arriva al punto in cui le persone diranno: "Oh, era davvero eccessivo che avessero un aereo", beh, non lo era. Non lo era, perché significava che potevi rimanere a New York, disfare la valigia, e potevi essere di stanza a New York mentre volavi a Filadelfia, volavi a Washington, e... vedi, inizia ad aggiungersi fino a quel momento ha un senso... ma stai facendo più spettacoli. Tutto va visto nel contesto. Ma è stato, è stato, è stato, uh, un bel allenamento. Ma era buono, sai, era anche un buon modo per esercitarsi [ride]. ~ Jimmy Page, intervista video dell'Associated Press, febbraio 2015
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e persone che suonano strumenti musicali
Marina Delg


Jimmy Page photographed by Jesse Dittmar at the Bowery Hotel in New York City, 2014.
Jimmy Page promotes his new book, ‘Jimmy Page By Jimmy Page’ at Barnes & Noble Union Square on November 5, 2014 in New York City.
Il mio udito è davvero buono. Due cose, che mi sorprendono davvero del fatto che stiano ancora lavorando davvero su un rapporto elevato: la mia memoria e anche il mio udito. Sono davvero fortunato. Potrei essere davvero handicappato se non riesco a sentire. Suono sia acustico che elettrico. Voglio dire, andrò là fuori, mostrerò cosa faccio, per cosa sono noto e cosa so fare bene. Ma sono anche noto per fare cose che le altre persone non fanno.


https://www.ondamusicale.it/oggi-in-primo-piano/16823-chitarre-rock-lo-stile-di-jimmy-page/?fbclid=IwAR0SIEAreBpYXzCH9HB07KHqeTj0YMWWOEDpsgZcangXJZoBndNcrRpHo9g

Chitarre rock: lo stile di Jimmy Page

Jimmy Patrick Page

è a tutti gli effetti una leggenda vivente della chitarra rock e della cultura pop contemporanea, avendo segnato indelebilmente il sound e l’immagine del chitarrista come quella di un essere mistico, oscuro e imperturbabile. Quella chitarra alzata al cielo, le gambe larghe e i capelli a coprire il suo sorriso folle, irriverente ed enigmatico hanno creato un’immagine cristallizzata nella coscienza collettiva, ben nota anche ai non avvezzi al genere. Per molti considerato come il padre dell’hard rock e dell’heavy metal  (peccato che Page non riconosca questo genere come un suo figlioccio e prole musicale) ha imposto un marchio indelebile sulla storia della musica contemporanea, esplorando diversi generi e differenti sonorità, figlie di una sperimentazione mai banale che lo ha portato a costruire un sound unico, riconoscibile sin dai primissimi accordi e soprattutto divenuto canone per tutti i chitarristi venuti dopo di lui. Inevitabilmente , quando si parla di Jimmy Page il riferimento ai leggendari Led Zeppelin è d’obbligo.

Bonzo

Quel mastodontico Martello degli Dei composto, oltre che dal nostro – da quella macchina da guerra delle pelli quale era John Bohnam, l’ugola sensuale e androgina di Robert Plant, e il talento multiforme e silenzioso di John Paul Jones –  che proprio in Page ha avuto il principale fondatore e la colonna portante, da un punto di vista compositivo, per una buona parte della discografia (in particolare quella dei primissimi dischi).

Ma andiamo per gradi

perché scavare nel passato pre-zeppeliniano di Page può essere necessario, oltre che per perizia di informazione, per comprendere la natura stessa del suo chitarrismo. I primissimi anni della sua carriera infatti, Page li passò come uomo ombra, come session man a pagamento per diversi artisti, alcuni meno noti –  addirittura incidendo musica da orchestra per le sale da ballo (esperienza per lui decisamente frustrante) – altri ben più famosi. Non sarà raro trovare registrazioni dei primissimi anni Sessanta in cui riconoscere il suo tocco inconfondibile, tanto come chitarrista ritmico che come solista, in alcune tracce degli Who, di Van MorrisonMarianne Faithfull e addirittura i Rolling Stones, già ben più famosi di lui. Per rendere un’idea di quanto alcune canzoni storiche – che hanno segnato un’intera generazione –  portino la sua “firma fantasma”, non si può non citare quel manifesto della Summer of Love che era stata la celeberrima versione di With a Little Help For My Friends di Joe Cocker, così nella versione cantata a Woodstock, e incisa in studio nel disco omonimo (prevalentemente un disco di cover), pubblicato nel 1969.

