mercoledì 9 aprile 2025

9...JANNIK SINNER..Marco Panichi, l'uomo dei muscoli di Sinner: «Jannik rientra a Roma trasformato:


 Buongiorno SINNERGIA.

🦊
stamani si parte così!!
Alla Grande!!!
intervista che lascio così come è stata fatta,
nessun riassunto e nessuna altra aggiunta..
da leggere tutta di un fiato
ci fà capire bene perchè gli addetti ai lavori e non,
dicono che Jannik tornerà più forte di prima..
si è tolto pesi psicologici ,una serenità disarmante,
un fisico che potrebbe fare qualsiasi sport
e che gli consente l'esplosione di talenti ,anche a lui sconosciuti,esplorazioni di strade mai pensate
che a noi ci sembrano sconosciute e inverosimili da percorrere...
agilità,potenza,che veramente fanno di Jannik una
"macchina da guerra"..
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Marco Panichi, l'uomo dei muscoli di Sinner: «Jannik rientra a Roma trasformato:

di Gaia Piccardi
10 apr 2025
Intervista al preparatore atletico del n.1: «Macro-cicli di lavoro, golf, musei e tempo libero: l'abbiamo spinto a fare cose nuove per rigenerarsi. È un talento a cui riesce bene tutto ma la calma operativa nei momenti delicati è la sua dote più grande
È l’uomo più vicino a Jannik Sinner. Dal settembre dell’anno scorso è il preparatore atletico che cura i muscoli del campione e, insieme al fisioterapista argentino Ulises Badio, tiene lontani infortuni e ricadute. Con Vagnozzi e Cahill, i due coach, l'architrave del team.
Marco Panichi, classe 1964, romano e romanista (Jannik tifa Milan: immaginatevi gli sfottò), ex saltatore in lungo, professionista solido e psicologo sensibile al punto da meritarsi la totale fiducia del numero uno del tennis, sarà l’ospite sportivo del Talk Audi di oggi pomeriggio a Milano, all'interno della Design Week di Milano.
Panichi in che modo il suo passato nell’atletica è un valore aggiunto per il lavoro impostato con Sinner?
«Per sua natura, l’atletica è da sempre l’officina di atleti, coach e biomeccanici perché ti insegna a fare tutto: correre, saltare e lanciare. In più, ti inculca la ricerca spasmodica del particolare. Ha presente i cosiddetti marginal gains? Significa che uno 0,2% di prestazione in più, può fare la differenza: nello sport di alto livello è un’enormità. Io ho fatto un’atletica in bianco e nero però l’angolo di stacco del piede sull’asse di battuta, nel lungo, era tutto. Questa mentalità, questa attenzione ai dettagli, poi l’ho portata nel tennis».
Non è un caso che, prima di Sinner, lei abbia allenato per sette anni un certo Novak Djokovic, il fuoriclasse dei 24 titoli Slam.
«Eh, per gestire una figura così complessa come Djokovic, ammetto che l’esperienza ha il suo peso. L’ho accompagnato dai 30 ai 37 anni, una stagione della vita in cui dell’età dell’atleta devi per forza tenere conto. Per me Djokovic è stato un corso accelerato: una grande Università del tennis».
Pensa che aver lavorato con Djokovic abbia pesato nella decisione di Sinner di rivolgersi a lei? Ne parlate mai?
«Ne parliamo, certo. Parliamo di tutta la sommatoria di esperienze che ho vissuto con gli atleti che ho allenato. Questo è il mio quarantesimo anno nello sport! La professionalità è cresciuta col tempo: oggi so perfettamente cosa serve a Jannik in quel preciso momento».
I tre mesi di sospensione, visti con positività, sono una risorsa preziosa per riposarsi e immagazzinare lavoro: come li state vivendo con il team?
«Dal giorno in cui abbiamo saputo dello stop, giocatore, team e management hanno avuto all’unisono lo stesso pensiero: sfruttare al meglio questo periodo. Sapevamo da subito di poter fare un bel lavoro, studiato e programmato, non diluito e spezzettato dai viaggi e dai tornei come al solito. Non è che eravamo contenti della sospensione di Jannik, è chiaro, però abbiamo studiato un modo attivo e propositivo di viverla. Abbiamo trasformato i micro-cicli di lavoro in macro-cicli, siamo scesi nel particolare e nel dettaglio, abbiamo dedicato tanto tempo all’acquisizione di dati su Jannik, applicando moduli di allenamento per metterlo nelle condizioni di fare un altro salto di qualità importante. Da Roma in poi, questo lavoro dovrà dare i suoi frutti».
