Se hai fatto la storia del rock puoi avere diversi approcci nei confronti del tuo passato. Abbiamo ancora negli occhi (e nelle orecchie) gli Who di Firenze Rocks che, qualche giorno fa, hanno celebrato sessant’anni di mito, con un approccio filologico e attento ai loro brani, prontamente apprezzato dal pubblico entusiasta. Presto vedremo a Milano Bob Dylan (il 3 e il 4 luglio): lui ha scelto un’altra via, da lungi. Pesca nella sua sterminata discografia, sì. Però poi trasfigura, cambia, modifica a piacimento. Esiste però una terza opzione: fare tutt’altro. E alla leggenda consacrare solo una piccolissima frazione del presente: ha imboccato ormai questo sentiero da tantissimo Robert Plant, l’Achille perennemente biondo dei Led Zeppelin, probabilmente la voce più importante del genere. Ma, dei fasti del Dirigibile, volato per dodici anni e sceso, ahinoi, a terra dopo la morte prematura del gran batterista John Bohnam, vuol sentir parlare poco e poco ne parla.
Anche stavolta, quando sbarcherà in Italia per sette date transitando a Roma (il 3 settembre a Ostia Antica) e Milano ( il 5 agli Arcimboldi). Il progetto si chiama Saving Grace: Plant scava nel repertorio delle sue passioni giovanili, tra traditional, ballate folk, echi blues, brani di Donovan e Moby Grape. E alla voce, insieme alla proverbiale sua, c’è la brava 33enne portoghese Suzi Dian: «L’ho fatto per salvare me — scherza il 74enne col suo accento da Inghilterra sempre profonda, anche se si trova nel lontano Montana. Non è un’operazione nostalgia folk, ma è un modo per preservarmi dalla ritualità, imparare e procedere a sperimentare con tutto lo scibile della musica». A queste parole, il primo pensiero è appunto quello: salvarsi dai Led Zeppelin, dall’obbligo di doverli cantare, di un’epopea che a Plant sembra piu che altro una zavorra. Al primo giro del tour c’era infatti solo una canzone in scaletta, peraltro a sua volta cover, In My Time of Dying da Physical Graffiti del 1975. «Qui potrebbero essercene anche due — dice Plant senza rivelare quali. E subito però puntualizza: «Ma saranno metamorfiche, potrebbero diventare altre, ogni canzone in questo tour è sottoposta a cambiamento». Punto.
L’unica altra concessione a quella formidabile stagione è quando si parla del suo rapporto con le donne (Suzi segue Alison Krauss, countrywoman con cui Plant ha fatto tour e dischi). Qui si rievoca Sandy Denny, splendida voce dei Fairport Convention in The Battle of Evermore, Led Zeppelin IV, morta a soli 32 anni, nel 1978: «Quel brano procedeva per canti e controcanti. E lei era perfetta. Come vorrei averla ancora con me». Punto e basta, Zeppelin archiviati. C’è tempo ancora per parlare del nostro Paese, di quando giovanissimo intonò «La musica è finita» dell’altrettanto compianto Umberto Bindi, nel 1967: «Ero quasi intimidito, solo alla fine si sente il vero Robert Plant». E di come spera di poter incrociare Zucchero, sempre prodigo di
complimenti
nei suoi confronti: «Lo invito fin d’ora a salire sul palco a una delle date». Niente Zeppelin, però, Adelmo...
e Suzi complice di tutto canta che è una bellezza!!
Un brano appropriato per un concerto di Halloween, "Season Of The Witch", il classico di Donovan reinterpretato da Robert Plant nel suo modo inimitabile, coadiuvato in questo tour di Saving Grace dalla vocalist Suzi Dian.
Compaiono anche alcune battute di "For What It's Worth" e frammenti di "Walk On The Wild Side", "Chain Of Fools" e stuzzica il pubblico con l'intro di "Black Dog" dei Led Zeppelin, prima di deluderlo ("probabilmente no, ci sono stato, l'ho fatto!").
La band dei Saving Grace è composta anche da Oli Jefferson, Tony Kelsey e Matt Worley.
