mercoledì 2 febbraio 2022

13..BEHIND SONG LED ZEPPELIN..NASCITA E DISCOGRAFIA BRANI LED ZEPPELIN ....RECENSIONI E ARTICOLI BRANI LED ZEPPELIN 1968-1980


https://www.ondamusicale.it/oggi-in-primo-piano/22080-led-zeppelin-ii-alle-radici-dell-hard-rock/?fbclid=IwAR2ORjWCOZzQyb_6EHTJoxJWi_wEC0tn5N73XLUL0GySnrhGJgK7PG_g4J0

Il 22 ottobre del 1969 non è passato nemmeno un anno da quando il primo disco dei Led Zeppelin era arrivato come un fulmine a ciel sereno nel florido mercato del rock. L’album aveva segnato un vero spartiacque nel passaggio dal rock blues all’hard rock.
Certo, i Led Zeppelin non avevano poi inventato nulla di nuovo, e tanti altri gruppi avevano già proposto suoni altrettanto duri; i Cream, tanto per cominciare, di cui secondo molti Page e soci continuarono il discorso interrotto dal repentino scioglimento, ma anche gli stessi Yardbirds di cui i Led Zeppelin erano emanazione, o certe cose di Jeff Beck e di altre band minori che andavano via via inasprendo i suoni; tuttavia il sound dei Led Zeppelin era risultato essere la quadratura del cerchio. Seppure ancora legato a doppio filo con gli stilemi blues – e del resto la metà dei brani del primo disco sono veri e propri scippi al repertorio blues – mai si era vista una tale potenza di fuoco: la voce di Robert Plant, ricca di vocalizzi e virtuosismi, abbinata alla sua sfrontatezza da vero animale da palcoscenico; la chitarra di Jimmy Page, superveloce e sempre sopra le righe; l’incredibile potenza del drumming di John “Bonzo” Bonham; infine il bassista e polistrumentista John Paul Jones, sottovalutato elemento che riesce sempre a fare da collante tra le personalità egomaniache dei compagni.
Il 1969 passa tra tour devastanti: Usa, Gran Bretagna, Scandinavia. Tutto il mondo deve conoscere il verbo dei nuovi dei del rock e i ragazzi, giovanissimi ed entusiasti per aver finalmente acchiappato lo status di star e pungolati da manager spietati, non si fanno pregare. Ma serve altro materiale e così i quattro ci danno dentro dove e come possono; scrivono durante i viaggi, provano nei soundcheck anziché suonare i pezzi in scaletta e registrano in giro per il mondo, a volte con mezzi non proprio sontuosi.
Il risultato è “Led Zeppelin II”, così battezzato con spiccata fantasia, ed è un risultato che entra nella leggenda da subito, riuscendo nonostante la gestazione avventurosa a non essere semplice emulazione del primo lavoro, ma a portare avanti l’evoluzione del suono della band, tracciando le coordinate hard rock che decine di gruppi seguiranno senza raggiungerne la potenza.
Caliamoci nei panni dell’ignaro ascoltatore che quel 22 ottobre del 1969 si fosse accinto a mettere sul piatto il vinile di “Led Zeppelin II”: il fruscio della puntina, un accenno di risata e parte il riff di “Whole Lotta Love”. Il brano è ora assurto a standard del rock e non solo, utilizzato fino alla nausea per sigle, talent e chissà cos’altro. Immaginate l’effetto che poteva avere all’epoca, quand’era nuovo di zecca e mai sentito: devastante.
La chitarra di Jimmy Page apre il disco tracciando il memorabile riff, certo rubato al blues di Willie Dixon ma rielaborato con geniale semplicità, presto doppiata dal potente basso di Jones; Robert Plant inizia a miagolare il suo blues sofferto e malizioso e, a questo punto, manca solo la batteria di “Bonzo”, che arriva puntuale, precisa e potente come sempre.