Un particolare che non è stato valutato abbastanza: l’abbandono delle cavigliere, che spesso per gli atleti diventano una coperta di Linus. Scegliere di farne a meno da gennaio significa che Sinner si sente più forte e ha una maggiore conoscenza e percezione di sé. È corretto?
«Tutto vero. Le cavigliere limitano l’articolazione e lo sforzo viene ripartito sulla struttura, con la conseguenza del sovraccarico su certe parti del corpo. Eliminare le cavigliere è stato un processo lungo ma importante per Jannik. Con fondamentali risvolti psicologici. Facendo un profondo lavoro specifico, giorno dopo giorno il giocatore si è sentito sempre più sicuro. Senza che gli facessimo alcuna pressione, a un certo punto è venuto lui da noi: sono pronto, ci ha detto. Da gennaio, in Australia, quando le ha smesse, non ne ha mai sentito la mancanza. Continuando a prestare la giusta attenzione alle sue fragilità, direi che indietro non si torna».
I pesi in palestra senza appesantirlo troppo, con il rischio di fargli perdere velocità e flessibilità: anche questa è un’alchimia sottile.
«Partiamo da un presupposto: il tennis è uno sport in cui la forza specifica per eseguire il gesto tecnico deve essere esplosiva. Non demonizzo i lavori di forza però, con il fisico di Jannik, l’aspetto funzionale è più importante. Facciamo lavori tridimensionali per sviluppare il collegamento tra segmenti che rendano il suo gesto il più efficace possibile. Nel tennis ci sono tre aree che devono concatenarsi di concerto: fisico, mente e tecnica».
Quanto è importante, in questi tre mesi di stop, variare molto il lavoro per non far sentire Sinner un alienato?
«Tanto, ma non solo in questo periodo così particolare. Anche i viaggi e gli aerei possono ingenerare una routine. L’aspetto motivazionale è determinante: sfidiamo continuamente Jannik con nuove sollecitazioni, lo spingiamo a fare cose nuove, per lui inedite. Anche semplici: una partita a golf, la visita di un museo… Ampliare la sfera mentale permette di presentarsi all’allenamento più freschi. Però è altrettanto vero che una certa ripetitività è utile al confronto, senza correre il rischio di ingabbiare il giocatore in qualcosa di troppo monotono. È la varietà nel protocollo di lavoro che ci consente di capire se stiamo andando bene».
Adesso però ci deve dire che museo ha visitato Jannik…
«Mi permetta di non rispondere: svelerei i nostri movimenti di queste settimane... Sarà Jannik a parlarne, se lo vorrà: qui intorno a Montecarlo le possibilità di svago culturale non mancano. Però posso dirle che durante lo stop forzato sta scoprendo cose nuove, che lo stimolano. Quando giriamo per tornei è impossibile dedicarsi ad altro che non sia allenamento, partita e recupero. Per di più Jannik non può più andare in giro senza essere riconosciuto e fermato. In questi tre mesi, inoltre, si è preso del tempo libero per se stesso: si è riscoperto. La detossificazione è in atto. Sono molto contento: a livello mentale è trasformato. A Roma tornerà con un’enorme motivazione e un’importante freschezza».
Da preparatore fisico, Panichi, avendo imparato a conoscere ogni fibra dei suoi muscoli, qual è secondo lei il più grande talento atletico di Jannik?
«Coordinazione, stamina, aspetto neurovegetativo: Jannik ha un fisico da decatleta, sa fare bene tutto. Se fosse più forte, non potrebbe essere così agile. Se è una macchina quasi perfetta dobbiamo ringraziare Hanspeter e Siglinde Sinner, i genitori che gli hanno trasmesso il Dna. Ma, dal mio punto di vista, il suo più straordinario talento è la gestione delle situazioni, che sia un allenamento o una partita tesissima: ha una calma operativa, nei momenti che contano, rara. Mente e fisico sono un sistema integrato: quando uno lo tira giù, l’altro lo spinge in su. Sa usare le emozioni come fonte di energia: se hai un travaso emotivo, ti blocchi; ma lui sa surfare sulle emozioni, restando sempre sulla cresta. Il sistema integrato si allena, certo. Ma con le doti di Jannik Sinner devi nascere».
10 apr 2025
da Corriere..





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