Barbari gentili: la guida alle canzoni acustiche dei Led Zeppelin
Sono celebri per i riff esplosivi, gli assoli lancinanti, il blues turbocompresso, le urla guerresche. Ma adoravano anche il folk e Joni Mitchell, conoscevano la tradizione, suonavano a spina staccata
Jimmy Page aveva tutto in testa dall’inizio. La musica dei Led Zeppelin, lo ha spiegato tante volte, doveva essere un’architettura di luci e ombre, una sinfonia di pieni e vuoti. Nelle canzoni del gruppo ci
sarebbero state forza bruta e gentilezza, istinto primordiale ed elaborazione concettuale, pulsione sessuale e finezza cerebrale, metallo pesante (prima che il termine diventasse d’uso comune) e delicatezza. Ci fu, da subito, un altro lato della medaglia a controbilanciare gli amplificatori in overdrive, i riff esplosivi e gli assoli lancinanti, il blues turbocompresso, la batteria devastante di John Bonham, le urla orgiastiche o guerresche di Robert Plant. Robert e Jimmy adoravano Joni Mitchell e certi suoni sognanti che arrivavano dal Laurel Canyon, il folk revival dei Fairport Convention e della Incredible String Band, gli arpeggi di Davey Graham e di Bert Jansch, la poetica lunare e visionaria di Roy Harper, la musica acustica e le chitarre suonate senza spina. Questione di DNA e di educazione musicale, riflesso del mood del tempo e della musica che allora gli girava intorno anche se in radio e in classifica lasciava poche tracce e per scovarla bisognava avere antenne dritte e orecchie aperte.
Gli Zeppelin non erano i Black Sabbath o i Deep Purple, sempre (o quasi) con il volume a palla e il pedale del distorsore acceso. Cresciuto con lo skiffle e svezzato da una miriade di session in sala di incisione in cui bisognava adattarsi a ogni evenienza, Page amava imbracciare anche chitarre Martin e dodici corde, mentre Plant cercava una corrispondenza sonora ai suoi ideali hippie e flower power, Bonham aveva suonato con Tim Rose e John Paul Jones, un altro uomo per tutte le stagioni, come Jimmy era stato in studio con Donovan. Fu comunque una sorpresa, per qualcuno uno shock, quando nel ’70 decisero di riservare un’intera facciata del loro terzo album a canzoni folk e (semi)acustiche, ispirati da quelle idilliache giornate di primavera che Plant e Page avevano trascorso in un remoto cottage gallese del diciottesimo secolo sprovvisto di acqua corrente e di energia elettrica (il cantante c’era stato da bambino in vacanza con la famiglia). Robert con moglie, figlia piccola e cane al seguito, Page con la fidanzata Charlotte Martin, due roadie ingaggiati per sbrigare le faccende quotidiane: quel breve soggiorno scandito da camminate rigeneranti nella natura selvaggia, da qualche visita al pub del villaggio più vicino e da serate trascorse davanti un camino crepitante sotto la luce delle candele produsse un mazzo di canzoni che finirono su III, su IV, su Houses of the Holy e su Physical Graffiti, a volte totalmente trasformate da arrangiamenti elettrici (The Rover e Down by the Seaside, mentre Over The Hills and Far Away conservava la sua dimensione acustica e pastorale nella parte introduttiva) ma capaci di aprire nuovi orizzonti al gruppo soprattutto nella fase centrale della sua vita artistica (non ne rimane traccia negli ultimi due dischi, Presence e In Through the Out Door).
Anche dove l’elettricità si infiltrava e finiva per prendere il sopravvento – Ramble On, naturalmente Stairway to Heaven: sintesi e fusione suprema tra gli Zeppelin acustici ed elettrici e di ogni stile musicale toccato dalla band – le chitarre acustiche erano morbidi pennelli che permettevano a Page di arricchire la tavolozza di colori e la gamma timbrica del sound, mentre Plant vi trovava la sponda ideale per i suoi testi ispirati a Tolkien e alle leggende celtiche, di sapore mistico ed esoterico. Tra il ’70 e il ’72, alla Earls Court di Londra nel ’75 o nel tour americano del ’77, il breve set acustico diventava un momento sospeso, ipnotico e incantato dei loro concerti. In studio, un filone musicale ricco e seducente che, in aridi termini statistici, rappresenta circa il 20 per cento della produzione. Sedici canzoni che vi riproponiamo in ordine cronologico di pubblicazione e che ascoltate di seguito, o rimescolate nella sequenza preferita, compongono una playlist alternativa, parallela e suggestiva al classico best of: come diceva sogghignando il loro temibile manager Peter Grant, i Led Zeppelin sapevano anche essere dei barbari gentili.