Anni 60

Tra la metà e la fine degli anni Sessanta infatti, Page aveva acquisito la nomea di uno dei chitarristi da studio più apprezzati e preparati del panorama anglosassone (dove certamente i grandi nomi non mancavano). Questo, in parte, a causa della sua versatilità – avendo suonato praticamente di tutto ed esplorato ogni genere musicale – in parte per il carattere insito al suo chitarrismo. Nonostante ciò, non riuscì a imporsi come compositore e leader vero di una band, perlomeno fino agli ultimi mesi del 1966.

Gli Yarbird

Era stato l’anno in cui Jimmy Page ebbe, per la seconda volta (la prima nel 1964, ma declinò l’invito a favore dell’amico Jeff Beck) la possibilità di suonare – permanentemente – con quegli Yarbirds orfani del chitarrista che aveva (e avrebbe) imposto il canone della chitarra elettrica di tutto il Novecento: Eric Clapton. Proprio quella fase fu nevralgica per la sua evoluzione musicale per due principali motivi. Infatti, dopo l’addio al gruppo dello stesso Beck ed essendo diventato, a tutti gli effetti, l’unico chitarrista solista, Page si trovò a di fronte a un bivio.

John Mayall

Da un lato la possibilità di diventare – anche lui – l’ennesima replica di quel Clapton che tutti reclamavano a gran voce – anche dopo diversi anni dal suo addio (per militare con John Mayall e i suoi Bluesbreakers) – durante i concerti degli Yardbirds;  dall’altro, il cercare di imporre un suono nuovo, avendo per la prima volta nella sua carriera la possibilità di farsi strada come compositore e, cosa rara per un chitarrista non cantate del tempo, come performer alla pari del frontman.  Jimmy non si fece scappare l’occasione e, cercando di mantenere incollati i pezzi di una band ormai disgregata dal successo e dalla tendenza a un certo pop – da lui mai troppo  amato –, tentò di riportare proprio a quella natura primordiale la musica degli Yardbirds, troppo svuotata da tempo dell’iniziale essenza blues.  Page lo fece scaraventando nuovamente  al centro del gruppo quel suono transatlantico tanto caro a un’intera generazione. 

La ricerca della trasgressione sonora

E fin qui, non ci sarebbe nulla di innovativo. Il punto fondamentale e di svolta, questa volta, fu quello di cercare di carpire non solo  gli elementi ipnotici ed  esotici del blues, ma di andare più a fondo, cogliendone anche gli aspetti più dissonanti , seducenti e  sensuali (anche quelli più … osceni), poco esplorati prima . Erano infatti gli anni in cui, come lo stesso  Page ammette, si  era spinto alla ricerca costante della trasgressione sonora per infastidire l’ascoltatore e provocarlo. Alle spalle di questa tendenza c’era la sua personale esigenza di distanziarsi da quell’esperienza precedente come session man in cui si era sentito ingabbiato in canoni, generi e sonorità che per lui erano già stantie, frustrando, in più occasioni, il suo estro creativo, nonché la possibilità di sperimentazione sonora.

Page iniziò così a sfruttare le dissonanze, i rumori, i suoni sgradevoli provenienti dalla sua chitarra e dai sistemi di amplificazione, enfatizzando il suo sound – già molto aggressivo – fino a esasperarne le modalità di esecuzione. Iconica l’immagine di un giovane Jimmy, fotografato in bianco e nero, con la sua Fender telecaster del 1959 martellata con un archetto da violino.

Il ritorno di John Paul Jones

Di lì a poco, dopo aver richiamato nella band un vecchio frequentatore di studi di incisione, John Paul Jones, sarebbero nati i Led Zeppelin. Fu allora che tutto prese forma e che quella sperimentazione – anche eccessivamente avanguardistica e forse autoreferenziale –  riuscì a essere produttiva e funzionale alla creazione di qualcosa di nuovo, pur senza inventare nulla da zero (anche perché nella musica nessuno lo fa, per quanto si creda spesso il contrario). Led Zeppelin I fu infatti un disco bocciato da buona parte della critica, troppi i riferimenti a band – come il Jeff Beck’s Trio – che tentavano di alzare l’asticella proponendo un virtuosismo ancora mai visto prima, proprio a  partire da standard blues abbastanza conosciuti; come troppi  furono i riferimenti a vecchi pezzi degli Yardbirds cui venivano cambiati interpreti e talvolta i titoli, senza stravolgere la canzone (per esempio la celeberrima “Dazed and confused” già nota al pubblico, ma con la voce – ben distante da quella di Plant –  di Keith Relf). 