Un intermezzo rumoristico e le urla sguaiate e orgasmiche di Plant introducono l’assolo di Page; difficile dire se sia il suo intervento più leggendario, vista la messe di canzoni della band: sicuramente è uno dei migliori. Aperto dal potente stacco di Bonham, il solo di Page sciorina frasi blues da manuale, con un suono nemmeno troppo pesante e distorto e una velocità allora appannaggio di pochi.
Il seguito è con “What Is and What Should Never Be”, brano piuttosto curioso per lo stile dei Led Zeppelin; la partenza, quasi jazzata, ricorda alcuni passaggi dell’Hendrix più psichedelico, il basso di Jones è in particolare evidenza e segna le direttive della canzone, dettando i cambi di ritmo che portano il pezzo da delicata ballata a robusto hard rock. L’assolo di Page alla slide è inaspettatamente delicato, ma non privo di accelerazioni e passaggi più hard: i Led Zeppelin iniziano a sperimentare e il pezzo – che all’epoca doveva suonare straniante – dimostra che hanno ragione.
La successiva “The Lemon Song” rappresenta l’ennesima incursione nella musica del diavolo; è però un blues malato, rallentato e psichedelico, con la chitarra di Jimmy Page, qui quantomai ispirato, a farla da padrone. Il riff è preso pari pari dalla celebre “Killing Floor”, tanto che questo era il titolo quando il brano era in scaletta nei live, amata anche da Jimi Hendrix e all’epoca un vero standard, palestra per tutti i chitarristi. Una repentina accelerazione porta al violento assolo di Page, prima che il brano rientri nel riff iniziale, per poi ispirare una serie di vocalizzi di Plant, con testi di imbarazzante sessismo, a rileggerli con la sensibilità di oggi, che strizzano l’occhio alle liriche del bluesman dannato Robert Johnson. Un vero peccato che i ragazzi all’epoca avessero completamente dimenticato di citare tra gli autori sia Johnson che Howlin’ Wolf, autore di “Killing Floor”: un torto a cui rimedieranno le cause per plagio.
Il brano sancisce – al di là delle polemiche – che i nuovi profeti dell’hard blues sono loro.
Il momento è quello buono per rallentare ed ecco “Thank You”, prima vera ballata romantica del complesso. Dedicata da Plant alla moglie e punteggiata dall’organo di John Paul Jones, suona quasi melodica e pur non essendo prettamente acustica, segna un cambio di registro non indifferente rispetto a quanto sentito finora, con accenti quasi beatlesiani e un bell’assolo acustico di Jimmy Page.
Ma la frenata dura un attimo, il tempo di girare il vinile è l’hard rock muscoloso torna a dominare con “Heartbreaker”. Il brano è giustamente assurto nel tempo a icona dell’hard rock e a vero terreno d’allenamento per giovani chitarristi. Perfino Eddie Van Halen ammise di aver approcciato la tecnica del tapping cercando di riprodurre – senza riuscirci – le sonorità che Page riesce a tirare fuori dalla sua sei corde in questo pezzo.
Il riff di Page è perentorio, uno dei più semplici e allo stesso tempo efficaci della storia del rock; il canto di Plant è essenziale, più che in altri episodi e il lavoro della sezione ritmica è paragonabile ai pistoni di un potente motore da corsa. A un certo punto, al termine di una sorta di “rave up” come usavano fare gli Yardbirds, all’improvviso, il silenzio: Jimmy Page si scatena nell’iconico assolo, ed è proprio il termine giusto visto che lo suona in completa solitudine, dando fondo al repertorio e alla sua proverbiale velocità. La seconda parte è meno celebrata, con gli altri strumenti che riprendono a pompare, ma ancora meglio riuscita. “Heartbreaker” è in definitiva un capolavoro, il manifesto dell’hard rock.