“Babe, I’m Gonna Leave You” (da “Led Zeppelin”, 1969)
L’album Joan Baez In Concert (1962) fu uno degli LP che Jimmy Page mise sul piatto, il giorno d’estate del 1968 in cui Robert Plant gli fece visita nella sua casa galleggiante a Pangbourne, sul Tamigi, per parlare di musica e discutere di un possibile futuro professionale insieme. La canzone che il chitarrista amava di più, e su cui si era già esercitato a lungo quando accompagnava Marianne Faithfull, era un folk blues di fine anni ’50 firmato da Anne Bredon e intitolato Babe I’m Gonna Leave You, di cui nel primo album degli Zeppelin stravolgerà l’arrangiamento sovraincidendo parti di chitarra acustica ed elettrica, alternando sequenze in fingerpicking a sezioni in cui il sound dell’intera band deflagra alla massima potenza, amplificandone il mood spagnoleggiante e il pathos drammatico grazie anche all’interpretazione passionale e acrobatica di Plant. Inizialmente accreditato con la dicitura “Traditional, arr. by Jimmy Page”, solo in seguito riporterà correttamente come autrice la Bredon che, a quanto si dice, ricevette poi sostanziose royalty a titolo di compensazione. Resta uno dei vertici del folgorante debutto, e Plant la ripropone tutt’oggi regolarmente in concerto con i Sensational Space Shifters. Nel luglio del 2015, lui e la Baez si sono trovati a condividere il cartellone del Paleo Festival di Nyon in Svizzera: in quella occasione Robert non poteva fare a meno di chiamare Joan sul palco a cantare in duetto la canzone.
“Your Time Is Gonna Come” (da “Led Zeppelin”, 1969)
Se Babe, I’m Gonna Leave You è una delle canzoni più celebri del debutto degli Zeppelin, Your Time Is Gonna Come è forse la più dimenticata: trascurabile per il testo misogino che preannuncia alla perfida donna amata l’imminente resa dei conti, è uno strano ma piacevole pastiche folk pop psichedelico introdotto dagli accordi maestosi di un Hammond che sembra un organo a canne, vivacizzato da un raro coro cantato a quattro voci da tutti i membri del gruppo e da un brillante arrangiamento in cui si intrecciano una chitarra acustica e una Fender pedal steel che Page aveva preso a prestito per la session. Proposta dal vivo soltanto nel primo tour in Scandinavia nel ’68, è stata ripresa dal chitarrista durante i tour con i Black Crowes del 1999-2000.
“Black Mountain Side” (da “Led Zeppelin”, 1969)
In questo brano strumentale che emerge dalle ultime note in dissolvenza di Your Time Is Gonna Come, Jimmy Page non si fa scrupolo di evocare già nel titolo il celebre traditional britannico Blackwaterside e in particolare la versione che ne incise Bert Jansch nell’album Jack Orion (1966), pur senza riconoscere formalmente il contributo creativo del chitarrista scozzese (un vecchio vizio ricorrente). «Non ne abbiamo mai parlato», ha spiegato in varie occasioni il musicista scomparso nel 2011, raccontando che Page è sempre stato evasivo al riguardo e dicendosi poco interessato a una eventuale transazione economica («che me ne farei di tre Rolls Royce?»). «Page ha fatto lo stesso con Davy (Graham)», aveva aggiunto in un’intervista rilasciata nel 2007, «appropriandosi del suo arrangiamento di She Moved Thro’ The Fair». Un altro famoso brano di antiche origini irlandesi da cui Jimmy prese spunto per la sua White Summer, uno strumentale che già eseguiva con gli Yardbirds e che nei primi anni degli Zeppelin proponeva dal vivo proprio in medley con Black Mountain Side. Ad aggiungere un tocco esotico alla versione di studio registrata in un’unica take sono le tabla di Viram Jasani, compositore, sitarista e percussionista britannico nato nel 1945 a Nairobi, in Kenya.
“Friends” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Subito dopo le scorribande vichinghe, il riff martellante e il terrificante grido di battaglia di Immigrant Song il terzo album dei Led Zeppelin cambia completamente registro con questa ballata dal sapore indiano nata durante il soggiorno tra le colline gallesi di Snowdonia, ispirata vagamente a Neil Young e in cui la chitarra acustica ad accordatura aperta utilizzata in funzione ritmica si fonde con una originale partitura per archi ideata da John Paul Jones (stranamente non menzionato come coautore accanto a Page e Plant). Suonata una sola volta dal vivo a Osaka nel 1971, secondo quanto riporta lo storico e biografo del gruppo Dave Lewis nel libro Led Zeppelin – A Celebration venne reincisa insieme a Four Sticks da Page e Plant con l’Orchestra Sinfonica di Bombay nel marzo del 1972: quelle due mitizzate registrazioni, spesso circolate su bootleg, sono state finalmente pubblicate in forma ufficiale nel 2015 nella ristampa “extended” dell’album Coda. Con The Battle of Evermore, That’s The Way e Gallows Pole, Friends è stata ripresa da Page e Plant nell’album No Quarter del 1994.