Nel 1969 infatti, il sound dei Led Zeppelin, e quello della chitarra di Page, erano ancora troppo intrisi – pur con le eccezioni delle suddette provocazioni sonore – del sound degli ultimi Yardbirds, non più quelli di Clapton, ma quelli della coppia Page-Plant.

La Fender Telecaster del ’59

Del resto, in quella fase, Jimmy Page amava destreggiarsi sui 21 tasti della già citata telecaster del 1959, che Jimmy aveva ricevuto proprio da Jeff Beck un paio di anni dopo il suo abbandono degli Yardbirds. A tal proposito c’è da fare una puntualizzazione. Per quanto il chitarrista dei Led Zeppelin, nella sua già citata e celeberrima  iconografia fotografica,  si sia reso noto per portare a spalla una Les Paul (o una Gibson sg Double Neck), buona parte del suo sound è stato costruito proprio a partire dalla telecaster.

La Gibson Les Paul

Del resto, lo stesso Page non ha mai nascosto il fatto che l’utilizzo della Les Paul dal vivo fosse arrivato in una seconda fase e, sostanzialmente, per riprodurre su larga scala la perfezione del suo setup  da studio che vedeva in un amplificatore di piccolo wattaggio Supro e la suddetta Telecaster il connubio più naturale, nonché quello più riuscito. Per molto tempo infatti, Page ha limitato la sua strumentazione a questi pochi elementi, ma nel tempo – come è giusto che sia –  ha sviluppato la costruzione del suo suono anche andando a esplorare altri campi. Oltre al Wah Wah infatti, già a partire dai tempi di Led Zeppelin II,  quando era alla ricerca di maggiore potenza e sustain, Jimmy ha iniziato a utilizzare degli overdrive a pedale e dei fuzz: per qualche tempo un Colorsound Power boost ma soprattutto quel Tone Bender con il quale fu registrato i riff di Whole Lotta Love.

Il meglio di se

Tuttavia, se in termini di effettistica a pedale – prima di quegli anni Ottanta abbastanza sfortunati e improduttivi per lui – non avrebbe mai mostrato particolare attenzione e preferenze, è stato nei sistemi di registrazione del suono che Page ha dato il meglio di sé. Giocando con gli ambienti – celebre l’aneddoto che vuole, come origine del mitico sound di Led Zeppelin IV, la scelta di una villa abbandonata di Headly Grange e  dei legni delle pareti invecchiate e umide  – , gli echi naturali, la posizione e le tipologie di microfoni, e tutti quegli elementi unici e irriproducibili che hanno contribuito a creare quell’enorme iato tra il sound (impeccabile) dei Led Zeppelin in studio e quello (a volte discutibile) di alcuni live in cui si era rivelato impossibile riproporre la medesima perfezione della composizione in studio.

Led Zeppelin III

Parlo di composizione non a caso, perché è qui che Page ha dato – a mio avviso – il meglio di sé. L’album di riferimento è in questo caso Led Zeppelin III quello in cui, finalmente, Jimmy riesce a prevaricare le velleità della sperimentazione avanguardistica dei primi dischi e dell’impostazione r-umoristica della sua musica, per sfoggiare la sua enorme erudizione e conoscenza di diversi linguaggi musicali. Quello del 1970 è infatti un Jimmy Page prevalentemente acustico, maturo e padrone di sé, oltre che del sound di una band ormai giunta (in pochissimo tempo) all’apice del successo.  Il lato A di quel disco contiene l’intero repertorio chitarristico/compositivo del chitarrista britannico.

Celebration Day

è – insieme ad “Achille’s Last Stand”, uno degli ultimi suoi lavori degni di nota – uno dei pezzi di orchestra di chitarre più belli, potenti e inimitabili degli ultimi cinquanta e oltre anni;  “Since I’ve Been Loving You”  invece è forse l’espressione più pura del blues di matrice inglese che incontra l’acre essenza della provocazione rock. Si tratta di un blues minore stratosferico, in cui Page di mostra – insieme al solo di “No Quarter” e molto più dell’inflazionato solo di Stairway to Heaven” – la freschezza nevrotica del suo innovativo fraseggio, virtuosistico ed energico, senza stare troppo a badare alla pulizia sonora. Anche nei suoi licks infatti, si può comprendere come, sostanzialmente, Page fosse un chitarrista con una forte vocazione ritmica. Ed è proprio dal connubio vincente di virtuosismo e ritmo che ha sviluppato, forse a partire da Led Zeppelin IV (il disco senza nome) quel suo tipico modo di costruire una canzone su un semplice riff di chitarra, giocando su dinamiche “luci e ombre” del suo suono. 