“Season Of The Witch” - Robert Plant & Suzi Dian - Olympia, Dublin - 31st October 2022
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Robert Plant ha annunciato questa mattina 7 concerti in Italia che si terranno tra la fine di agosto e i primi di settembre in cui presenterà al pubblico insieme a Suzi Dian lo spettacolo Saving Grace.
Il 3 settembre sarà al Teatro Romano di Ostia Antica, data organizzata da Vincenzo Berti e Gianluca Bonanno per Ventidieci e Savaproduzionicreative.
Le esibizioni della band attingono da un repertorio di "musica ispirata al paesaggio onirico delle marce gallesi", canzoni che abbracciano i diversi gusti e le influenze di Plant, in particolare la sua eterna passione per il folk britannico e americano, gli spiritual e il blues tradizionale.
Ancora a cinquecento metri d’altezza! Robert Plant, standing ovation a Lignano
Folk, scale arabeggianti, montagne mistiche, nebbie del nord, viaggi onirici, riarrangiamenti da un dirigibile che non atterrerà mai
Pubblicato 3 giorni fa il 27 Agosto 2023Da Massi Boscarol
LIGNANO – Ci sono concerti e Concerti. Ai primi ci si prepara, si parte, si ascolta in autoradio i pezzi preferiti, si arriva, si beve una birra, si entra, si ascolta, si applaude, fine, si ritorna a casa. Ai secondo (quelli scritti con l’iniziale maiuscola) ci si prepara da mesi, spiritualmente, si contattano gli altri iniziati che vi parteciperanno, si parte e il viaggio avviene spesso in religioso silenzio, si arriva, ci si guarda attorno, si attende l’illuminazione, si ascolta. E poi una parte di noi ritorna a casa, un’altra se ne và da un’altra parte, ad un’altra altezza.
Pochi dubbi: quello di Robert Plant, leggendaria voce dei Led Zeppelin, all’Arena Alpe Adria di Lignano fa parte a pieno titolo dei secondi. E lo si capisce sin dall’attesa, dove gli adepti più sfegatati sono già in fila sotto un sole cocente: metallari attempati in tenuta all-black, vestiario ethno-mistico con vistosi arabeschi che decorano panciotti, la maglietta consunta con il dirigibile che, nell’anima di inguaribili nostalgici, ancora vola.
Si contanto sulle dita di una mano artisti i quali, usciti da un gruppo che fa venire i brividi al solo nominarlo, hanno saputo crearsi una carriera solista degna di tal nome senza scadere mai nel patetico. Così come le reunion a metà, con Jimmy Page, e di quelle sonorità riproposte con straordinaria efficacia che riecheggiano nella notte subtropicale di Sabbiadoro .
Mezzo secolo fa, i sopracitati con J.P. Jones e John Bonham, virano verso il folk: accezione che il nostro riproporrà con straordinario successo per i successivi cinquant’anni. III e i suoi cavalli di battaglia: parte il riff con l’acustica distorta a guisa di sitar imbracciato da Thor: è Friends! Applausi che si trattenevano nella mani da tempo immemore possono finalmente prendere sfogo in una catarsi liberatoria.
L’intelligenza di chi, oltre ad aver composto capolavori, ha saputo gestire un’immagine che vieppiù volte ha travalicato il trascendentale che si concretizza, ancora una volta, lungi dall’essere una caricatura di sé stesso, in uno show adattato ad un signore che sul passaporto vede alla voce date of birth 1948. Nell’era in cui anche i grandi, anche quelli del jazz, si presentano live con basi e strumenti campionati, la banda Plant è tutta rigorosamente live dove spiccano le chitarre dal suono volutamente sporco e la voce pulita ora in duetto ora solista di Suzie Dian, protagonista di arrangiamenti di squisita fattura con la fisarmonica di altri classici, uno su tutti The rain song, da pelle d’oca.
L’eterna passione per il folk britannico e americano, il Galles, la collina d’oro di Bron-Yr-Aur, le montagne nebbiose e mistiche, gli spiritual e il blues arcaico, gli standard e gli omaggi ai suoi coetanei della West, Coast, a Doc Watson, Donovan, Moby Grape. Everybody’s Song dei Low, il pezzo più riuscito.