“Gallows Pole” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Un arcano e sommesso dialogo tra voce e chitarra introduce il pezzo che apre la facciata “acustica” di Led Zeppelin III, libero riadattamento di un antico folk blues tramandato sotto tanti nomi diversi (The Maid Freed from The Gallows, The Gallis Pole), reso popolare dal leggendario Huddie “Lead Belly” Ledbetter e conosciuto da Page grazie alla versione registrata dal californiano Fred Gerlach, uno specialista delle dodici corde, su un vecchio disco Folkways. Il banjo (per la prima e ultima volta in un disco degli Zeppelin), le chitarre acustiche a 6 e 12 corde e la Gibson elettrica di Jimmy, il basso e il mandolino di Jones e poi la batteria arrembante di Bonham si sovrappongono nel missaggio trascinando la canzone verso il finale convulso e accelerato mentre Plant, nella parte del condannato a morte, implora inutilmente il boia di risparmiargli la vita in cambio dell’oro e dell’argento portato dal fratello e dei favori sessuali della sorella. Se pensate che non sia possibile trasformare una ballata ultracentenaria in un rock and roll mozzafiato, (ri)ascoltatela.
“Tangerine” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Una delle ballate più dolci e placide del repertorio Zeppelin ha le sue origini all’epoca degli Yardbirds, quando Page (unico autore accreditato) scrive una canzone intitolata Knowing That I’m Losing You pubblicata ufficialmente solo nel 2017 sull’album Yardbirds ’68 in una versione da cui è stata cancellata la voce di Keith Relf. Nostalgico e sognante lamento che Plant presentava spesso dal vivo come «una canzone sull’amore nelle sue fasi più innocenti», vive di un delicato intreccio tra chitarra acustica e pedal steel di atmosfera westcoastiana: originale la scelta di includere la falsa partenza, quei primi otto secondi in cui Page cerca il tempo e l’accordatura con cui eseguire il pezzo.
“That’s the Way” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Il frutto migliore del periodo trascorso da Page e Plant a Bron-Yr-Aur, il cottage gallese in cui i due soggiornarono brevemente nella primavera del ’70, è questa riflessiva ballata dal titolo provvisorio di The Boy Next Door in cui Plant estrae dalle corde vocali i suoi toni più morbidi e suadenti e dalla penna il suo testo migliore (la storia di due bambini – o adolescenti, o forse amanti – divisi da discriminazioni e barriere sociali, in cui il cantante include anche le sue preoccupazioni ambientaliste e il ricordo dell’atteggiamento ostile da parte dei redneck conservatori di cui è stato vittima nei primi tour americani), mentre Page passa con delicata disinvoltura dall’acustica alla pedal steel, Jones suona un mandolino e Bonham maneggia con discrezione un tamburello. Robert e Jimmy la creano all’istante durante la sosta di una camminata in montagna, seduti ai bordi di un burrone, quando fissano melodia e accordi per voce e chitarra su un registratore portatile a cassetta; mezz’ora dopo, secondo quanto racconterà Plant in successive interviste, Page e la compagna Charlotte concepiranno la figlia Scarlet. Persino il critico musicale Lester Bangs, fustigatore e acerrimo nemico della band, scriverà di essersi commosso al suo ascolto.
“Bron-Y-Aur Stomp” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Uno stomp, in gergo musicale, è una melodia, una canzone o un ballo dal ritmo marcato e veloce: esattamente come questo brano che già nel titolo (storpiato per errore) denuncia la sua origine gallese. È l’altra faccia di That’s The Way, un pezzo allegro, scanzonato e spensierato che Plant dedica (citandolo in coda al testo) al suo collie Strider, mentre dopo un’introduzione nuovamente “ispirata” da Jansch e dalla sua versione del traditional The Waggoner’s Lad Page si muove tra folk e jug music, pennate vigorose e fingerpicking («un incrocio tra Pete Seeger, Earl Scruggs e una totale incompetenza», scherzerà a proposito del suo stile), Jones suona un basso acustico a cinque corde e Bonham percuote cucchiai e nacchere. Funziona decisamente meglio della versione elettrica provata in precedenza, intitolata Jennings Farm Blues e pubblicata tra le bonus della ristampa di Coda. Con That’s The Way farà spesso felicemente coppia nella sezione acustica dei concerti degli Zeppelin.
“Hats Off to (Roy) Harper” (da “Led Zeppelin III”, 1970)
Il brano più debole di III è un’improvvisazione semiparodistica e di poche pretese liberamente ispirata a un vecchio blues di Bukka White, Shake ‘Em On Down (poi rielaborato anche in Custard Pie, il pezzo di apertura di Physical Graffiti). La voce di Plant è distorta da un amplificatore, Page suona una acustica con il bottleneck mentre il titolo è un esplicito omaggio al cantautore Roy Harper, amico della band, artista di spalla in alcuni dei loro tour e grande eccentrico del folk britannico (autore di dischi di culto come Stormcock e HQ e voce solista in Have a Cigar dei Pink Floyd). Ignaro di tutto, quest’ultimo scoprì l’esistenza di una canzone a lui dedicata solo quando Page gli consegnò in anteprima una copia dell’LP. È solo una piccola digressione, un filler, e non stupisce che non sia mai stata eseguita dal vivo.