La successiva “Living Loving Maid (She’s Just a Woman)” è curiosamente leggera e orecchiabile, quasi ad anticipare certo hard rock ed heavy metal un po’ di grana grossa di dieci anni dopo. Il testo parla di una groupie di New York che perseguitò per un po’ Page: “Questa canzone parla di una donna degenerata che cerca disperatamente di essere giovane.” – disse Plant a proposito. L’assolo di Page è efficace e molto breve, e propone un suono molto pulito della Les Paul che all’epoca aveva appena iniziato ad usare, dopo averla acquistata da Joe Walsh, futuro Eagles.
Tocca poi a “Ramble On”, gemma del repertorio degli Zeppellin, non sempre considerata a dovere. Il brano parte come ballata quasi acustica, con la chitarra di Page e il basso di Jones molto in evidenza. L’atmosfera da ballata psichedelica ricorda un po’ la celebre “Season of the Witch” di Donovan, ma presto Page imbraccia la celebre Telecaster Dragon – che allora alternava ancora con la Les Paul – e il pezzo diventa una robusta cavalcata rock, un po’ come succederà nella ben più celebre “Stairway to Heaven”.
Si è molto parlato delle percussioni usate da Bonham nella parte acustica del pezzo, senza venirne a capo: chi dice che suonasse un bidoncino dei rifiuti, chi che percuotesse il sedile della batteria o le scarpe. Altri citano la custodia di una chitarra percossa a mani nude. Il testo cita ripetutamente le opere di Tolkien, mentre lo stile di alcuni vocalizzi di Plant nel finale sarà ripreso da Eddie Vedder in “Alive” dei Pearl Jam.
Arriviamo a “Moby Dick”, aperta dal bel riff di Page e Jones e con i fantasiosi fill di chitarra; tuttavia il pezzo è famoso per il lungo assolo di batteria di John Bonham, emblematico della sua tecnica ma spesso saltato a pie’ pari dagli ascoltatori, come quasi sempre per gli assoli di batteria. Il riff è pesantemente debitore a “Watch Your Step” di Bobby Parker, artista conosciuto e stimato da Jimmy Page, ed è infatti in tutto e per tutto un riff blues a livello strutturale.
Il disco si chiude con “Bring it on Home”, altro standard blues di Willie Dixon, artista particolarmente caro alla band. La prima parte è solo per chitarra, voce filtrata e armonica suonata dallo stesso Plant. Quando entrano gli altri strumenti il brano si trasforma completamente, una cavalcata elettrica di hard blues dove Page ha di nuovo occasione di sfoggiare la sua tecnica con pochi eguali. Non è certo il blues più riuscito dei Led Zeppelin ma chiude in modo efficace questo capolavoro del rock.
Ancora un cenno sulla copertina, curata da David Juniper, ex compagno di studi di Page, che ricevette l’impegnativa direttiva di “tirare fuori qualcosa di interessante”.
Il giovane se la cavò basandosi su una fotografia della “Divisione Jagdstaffel 11 della Luftstreitkräfte” risalente alla Prima Guerra Mondiale: era la famosa squadriglia volante capitanata dal “Barone Rosso”. Colorata la foto, Juniper aggiunse le facce dei quattro membri della band.
“Led Zeppelin II” è un disco di importanza capitale per la storia del rock, e dell’hard rock in particolare. Le consuete faide tra fan del gruppo lo pongono in contrapposizione col primo lavoro, quello più caro ai fautori del blues, al terzo – più oscuro e viscerale – e al quarto album, quel “IV” che contiene “Stairway to Heaven”.
Fortunatamente non c’è bisogno di scegliere, il poker di dischi dei Led Zeppelin è patrimonio di qualsiasi appassionato di rock.
Andrea La Rovere
— Onda Musicale