La classe non è acqua e vola ancora a cinquecento metri d’altezza, come da manuale di istruzioni: siparietto finale di chi non ha da tempo più nulla da dimostrare e gradi alcolici pub britannico style con And We Bid You Goodnight, quando già prima era calato il vero sipario con la bomba Gallows Pole. Standing ovation finale.
WHOOPI GOLDBERG INCONTRA ROBERT PLANT E GLI CONFESSA LA SUA PASSIONE
di Capital Web
Robert Plant ha tenuto ieri un concerto allo Sferisterio di Macerata. L’ex frontman dei Led Zeppelin ha incontrato, per un caso fortuito, l’attrice Whoopi Goldberg, che alloggiava nel suo stesso albergo.
IL CONCERTO 'SAVING GRACE' DI ROBERT PLANT
Robert Plant è in Italia in questi giorni per le date dei concerti che lo stanno vedendo protagonista per il progetto “Saving Grace“, insieme a Suzi Dian.
Il 28 agosto c’è stata la data a Macerata, un’esibizione intima, che ha visto la band composta da Plant e Suzi Dian alla voce, Oli Jefferson alle percussioni, Matt Worley al banjo e chitarre acustiche e Tony Kelsey al mandolino, attingere da un repertorio di musica ispirata al paesaggio onirico delle marce gallesi, con brani che hanno attinto dalle diverse influenze di Plant, in particolare dalla sua eterna passione per il folk britannico, per gli spiritual e il blues tradizionale.
L'INCONTRO TRA PLANT E WHOOPI GOLDBERG
Il nostro Luca de Gennaro ha raccontato un curioso aneddoto avvenuto proprio la sera del 28 agosto, dopo il concerto di Plant.
Whoopi Goldberg, grande attrice di Hollywood, uno dei pochi personaggi che possono fregiarsi del titolo di EGOT (coloro che hanno vinto i premi più importanti per le carriere artistiche: Emmy Award – Grammy Award – Premio Oscar – Tony Award) si trovava a Montecassiano, nelle Marche, quando le hanno detto che nel suo stesso albergo alloggiava anche la leggenda degli Zeppelin. Robert Plant per l’attrice è un idolo assoluto, ha quindi deciso di scrivergli una lunghissima lettera a mano, con carta e penna, per confessargli quanto lui e la sua musica fossero importanti per lei. Quando stava per terminare quella lettera, Plant è entrato nella hall dell’hotel, dove si sono incontrati.
A quel punto hanno cominciato a parlare per ore e sono stati insieme fino a notte fonda.
Cosa si siano detti non è dato sapere, ma siamo certi che sarà stata una serata indimenticabile.
Nel folk senza confini di Robert Plant, gli Zeppelin sono un’appendice (e va bene anche così)
Ieri sera al Teatro Romano di Ostia Antica il rocker, in forma nonostante gli anni che passano, ha chiamato a raccolta il mondo intero per esorcizzare il fantasma della band che l’ha reso famoso. Missione compiuta
Da un po’ di anni a questa parte, potremmo dire in realtà dall’inizio del nuovo millennio, Robert Plant è andato incontro alla quarta fase delle propria carriera, quella che potremmo definire della riscoperta delle proprie origini musicali. Dopo la prima, quella con i Led Zeppelin, aveva provato ad allontanarsi completamente dal fantasma del gruppo, inizialmente addirittura rifiutandosi di eseguirne i brani dal vivo. Poi, per quasi tutti gli anni ’90, in qualche modo aveva cercato di far pace con un passato per lui fino ad allora più ricco di eventi da dimenticare che da riportare stancamente in scena: un ritorno in compagnia del vecchio amico Page che però era stato in grado di portare la musica degli Zeppelin verso quelle sonorità arabeggianti o world music per le quali gli originali sembravano in qualche modo essere nati. Un’evoluzione che Plant ha continuato a portare avanti senza il chitarrista dai primi anni 2000 attraverso nuove composizioni e, soprattutto, cover spesso sepolte da cumuli di polvere ma che per lui significavano molto.