“Hey Hey What Can I Do” (lato B del singolo “Immigrant Song”, 1970)
A lungo ricercato dai collezionisti per la sua difficile reperibilità, Hey Hey What Can I Do è il solo brano della discografia zeppeliniana a essere stato pubblicato in origine esclusivamente su 45 giri (sia in Europa che negli Stati Uniti). Eppure si tratta di un pezzo robusto e convincente che avrebbe tranquillamente potuto far parte della seconda facciata di III: registrato nel luglio del 1970, sprizza esuberanza ed energia rock and roll a dispetto dell’arrangiamento acustico a base di chitarre e mandolino, mentre Plant sfrutta la sua potenza di emissione e la sua estensione passando in scioltezza da tonalità profonde ai suoi inconfondibili acuti, sostenuto dai cori dei compagni. Una piccola perla nascosta del catalogo, dai primi anni ’90 inclusa in diverse ristampe, oggi disponibile sulle piattaforme digitali e riesumata da Page e Plant nel loro tour del ’95.
“The Battle of Evermore” (da “Led Zeppelin IV”, 1971)
L’amore degli Zeppelin (e di Plant in particolare) per il folk, per la storia britannica e per la fantasy dà forma a una suggestiva ballata a due voci in cui il frontman del quartetto interpreta il ruolo del narratore e la cantante folk inglese Sandy Denny, già nei Fairport Convention, la voce del popolo: sarà l’unica volta in cui in un disco degli Zeppelin si ascolta il contributo vocale di un ospite; alla Denny viene cavallerescamente assegnato anche un simbolo, composto da tre piramidi, nella busta interna dell’LP accanto a quelli che rappresentano i membri del gruppo. Il loro fitto botta e risposta nel testo ispirato da un libro sulle guerre d’indipendenza scozzesi che Plant aveva appena finito di leggere non è l’unica arma vincente di un brano dall’arrangiamento incalzante in cui Page si cimenta al mandolino (di proprietà di Jones, che suona invece una chitarra acustica). Un brano nato quasi per caso, ma baciato dall’ispirazione: quando gli Zeppelin la eseguiranno dal vivo nel tour americano del 1977 sarà Jones a fare da seconda voce al posto della Denny ma non sarà la stessa cosa.
“Going to California” (da “Led Zeppelin IV”, 1971)
Un altro classico, che Plant esegue ancora con frequenza in concerto. Stavolta il tema è più concreto (la ricerca della donna ideale si intreccia a un commento sui terremoti che poco prima avevano scosso la California) mentre la citazione di una ragazza “con l’amore negli occhi e i fiori tra i capelli” che “suona la chitarra, piange e canta” non può non far pensare all’adorata – da lui e da Page – Joni Mitchell. Due chitarre acustiche (a sei e dodici corde) e un mandolino (stavolta suonato dal suo legittimo proprietario, John Paul Jones) intessono lo sfondo strumentale di una delle canzoni più gentili, quiete e riflessive del catalogo Zeppelin, soffusa di contenuta malinconia e di ideali flower power, una romantica elegia il cui protagonista sogna di ripartire da zero e di rifarsi una vita nella Terra Promessa. La miglior risposta a chi considerava e considera la band soltanto “sangue e tuono” (per dirla con le parole di Plant).
“Bron-Yr-Aur” (da “Physical Graffiti”, 1975)
Un altro brano concepito durante la permanenza nell’omonimo cottage, è un breve intermezzo strumentale in cui Page si esibisce da solo con una Martin D-28 ad accordatura aperta evocando ancora una volta lo stile di maestri anticonvenzionali della sei corde acustica come Graham e Jansch. Apprezzabile la sua scelta di non correggere alcuni errori e di non attenuare il cigolio prodotto dallo scivolamento delle dita sulle corde: va a tutto vantaggio del calore e della spontaneità della performance.
“Boogie with Stu” (da “Physical Graffiti”, 1975)
Lo Stu del titolo è il “sesto Stone” Ian Stewart, road manager e pianista della band di Mick Jagger e Keith Richards che aveva già suonato in Rock and Roll e che qui si diverte a strimpellare un vecchio pianoforte scordato nella stanza principale di Headley Grange, la magione diroccata dell’East Hampshire che era uno dei covi preferiti degli Zeppelin. Totalmente improvvisato in studio sia nel testo che nella musica, con Bonham a dettare vigorosamente il ritmo, Page al mandolino e Plant alla chitarra acustica e alla voce, il pezzo a metà tra boogie woogie e country blues richiama così tanto Ooh My Head di Ritchie Valens che la band inserirà nei crediti anche la madre del musicista scomparso in un incidente aereo con Buddy Holly e The Big Bopper il 3 febbraio del 1959, “il giorno in cui la musica morì”. Un divertissement senza pretese ma che mette di buon umore, come le risate che chiosano il brano dopo le ultime battute affidate al solo Bonham.