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https://www.linkiesta.it/2022/02/led-zeppelin-recensione-1969/?fbclid=IwAR1PZOooEbLXWppRqMM_zGdRuFUecGwwjUWi9uXquB-ZeFkY4C0FdTMc9V0
Dazed and confusedL’anno in cui la musica fu stravolta dall’apocalisse bombastica dei Led Zeppelin
Nel 1969 nessuno aveva il suono del gruppo rock britannico. Dopo, tutti hanno cercato di copiarli, ovviamente senza riuscirci. Il loro blues progressivo stupisce tutti: dai teenager con gli ormoni a palla fino ai palati sofisticati. Se lo sentirete a volume adeguato, nelle orecchie risuonerà la sensazione di essere appena passati attraverso una tempesta. Read&Listen
Carlo Massarini..
continua....



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http://www.tightbutloose.co.uk/.../john-paul-jones.../...
Grazie Dave
http://www.tightbutloose.co.uk/.../john-paul-jones.../...
Le 12 migliori esibizioni dei Led Zeppelin di John Paul Jones:

Di Dave Lewis

Non proprio quello tranquillo: 12 canzoni che dimostrano il ruolo fondamentale svolto da John Paul Jones nella creazione dell'eredità dei Led Zeppelin...

Con un pedigree nelle sessioni in studio e nell'arrangiamento - lavorando con artisti del calibro di The Rolling Stones e Dusty Springfield oltre a influenze che vanno da Miles Davis alla Motown, John Paul Jones ha sempre portato qualcosa di speciale al ruolo di bassista e tastierista quando ha collaborato con i signori Page, Plant e Bonham per formare i Led Zeppelin. Tale era il suo talento multistrumentale, è stato in grado di portare una musicalità unica al gruppo aggiungendo sintetizzatori, mellotron, mandolino e molto altro al loro suono. Potrebbe essere stato quello tranquillo e senza pretese, ma i suoi vasti contributi echeggiano rumorosamente attraverso l'eredità dei loro dieci album. Ecco 12 dei più grandi momenti Led Zep di John Paul Jones...

Il tuo momento sta arrivando - (Led Zeppelin I - 1969)

Oltre alla sua abilità come bassista, Jones era più che abile con le tastiere. Questa traccia di apertura sul lato due del loro album di debutto del 1969 è stata una prima dimostrazione del suo talento. Dalla sua chiesa come l'introduzione dell'organo Hammond fino alla dissolvenza ipnotica che domina dappertutto. John ha anche arrangiato le parti vocali di supporto sul ritornello ripetuto.

The Lemon Song/ Killing Floor (Led Zeppelin II – 1969)

Per quanto riguarda la sua tecnica di basso, questa resa sgangherata di Killing Floor di Chester Burnett (alias Howlin' Wolf) dei Led Zeppelin II è tenuta ferma dal suo abile modo di suonare il basso Fender Jazz. La sua presenza è molto evidente a partire dai due minuti 49 circa. Seguendo il grido di Plant di ''Take it down a little bit'', JPJ è al centro della scena diventando lo strumentista principale per gran parte del resto della canzone.

Ramble On (Led Zeppelin II 1969)

Dalla sottile introduzione che ha i pattern di basso cadenti di JPJ contrapposti al ritmo di batteria picchiettio di John Bonham, fino al modo in cui sostiene l'assolo di Jimmy, questa è un'altra lezione di basso nel suonare.

Cane nero (Led Zeppelin IV 1971)

Il merito di JPJ come autore di canzoni con Page e Plant è una chiara indicazione del suo contributo a questa apertura di Led Zeppelin IV . È il suo complesso riff di basso lineare influenzato da Smokestack Lightening di John Lee Hooker su cui Page costruisce la sua istrionica chitarra. Lo swing ritmico quasi impossibile da copiare della traccia (tempo di 4/4 contro 5/4) deve molto alla capacità di Jonesy di intrecciare i tempi in chiave.

The Rain Song (Houses Of The Holy 1973)

Nella sua ricerca per aggiungere nuovi colori alla tela Zep, Jonesy ha investito in un Mellotron, una delle prime tastiere di campionamento polifonico. Ciò gli ha permesso di fornire un'intera partitura orchestrale per questa delicata opera. Le ampie corde si muovono senza sforzo attorno agli intermezzi acustici ed elettrici di Jimmy. Come disse una volta Robert Plant dopo una consegna dal vivo di questo pezzo "John Paul Jones era un'orchestra piuttosto a buon mercato"

No Quarter - Live at Madison Square Garden 1973 (La colonna sonora del film La canzone rimane la stessa (1976)

Questa tastiera minacciosa ha portato stravaganza - un momento clou dell'album Houses Of The Holy del 1973 , è diventato un veicolo per ogni tipo di improvvisazione JPJ sul palco. La versione live della colonna sonora del loro film Song Remains The Same è un vivido esempio della pura invenzione che JPJ porta al procedimento. Prende l'assolo di base e lo estende in un'escursione jazzistica riproducendo l'intricato assolo di Page. Magistrale.