1971-1975

Tra il 1971 e il 1975 il suono di Page è ormai ben formato: grosso, nevrotico, sgranato, poco definito e molto, molto rumoroso, tanto nell’utilizzo della chitarra elettrica che nello strumming violento e molto corporeo delle tracce acustiche (la sezione ritmica di fondo di Over the Hills and Far Away” ne è una magnifica testimonianza).  Nei concerti, alle sue fedeli telecaster, come già detto, avrebbe iniziato a preferire due differenti Gibson Les Paul (più una Les Paul custom con tre pickups poco utilizzata) e, non in poche occasioni, la sua famosa Danelectro. Si tratta di una chitarra dal suono e la liuteria molto rudimentale, che ha permesso di mantenere e superare quell’essenza roboante, robusta e acida propria della sorella cattiva delle figlie di Leo Fender.

Kashmir

È proprio grazie alla particolare grana sonora di quest’ultima che Page è riuscito, tramite un particolare sistema di accordatura aperta, a incidere un capolavoro quale è “Kashmir”, manifesto del suo sound, di quello dei Led Zeppelin e di una maturità chitarristica e musicale che aveva ormai raggiunto l’apice.

https://youtu.be/9vbeilE0UrQ

La fine della sperimentazione

Purtroppo, con l’esaurirsi della parabola zeppeliniana, può definirsi concluso anche il percorso di sperimentazione e crescita musicale del guitar hero britannico. Poche o sporadiche le sue apparizioni dal vivo negli anni Ottanta, spesso – purtroppo – inascoltabili, e restituiscono l’idea di un genio ormai distrutto dall’uso delle droghe e da qualche, non irrilevante, problema alle articolazioni della mano sinistra (che già ai tempi degli ultimi live dei Led Zeppelin si era fatto sentire).

Addio esplosività

Pur mantenendo l’impostazione provocatoria del suo essere chitarra e suono vivente, Page ha perso la sua esplosività, versatilità e capacità creativa in modo perenne. Qualche nota positiva, fortunatamente, c’è stata in concomitanza con il ricongiungimento con Robert Plant (con cui incise un disco conseguente a un tour dal nome “No Quarter” che toccò anche l’Italia) in cui si riuscirono a intravedere fasci di luce sparsi del martello degli dei, ormai andato, e qualche elemento nuovo nel suo chitarrismo, complice la commistione e la contaminazione con generi e territori musicali originari delle Afriche (nella band di quel tour c’erano anche alcuni musicisti egiziani e marocchini).

l’espressione più pura del suo talento musicale

Questo disco, a tratti, risulta essere l’espressione più pura del suo talento musicale oltre che chitarristico, nel riuscire a far suonare – contestualmente – diversi mondi musicali in un sound che comunque è e sarà sempre il suo, unico e irripetibile, pur se proveniente dal blues, dal rock n’roll, la world music, il folk, il country, il jazz, il fusion, e la musica classica e di tradizione d’arte. Per questo è il primo tra quelli riportati nelle proposte d’ascolto, il resto – come è evidente –  viene da sé: “The Song Remains the Same

     Matteo Palombi – Onda Musicale

— Onda Musicale




Auguri
Genio😘🤟🌹
ho sempre pensato che
La gioventù è il dono della natura, ma l’età adulta è l’opera d’arte.
Buon compleanno
OH JIMMY!!!
Suonare nei Led Zeppelin era il sogno di ogni musicista.
Era una cosa euforica. Suonavamo circa tre ore per sera, non si può semplicemente girare un interruttore e bloccare l'adrenalina.
Molti musicisti di altri gruppi vi diranno così, ma l'unico modo per scaricarci era uscire a far baldoria. E prima ancora di capire dove sei, hai già perso una notte di sonno. Due settimane dopo ne hai perse parecchie perché ti sei
divertito
un sacco.
Sono sempre alla ricerca di una scintilla creativa. Sempre.
Un riff dovrebbe essere piuttosto ipnotico, perchè sarà suonato ripetutamente.
Sto cercando un angelo con un’ala spezzata.
..tuffiamoci in questa marea tempestosa, fluida, gratificante, rigenerante, mistica, deliriante, effervescente,penetrante, visionaria distruttiva e rinanescente,tuonante quanto soffusa, ombra e luce mitica..ne avrei da aggiungere..e continuo a bearmi di si tanta magnificienza..grazie😘

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