“Black Country Woman” (da “Physical Graffiti”, 1975)
Ancora spontaneità e un approccio da “buona la prima”. Durante la registrazione di Black Country Woman, all’aperto nel giardino degli studi Stargroves di Mick Jagger, sfreccia in cielo un aereo e il suo rombo rimane registrato sul nastro. Che fare, cancellare tutto e rifare da capo come suggerisce il fonico Eddie Kramer? «No, lascialo», intima Robert Plant prima di attaccare questo country blues con un titolo che omaggia l’area geografica di provenienza del cantante e di John Bonham, la regione industriale delle Midlands annerita dai fumi industriali di fabbriche e fonderie. Estromesso da Houses of the Holy, è un pezzo dal piacevole sapore roots e genuino che, pur senza essere memorabile, nel calderone stilistico di Physical Graffiti ha una sua ragion d’essere.
“Poor Tom” (da “Coda”, 1982)
Scarto di Led Zeppelin III, Poor Tom è un altro pezzo partorito a Bron-Yr-Aur che diventa in studio un blues semiacustico in stile jug band, con un drumming insistente da parte di Bonham e Plant impegnato all’armonica. Il titolo sarebbe ispirato al nome di uno dei protagonisti principali del romanzo di John Steinbeck La valle dell’Eden, il testo è di matrice blues (un uomo scopre il tradimento della moglie e la uccide con un colpo di pistola), il risultato atipico e un po’ confuso. Una outtake dal destino segnato, come la compagna fedifraga del povero Tom.
--------------------------------
Le canzoni dei Led Zeppelin non si sono mai esibite dal vivo
Nonostante il loro nome, i Led Zeppelin sono saliti come un pallone ad elio in cima al rock 'n' roll della fine degli anni '60 e '70 insieme a The Rolling Stones e The Who. Il loro approccio blues più pesante, alimentato dalle fragorose percussioni di John Bonham e dalla chitarra estatica di Jimmy Page, ha scolpito qualcosa di senza precedenti poiché ha sostenuto la voce potente e dinamica di Robert Plant.
Dall'iconica perversione headbanging di "Whole Lotta Love" del 1969 alla caotica e impetuosa "Carouselambra" del 1979, i Led Zeppelin sono maturati dentro e fuori dal palco, documentando la loro odissea musicale con otto seminali album in studio. Il gruppo è entrato nella mischia con sicurezza strumentale, ma negli anni '70 si è dimostrato creativo e maestro dei compositori.
Nel vero spirito prog-rock, i Led Zeppelin non hanno mai evitato la complessità, e se si avvicinassero alle coste della pretesa, allora così sia: dove sarebbe l'arte senza pretesa? Nel 1971, la band pubblicò "Stairway to Heaven", una delle loro epopee più durature, che diede il tono alle complessità del materiale futuro.
Mentre il protratto piacere delle classifiche attira l'attenzione al livello di "Bohemian Rhapsody" dei Queen, non era la traccia tecnicamente più complessa del suo album di casa, Led Zeppelin IV. La caratteristica "Black Dog" dà senza dubbio filo da torcere a "Stairway", ma "Four Sticks" è stata l'unica canzone a lasciare completamente perplessi la band quando cercava di ricreare una registrazione in studio sul palco.
A un orecchio inesperto, l'oscuro successo del 1971 non appare tanto complesso quanto semplice, caotico e sconnesso. Ahimè, è il caos sconnesso di questa frenesia oscillante del suono che ha reso così difficile da suonare.
Lo schema di batteria passa da una sezione di strofe in 5/4 a una in 6/8, e in studio si è rivelata una vera sfida per Bonham portare le sue bacchette in giro. Secondo il bassista John Paul Jones: “Gli ci sono voluti anni per ottenere 'Four Sticks.' Sembravo essere l'unico in grado di contare davvero le cose. Page suonava qualcosa e [John] diceva: "È fantastico". Dov'è il primo battito? Lo sai, ma devi dircelo...' In realtà non riusciva a contare quello che stava suonando. Sarebbe una bella frase, ma non si potrebbe riferire a un conteggio. Se pensi che "uno" sia nel posto sbagliato, sei completamente fottuto.
Bonham è finalmente riuscito a registrare le sue tracce di batteria in studio, usando due bacchette per mano - da cui il titolo della canzone - per ottenere quel caratteristico suono di clic. A causa della complessità della canzone, i Led Zeppelin hanno aggiunto "Four Sticks" a un elenco di brani che avrebbero trascurato nelle scalette. Hanno provato la canzone dal vivo solo una volta, in un concerto del 1971 a Copenaghen, prima di abbandonarla definitivamente. Ascolta sotto.
L'elenco che segue raccoglie le 19 canzoni che i Led Zeppelin hanno omesso da tutti gli spettacoli dal vivo, sia per motivi di complessità che di avversione. Ironia della sorte, "Houses of the Holy", un'ode all'esperienza live dei Led Zep, fa la sua comparsa nella lista.