Calpestato sotto i piedi (Graffiti fisici - 1975)

Ispirato da artisti del calibro di Superstition di Stevie Wonder e Outta Space di Billy Preston, l'incessante esecuzione del clavinet di Honer di Jonesy aggiunge il funk necessario all'inesorabile riffing di Page e agli accattivanti testi dei giochi di parole di Plant. Kool And The Gang non ha mai suonato così bene.

Alla luce - (Graffiti fisici 1975)

Uno Zepic di otto minuti costruito attorno a una tastiera drone rotante ispirata a JPJ. Un equivalente rock delle pipe a sacco e per quanto bizzarro tutto ciò suoni, nelle mani di Mr Jones funziona perfettamente. Il clavinet è tornato in evidenza nella dissolvenza finale climatica che si riversa intorno all'assolo di chitarra multi doppiato di Page.
una versione molto acustica
versione album 1975


Going To California - Live at Earls Court maggio 1975 - (Led Zeppelin DVD 2003)

Un'altra corda per l'arco – in questo caso il mandolino. John acquisì per la prima volta un mandolino nel 1970 quando Zep inserì un set acustico nel loro spettacolo dal vivo. Lasciati stupire dalla delicata tecnica del fingerpicking di Jonesy mentre completa perfettamente il modo di suonare di Page su questa bellezza acustica, eseguita dal vivo durante le cinque notti di Zep a Earls Court nel 1975.

clip di YouTube qui:

https://www.youtube.com/watch?v=G6wLf0ucCaY

Achille Last Stand - (Presenza 1976)

Un'altra manna per il basso: la performance di Page qui è una delle sue migliori, ma il modo in cui JPJ sostiene la struttura principale della canzone con un potente attacco di basso (per gentile concessione di un modello Becvar 1 Triple Omega a otto corde) è ugualmente stimolante. Nota il modo in cui riproduce i riempimenti frenetici di Bonham, intrecciandosi per formare un ritmo ritmico implacabile.

Carouselambra – (In Through The Out Door 1979)
Carouselambra – (In Through The Out Door 1979)
L'arrivo agli ABBA Studios di Stoccolma prima degli altri membri ha permesso a John di gettare un'ombra potente sul loro ultimo album in studio In Through The Out Door. Questa opera di quasi undici minuti trae grandi benefici dal suo nuovo giocattolo di allora: uno Yamaha GX1, all'epoca uno dei più grandi sintetizzatori analogici e polifonici. Jonesy aggiunge tutti i tipi di abbellimenti alla tastiera, dai riff simili agli ottoni ai montanti funky, tenendo insieme lo spettacolo durante questa impressionante epopea di quest'ultima era.
Dave Lewis🌹
rehearsals from Clearwell Castle, Wales, May 1978

L'arrivo agli ABBA Studios di Stoccolma prima degli altri membri ha permesso a John di gettare un'ombra potente sul loro ultimo album in studio In Through The Out Door. Questa opera di quasi undici minuti trae grandi benefici dal suo nuovo giocattolo di allora: uno Yamaha GX1, all'epoca uno dei più grandi sintetizzatori analogici e polifonici. Jonesy aggiunge tutti i tipi di abbellimenti alla tastiera, dai riff simili agli ottoni ai montanti funky, tenendo insieme lo spettacolo durante questa impressionante epopea di quest'ultima era.

Tutto il mio amore - (In Through The Out Door 1979)

Una creazione di Jones e Plant, questa dolce ballata, un tributo al defunto figlio di Plant, ha dato a Jonesy la possibilità di mostrare le sue tendenze classiche. Il gruppo di note che compongono l'assolo di synth per archi ha una precisa influenza barocca di Bach, un altro esempio delle tendenze musicali eclettiche di Jonesy.

Dave Lewis – 2 febbraio 2022



Led Zeppelin 1977 Cine Film trova... tramite Dogs of Doom...