Ecco, il progetto Saving Grace, nato improvvisamente un po’ come tutti quelli di Plant, sembra quello che più si addice non solo all’età del vecchio leone inglese, ma anche la parte finale di un percorso iniziato in qualche modo con Led Zeppelin III e passato attraverso tutte le fasi della sua vita. Grazie alla condivisione dei brani con la bravissima Suzi Dian (che gli permette di inglobare nello show anche le sfumature del suo progetto con Alison Krauss) e a una band in grado di supportarlo sul materiale di ognuna delle sue vite, Plant sembra infatti aver trovato finalmente il mondo che gli appartiene. Un mondo fatto di folklore, di leggende e di tradizione, ma anche di musica nera in tutte le sue varianti: dal blues al soul fino al jazz. Uno spazio vitale in cui, ancora una volta, gli viene più facile attingere da materiale altrui, più o meno noto, che da quello della band che l’ha reso una celebrità. Perché comunque, dopo essersi rappacificato con quella parte della sua vita, l’unica sicurezza a un suo concerto è che lo spazio per quell’epoca sarà comunque sempre un’appendice e non lo scheletro portante dello spettacolo.
Fin da principio al Teatro Romano di Ostia Antica abbiamo la conferma dell’ottimo momento vocale attraversato da Plant, già evidente nelle date precedenti: il timbro è immutato e le celebri urla, inevitabilmente centellinate, sanno ancora mettere i brividi. Non una cosa scontata, visto che in passato non sempre le cose sono andate così, oltre alla conferma ulteriore di una consapevolezza ormai pienamente raggiunta. E all’insegna dell’equilibrio è anche la scaletta, che pesca soprattutto da brani altrui, ma che allo stesso tempo recupera gemme tanto del repertorio solista che di quello degli anni ’70. È il caso di Down to the Sea, da Fate of Nations, così come Rain Song, Friends o Four Sticks, tutte riarrangiate per sembrare parte di un unico album autobiografico.
Il Teatro Romano di Ostia Antica fa il resto. Plant declama a più riprese il suo amore per la città eterna, affermando che ogni volta che vi fa ritorno abbia la sensazione di trovarsi in un secolo diverso. Qualcosa di simile a ciò che fa lui per noi, regalandoci lo stesso senso di eternità. Anche il suo pubblico sembra aver finalmente accettato il fatto di non trovarsi di fronte a un artista nostalgico o alla riproposizione di vecchi cliché da dio del rock. Tutte cose risposte in un vecchio armadio all’indomani dell’esibizione dell’O2 Arena. «L’ho fatto per una sera e non lo farò mai più», aveva giurato. Logico che anche a Ostia a farla da padrone siano le magliette dei Led Zeppelin e che ogni volta che il nostro accenna a un qualsivoglia brano della loro discografia, la gente scoppi di gioia. Tuttavia, se una volta le richieste erano continue (così come le lamentele a fine concerto), oggi si gode di tutto quello che arriva. Perché, oltre ad aver compreso che Plant abbia tutto il diritto di non scimmiottare quello che fu solo per farci contenti, è davvero emozionante vedere che il fuoco di un tempo sia ancora lì, anche se sotto altre spoglie.
Basta guardarlo negli occhi per comprendere che Plant oggi sia un uomo felice e un artista libero da qualsiasi tipo di costrizione. E te ne accorgi ancora di più quando, senza preavviso, ti butta lì un “babe, babe” o accenna qualcuna delle vecchie mosse di un tempo strizzando l’occhio come a dire: sotto sotto sono sempre io. In questo senso, uno dei momenti più significativi della serata resta l’esecuzione di Satan, Your Kingdom Must Come Down, traditional di cui aveva registrato una cover per Band of Joy, che si conclude con la parte finale di In My Time of Dying. Doppia voce, banjo, chitarra slide e batteria prima jazzata e poi fragorosa e sonorità che sembrano provenire da ogni continente del mondo: la sintesi perfetta del percorso di cui sopra.
Sopra il teatro romano, oltre a un numero imprecisato e talvolta fastidioso di aerei, non può che aleggiare inevitabilmente il fantasma dei Led Zeppelin. Uno spettro che, per una sera, Plant è riuscito a esorcizzare.
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