Le canzoni che i Led Zeppelin non hanno mai suonato dal vivo
'Living Loving Maid (She's Just a Woman)'
'La La'
'Hats off to (Roy) Harper'
'Hey, Hey, What Can I Do'
'D'yer Maker'
' The Rover'
'Houses of the Holy'
'In the Light'
'Down by the Seaside'
'Night Flight'
'Boogie With Stu'
'Royal Orleans'
'Candy Store Rock'
'Hots on for Nowhere'
'Tea for One'
' South Bound Suarez'
'Fool in the Rain'
'Carouselambra'
'I'm Gonna Crawl'
------------------------
-------------------
..𝐋'𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐜𝐚𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐃𝐞𝐢
𝐬𝐜𝐞𝐧𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚 𝐧𝐨𝐢
𝐞 𝐧𝐨𝐢 𝐜𝐢 𝐢𝐧𝐧𝐚𝐥𝐳𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨.
..Love is a ladder on which the gods
descend down to us
And we rise up to them....
buongiorno anime belle
Led Zeppelin - The Stairway Sessions
..qui di "scale degli Dei" ne abbiamo esempi insostituibili
---
https://swctcn.com/why-led-zeppelin-threw-out-the-original-designer-of-the-houses-of-the-holy-cover/?fbclid=IwAR3pkg_vkfLFPvghlNfTiK3ddCKnAfDe4O5uuYho97OoGkSDrkMKPyN-mUk
Perché i Led Zeppelin hanno buttato via il disegnatore originale della copertina di "Houses of the Holy"
I Led Zeppelin sono usciti oscillanti con i loro primi design delle copertine degli album. Dall'immagine esplosiva del debutto degli Zep nel '69 alla cover di "Brown Bomber" nominata ai Grammy di Led Zeppelin II, la band si è assicurata che l'arte corrispondesse alla potenza della sua musica.
Ma dopo le ottime esibizioni su Led Zeppelin III (1970) e il quarto LP senza titolo del '71 (alias "Zoso"), gli Zep decisero di provare qualcosa di nuovo per Houses of the Holy (1973). La band ha assunto Hipgnosis, l'azienda dietro le copertine degli album dei Pink Floyd dalla fine degli anni '60.
Il primo incontro di Zeppelin con Hipgnosis non è andato bene. Quando Storm Thorgerson si presentò con il suo primo crack sulla copertina di Houses of the Holy, Jimmy Page e i suoi compagni di band rimasero sconvolti. E hanno prontamente buttato Thorgerson fuori dalla stanza.
I Led Zeppelin sono stati insultati dal primo tiro per la copertina di 'Houses of the Holy'
Thorgerson ha fondato con Hipgnosis con Aubrey Powell, ei due avevano goduto di una grande serie di successi prima dell'incontro con gli Zeppelin. Il loro lavoro includeva A Saucerful of Secrets (1968) di Floyd e Electric Warrior (1971) di T. Rex.
Eppure quei progetti vincenti non hanno preparato i Led Zeppelin all'idea di Thorgerson. "Questo ragazzo Storm è arrivato portando questa foto di un campo da tennis verde elettrico con una racchetta da tennis", ha ricordato Page in un'intervista del 1993 con Guitar World (tramite Classic Rock Review).
“Ho detto, 'Cosa diavolo ha a che fare con qualcosa?' E [Thorgerson] ha detto: "Racket - non lo capisci?" Ho detto 'Stai cercando di insinuare che la nostra musica è un racket? Uscire!' Non l'abbiamo mai più visto. Alla fine abbiamo avuto a che fare con uno degli altri artisti [ride]”.
Sebbene fossero trascorsi due decenni dall'incontro, Page sembrava ancora stupito dal tono di Thorgerson. "È stato un insulto totale, un racket", ha detto a Guitar World nel '93. “Aveva delle palle! Immaginare. Al primo incontro con un cliente!”
Aubrey Powell di Hipgnosis ha basato il design su un romanzo di Arthur C. Clarke
Dopo che Zeppelin ha rinunciato a Thorgerson, è subentrato il suo partner Aubrey Powell. Ha proposto ai membri della band un'idea basata sul romanzo di Arthur C. Clarke del 1953 Childhood's End . Powell aveva due idee e una di queste era fotografare i bambini sulla Giant's Causeway nell'Irlanda del Nord.
Eppure Powell ha avvertito la band (lì con il manager Peter Grant) che un servizio del genere sarebbe diventato molto costoso. “Peter Grant ha detto: 'Soldi? Non ci importa un cazzo dei soldi. Fottutamente fallo'”, ha ricordato in seguito Powell (tramite Super Seventies).
Dal momento che il giorno in cui Powell ha fotografato i bambini era grigio e piovoso, ha influito sul modo in cui è uscita la copertina. "In origine, avevo pensato che i bambini fossero oro e argento", ha detto Powell. “Poiché ho girato in bianco e nero […], i bambini sono risultati molto bianchi. Quindi, quando l'abbiamo colorato a mano, l'artista dell'aerografo, per sbaglio, ha applicato una sorta di sfumatura viola su di loro.