Due dei migliori reperti di film cinematografici dell'ultima era Zep sono emersi questa settimana tramite il team YouTube di Dogs of Doom.

Catturano davvero l'enormità della band sul palco di New York durante il tour negli Stati Uniti del 1977... guarda e rimani stupito...

Filmati cinematografici inediti dello spettacolo dei Led Zeppelin del 10 giugno 1977 al Madison Square Garden, New York, sono stati pubblicati dal gruppo Dogs of Doom

https://www.youtube.com/watch?v=FUKDN_6afac

Filmati cinematografici inediti dello spettacolo dei Led Zeppelin del 14 giugno 1977 al Madison Square Garden, New York, sono stati pubblicati dal gruppo Dogs of Doom

https://www.youtube.com/watch?v=AsNzmMb2vqA

LED Zeppelin
Due filmati inediti dei Led Zeppelin che si esibiscono a New York nel 1977 sono stati pubblicati online questa settimana dal gruppo Dogs of Doom. Puoi guardare il filmato inedito dello spettacolo dei Led Zeppelin del 10 giugno 1977 al Madison Square Garden qui e il filmato inedito dello spettacolo dei Led Zeppelin del 14 giugno 1977 al Madison Square Garden 

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 http://www.magazzininesistenti.it/led-zeppelin-led-zeppelin-iv-1971-di-nicholas-patrono/?fbclid=IwAR2uIuww-dNHwBxDe3MGEM8BCNWP47N1DpWT0PLxBzMbwvsyuXV9OHQNE5s