All'inizio, Powell aveva paura che avessero fatto un pasticcio. Ma ha subito capito di avere qualcosa di speciale. "Ho detto, 'Aspetta un minuto - questo ha una qualità ultraterrena'", ha detto, tramite Super Seventies. "Quindi l'abbiamo lasciato com'era." Dopo un inizio così povero della loro relazione, Hipgnosis ha consegnato Houses of the Holy. Ed è diventata un'altra cover di Zep nominata ai Grammy.
----------------------------
Jimmy Page spiega perché è passato a una Les Paul per "Led Zeppelin II"
Sebbene Page amasse la Tele che ha usato per il rivoluzionario debutto di Zep, le sue esigenze - sia sul palco che in studio - hanno cominciato a cambiare rapidamente dopo l'enorme successo di quell'album.
La leggenda della chitarra elettrica dei Led Zeppelin, Jimmy Page, ha recentemente utilizzato Instagram (si apre in una nuova scheda) per raccontare la storia del perché la leggendaria Gibson Les Paul del 1959 che ha acquistato da Joe Walsh è diventata la sua chitarra numero uno durante il suo periodo con la rivoluzionaria band. Page è oggi sinonimo di Les Paul, ma per quasi tutto l'album di debutto dei Led Zeppelin, Led Zeppelin I, ha usato una Telecaster. Sebbene amasse la Tele, ha spiegato Page, le esigenze dei Led Zeppelin - sul palco e in studio - hanno cominciato a cambiare rapidamente dopo l'enorme successo del loro album di debutto.
"Joe è un vecchio amico e la nostra connessione risale ad alcune delle date americane dei miei giorni di Yardbirds", ha scritto Page (si apre in una nuova scheda). “Era nella James Gang, con sede a Cleveland, e veniva a trovarci ogni volta che eravamo in città. È davvero un uomo simpatico e mi è piaciuta la sua compagnia. “All'epoca, Joe portò una Les Paul Standard al concerto del Fillmore East durante la prima tappa del tour americano e disse: 'Devi avere questa chitarra'. Ho detto: "Beh, non ne ho bisogno, Joe, ho una Les Paul Custom". prevedeva come ciò avrebbe potuto presentare problemi alla sua Telecaster.
"Sapevo che le chitarre Les Paul erano molto facili da usare, in quanto emettevano molto livello quando le collegavi all'amplificatore perché avevano un pickup a doppia bobina, mentre la Telecaster aveva un pickup a bobina singola", ha detto. spiegato. “Con il tipo di volume che ora avevo bisogno di emettere in situazioni dal vivo, anche se stavo usando un feedback controllato, ho scoperto che la Telecaster stava iniziando a stridere un po'.
"Ho dovuto stare molto attento a dove mi trovavo a causa del feedback antipatico." Con la Les Paul otterresti feedback attraverso l'amplificatore e gli altoparlanti, ma potresti controllarlo più facilmente e lavorarci. Potresti effettivamente cambiare la nota letterale e la frequenza che stava tornando sul feedback. Mi è piaciuto molto suonare la chitarra di Joe, quindi ho concordato con lui che forse avrei dovuto comprare la sua Les Paul Standard, dopotutto.
A parte la facilità con cui Page poteva controllare il feedback con la Les Paul, non guastava nemmeno il fatto che la chitarra suonasse particolarmente bene su parte del nuovo materiale della band... “Ho suonato la Les Paul in 'Whole Lotta Love' e 'Cosa è e cosa non dovrebbe mai essere' e questo ha deciso per me", ha detto Page, "d'ora in poi sarebbe stata sicuramente la Les Paul. Ho sempre voluto fare un cambiamento sonoro per ogni album e quella è stata la mia prima decisione per i Led Zeppelin II”.
"Come avevo costruito i Led Zeppelin I attorno alla Fender Telecaster, ho costruito il secondo album attorno alla struttura sonora della Les Paul Standard", ha concluso Page. “Né Joe Walsh né io ci siamo resi conto in quel momento di quale cosa importante avesse fatto presentandosi con quella Les Paul. Walsh, da parte sua, ha anche raccontato la storia di come Page sia arrivato a possedere la sua Les Paul del '59 un certo numero di volte, anche se l'eroe della chitarra di James Gang e degli Eagles sostiene che Page si sia avvicinato a lui, piuttosto che il contrario.
"Jimmy e io siamo diventati amici", ha recentemente detto Walsh a Cory Wong nel podcast Wong Notes di quest'ultimo. “Jimmy mi ha detto: 'Guarda, gli Yardbirds sono fantastici, e ho suonato in così tanti dischi...' Ha suonato in così tante sessioni. Se guardi su cosa ha suonato, rimarrai stupito. Ma ha detto: "Questa Telecaster non lo sta tagliando per i Led Zeppelin". E non so cosa fare.' "Ora, Les Paul praticamente non esisteva in Inghilterra a quel tempo", ha continuato Walsh. “Non avevano ancora raggiunto la popolarità, ed erano abbastanza facili da trovare perché non erano stati scoperti – e non costavano molto.
“Dopo il fatto, quando quella è diventata la chitarra per il rock 'n' roll, il resto è storia. Ma ha detto: "Devo ottenere una situazione a doppia bobina e ho cercato Les Paul, non ce ne sono in Inghilterra". Sai in che modo potresti aiutarmi a prenderne uno? Perché i Led Zeppelin non ce la faranno con una Telecaster.'” Anche se i loro resoconti differiscono in un paio di aree, l'essenza della storia – che Page sentiva di aver bisogno della Les Paul per i palchi più grandi – è la stessa in entrambe. Jimmy Page adorna anche la copertina del nuovissimo numero di marzo di Guitar Player, che presenta un'intervista completa con il titano della chitarra sul capolavoro dei Led Zeppelin del 1973, Houses of the Holy.
-----------------------------------------
Il quinto album dei Led Zeppelin, Houses of The Holy , è stato un successo commerciale, ma anche se è stato commercializzato come album di una band, è stato prevalentemente opera del produttore e chitarrista Jimmy Page. Quindi era giunto il momento che i compagni di band John Paul Jones e Robert Plant avessero la possibilità di brillare. L'album dimostra l'inclinazione del primo per la melodia e la poesia mistica del secondo. Questo cambio di leadership non
ha necessariamente significato un cambio di direzione: è la grandezza e l'auto-mitologia che si sono approfondite in questo disco, culminando in un lavoro che ha tenuto testa al meglio del prog dell'epoca.
Dall'apertura "The Song Remains The Same", l'album è soffuso di energia, ritmato da un paio di esibizioni ipnotiche di batteria, come se concedesse a John Bonham la possibilità di mostrare ogni parte del suo kit. Ma l'album è anche straordinariamente economico; sebbene le sovraincisioni di chitarra fossero numerose, sono state posizionate con rispetto per le performance vocali, esaltando le consegne infuse di elio con furtività e attacco. Page non prova davvero nulla di nuovo in questo disco, anche se suona più sicuro di sé, permettendo alle trame acustiche di "Over The Hills and Far Away" di respirare attraverso il mix.
Se Houses of The Holy vanta un eroe, è Jones, che passa da uno strumento all'altro, permettendo ai suoni più nuovi di uscire dai cilindri. Nominalmente un bassista, Jones era in realtà il membro più versatile del gruppo, e infonde "No Quarter" con un singolare approccio sinfonico che si colloca come una delle ballate più impressionanti nel canone della band. La canzone, ironia della sorte, è finita come titolo di un album Page & Plant, che è stato registrato al di fuori dell'orbita della band durante gli anni '90.
"No Quarter" è stato un lavoro straordinario, ma c'era un'altra opera altrettanto formidabile ascoltata nell'album, che ha dimostrato che gli dei del metal avevano davvero cuori pulsanti. Era “The Rain Song”, una ballata che esplorava il fascino di Plant per il tempo, espresso attraverso la tempestosità dell'amore romantico. Come per molte delle loro migliori tracce, le parole sono state scritte dopo che il cantante si è sentito abbastanza a suo agio da riprodurle sulla base musicale. "A volte abbiamo dei nastri di accompagnamento di brani elaborati e qualcuno dice: 'Beh, non abbiamo testi insanguinati'", ha detto Plant a Rolling Stone . "'The Rain Song' era solo una specie di piccola infatuazione che avevo. La mattina dopo lo scribacchiavo. Se l'avessi fatto il giorno dopo, non sarebbe servito a niente".
Plant stava crescendo come scrittore, il che servì bene alla band alla fine degli anni '70, in particolare quando Page iniziò ad adagiarsi sugli allori. Quando la band ha registrato In Through The Out Door , era responsabile dell'intera produzione, accreditata su tutte e sette le tracce dell'album. Aiutato dal Jones convenzionalmente melodico, Plant ha creato l'unica ballata che è stata probabilmente più d'impatto di "The Rain Song", mentre canticchiava su una morbida imbottitura della tastiera in "All My Love".
Se avrebbe potuto raccogliere quel tipo di sentimentalismo senza Houses of The Holy è un punto controverso, ma ciò che è più difficile da discutere è l'invenzione che ha mostrato nei decenni trascorsi da quando ha lasciato gli Zeppelin. Laddove lo sfondo di Page era nel blues e nel rock, la rete di Plant ha dimostrato di essere più ampia e grandiosa, comprendendo generi esoterici come il funk, l'hip-hop e il primo rap. E anche se Houses of The Holy non è stato il miglior lavoro degli Zeppelin, ha dimostrato che c'era di più nella band che arrangiamenti a botte e testi promiscui, e di più nel quartetto che solo in Page.
-Eoghan Lyng
Led Zeppelin: The Rain Song 8/4/1979 HD
Nessun commento:
Posta un commento