Led Zeppelin: “Led Zeppelin IV” (1971) – di Nicholas Patrono


È l’8 novembre 1971, esce in tutti i negozi specializzati il “disco senza titolo”, quarta opera dei Led Zeppelin, passato poi alla storia con il nome ufficioso di “Led Zeppelin IV” e firmato Atlantic Records. È il quarto album per la band di Robert PlantJimmy PageJohn Paul Jones e John Bonham, fondata solo tre anni prima, nel 1968. Un ritmo di produzione impressionante, specie se rapportato alle band odierne, che impiegano due o tre anni, se non di più, tra un disco e l’altro: tourpre-produzioniregistrazionipromozione digitale. Tempi diversi, produzioni diverse, nonché sound diversi e, quello dei Led Zeppelin di “Led Zeppelin IV” è memorabile, perché ciò che era stato fatto nei tre dischi precedenti viene elevato ad una maturità artistica definitiva. Innovativi e caratteristici per l’epoca, Plant e compagni si possono considerare, assieme ai connazionali britannici Deep Purple e Black Sabbath, tra gli illustri padri fondatori di ciò che è diventato l’Hard Rock moderno, poi evolutosi nell’Heavy Metal che oggi conosciamo. A partire dalle prime note dell’opener Black Dog, i Led Zeppelin di “Led Zeppelin IV” si dimostrano intenzionati a spingere sull’acceleratore. Un riff di chitarra che non invecchia mai sfida per tutto il brano le caratteristiche vocalizzazioni di Plant, in un botta e risposta continuo che culmina nell’assolo finale. Mai nominato nel testo della canzone, il “cane nero” di cui parla il titolo era un labrador che si aggirava nei pressi degli studi di registrazione Hadley Grange, divenuto per un breve tempo una specie di mascotte. La successiva Rock and Roll, specialmente apprezzata dal vivo dai fan, è una canzone puramente rock ‘n roll, che rigetta la ricercatezza armonica e pensa solo a entusiasmare il pubblico durante i concerti. Nata spontaneamente, citando il chitarrista Jimmy Paige durante una jam session in cui stavano cercando di concludere la traccia Four SticksRock and Roll è un brano che esprime appieno la filosofia del “less is more”: il meno è più, perché bastano tre accordi e un ritmo spinto per creare una canzone storica. Un’introduzione di mandolino apre la successiva The Battle of Evermore, dove troviamo un Robert Plant meno strillante e più melodico, accompagnato dalla cantante Sandy Denny, già voce dei Fairport Convention,  Fotheringay e splendida icona del Folk Britannico. Brano a tinte folk, sorretto nella sua totalità dal mandolino, dal testo a tematica fantasy e che parla di reregine, un Signore Oscuro e di battaglie… tanto che sembra di trovarsi sulle pendici delle colline scozzesi durante le guerre d’indipendenza, o forse nella Terra di Mezzo del Signore degli Anelli e, se con The Battle of Evermore Led Zeppelin si affacciano oltre il confine del folk, sfiorano poi i lidi del Progressive Rock con la successiva Stairway to Heaven, tra i brani più conosciuti, se non forse il più conosciuto in assoluto della band. Aperto da una delicata introduzione di chitarra acustica e flautoStairway to Heaven estranea l’ascoltatore dal mondo. Costruita in un crescendo studiato e dosato, dove gli strumenti si aggiungono uno per volta e l’atmosfera cresce lentamente, senza fretta, creando un climax sapiente, “di mestiere”, nel quale gli ingredienti musicali sono tanto bilanciati da creare la ricetta perfetta. La canzone accelera verso i 6 minuti, nella sezione finale, con un assolo di Page che dura quasi un minuto. Poi il movimentato momento conclusivo, prima che la canzone raggiunga la sua coda. Negli ultimi quindici secondi, Robert Plant ripete per l’ultima volta: “And she’s buying a stairway to Heaven”. Capolavoro di meritato successo, canzone che tutt’ora ha il potere di introdurre i giovani musicisti alle meraviglie del Rock e dello studio della musica. Reggere il confronto è difficile… e così, la successiva Misty Mountain Hop, per quanto sia un brano di valore, non può che sfigurare al confronto. Dal titolo ispirato dalle Montagne Nebbiose (Misty Mountains) ne “Lo Hobbit” di J. R. R. Tolkien, la canzone affronta il tema delle droghe e l’argomento della legalizzazione, molto caro ai musicisti di quegli anni, in un’atmosfera più simile ai primi due brani, lontana dal folk di The Battle of Evermore e dalle meraviglie di Stairway to Heaven. Il disco prosegue con Four Sticks, brano che esprime un rock contaminato da influenze orientali, sia nelle melodie di ogni strumento, che nell’uso di sitar e tamburi tabla. Brano originale, dalla forte identità, che presenta sonorità sperimentali e un piacevole distacco dal familiare Hard Rock della precedente Misty Mountain Hop. La successiva Going to California, altro intermezzo acustico dal retrogusto folk, utilizza un’accordatura di chitarra alternativa a quella standard: le due corde del Migrave e cantino, sono abbassate di un tono, fino al Re. Quest’accordatura viene definita “double drop D” in inglese ed è stata usata da artisti come Neil YoungThe Doobie BrothersThe DoorsBruce Springsteen e Nick Drake. Un brano di riposo, che prepara il terreno al gran finale, When the Leevee Breakscover del duetto blues Kansas Joe e Memphis Minnie. Introdotta da un cadenzato pattern di batteria di John Bonham, il brano procede con un groove irresistibile, senza perdere le sue atmosfere blues, eppure impreziosito da un crescendo di hard rock, che accompagna l’ascoltatore fino alla fine del disco. Seconda per durata solo a Stairway to Heaven, la rivisitazione dei Led Zeppelin di When the Leevee Breaks conclude più che degnamente il “disco senza titolo” che senza titolo non resterà mai. Perché questo sarà sempre, e per tutti, “Led Zeppelin IV”; un concentrato di classici, alla pari di “Led Zeppelin I”, “II” e “III”, se non superiore. Fondatori dell’hard rock più classico, nonché tra i suoi più grandi esponenti, e progenitori di ciò che è poi diventato l’Heavy Metal moderno, i Led Zeppelin possono permettersi di aver percorso fino alla fine la loro Stairway to Heaven (Scala per il Paradiso) personale. Una scala i cui gradini sono gli otto dischi (“Coda” a parte) pubblicati e che li ha portati nel Paradiso degli immortali della Musica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


https://youtu.be/CPSkNFODVRE

https://youtu.be/b97hqSDRspw


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