Una delle pagine più buie nella storia della musica dal vivo internazionale avrebbe potuto essere scritta a Milano, quando al Velodromo Vigorelli salirono per la prima e ultima volta su un palco italiano i Led Zeppelin: per miracolo sul terreno non caddero vittime, ma l'eco delle cronache del tempo - con la guerriglia urbana tra forze dell'ordine, autoriduttori e gli esponenti di diversi movimenti giovanili e politici a far calare bruscamente il sipario sull'esibizione di una delle più grandi rock band di sempre - ha attraversato i decenni e le generazioni, consegnando agli annali gli atti di una serata infernale che nessun appasionato di musica, in nessun caso, si augura di vivere. Era il 5 luglio 1971, esattamente 50 anni fa.
Riccardo Bertoncelli, il maggiore storico italiano del rock, a mezzo secolo dai potenzialmente tragici fatti che avrebbero cambiato per sempre l'industria della musica dal vivo in Italia ha accettato* di farci rivivere in soggettiva, attraverso i suoi occhi di allora diciannovenne appassionato accalcato insieme a tutti gli altri sul prato del velodromo milanese, quella drammatica sera. Facendoci scoprire che il problema non furono tanto i giovani pronti a sfondare i cancelli del Vigorelli, o ancora la portata rivoluzionaria della proposta musicale di Robert Plant e compagni, ma di un insieme di pericolose circostanze figlie di due genitori molto ben indentificabili: stupidità e caso. Con netta prevalenza della prima...
*L'intervista è stata originariamente pubblicata su Rockol il 27 marzo 2018.
In che veste era presente, quella sera, al Velodromo Vigorelli?
Avevo diciannove anni, e non scrivevo ancora per nessuno. Avevo la mia fanzine, che in quel periodo si chiamava Pop Messenger Service, e che facevo con Paolo Carù. Ricordo che quella sera vidi il concerto con Paolo.
Quindi, pur avendo la vostra fanzine, non eravate accreditati come stampa?
Assolutamente no. Allora non esisteva nemmeno il termine "fanzine". Ero l'unico che faceva cose del genere: nessuno mi conosceva, eccenzion fatta per i nostri 200/300 abbonati.
Lei e Carù avete assistito anche alle esibizioni degli artisti del Cantagiro, o solo a quella dei Led Zeppelin, la sera del 5 luglio 1971?
Ricordo solo di essere stato in questa calca tremenda, sul prato del Vigorelli. Arrivammo prima dell'inizio di tutto, verso le sette di sera, ma ho dei ricordi molto vaghi su chi si esibì prima. Ricordo solo un Gianni Morandi cacciato a forza dal palco, perché il pubblico voleva i Led Zeppelin: quella di farli suonare dopo gli artisti del Cantagiro è stata un'idea assurda partorita dall'organizzatore, che non conosceva il pubblico. Non c'era nessuno, in platea, disposto ad accettare la varietà di musiche proposte dal cartellone della serata...
Gianni Morandi, lo scorso ottobre, raccontò al Corriere della Sera di essere stato cacciato dal palco da un fitto lancio di pomodori...
Su Gianni Morandi posso raccontare di più. Quella sera presentò una canzone, "Al bar si muore", che non era proprio una canzonetta. Tentò quindi di metterla sul piano politico: salì sul palco e disse qualcosa come "Buonasera, compagni", e fu preso a pomodorate. Al pubblico non fregava niente dei compagni o del PCI...
La componente politica, quindi, era meno presente di quanto tramandato dalle cronache? Il pubblico sfondò i cancelli per vedere i Led Zeppelin più che per affermare una posizione politica?
Non giudichiamo con il senno del poi... Allora la polemica riguardava la musica che costava troppo. I biglietti costavano circa 1500 lire, meno di un euro, ma qualcuno lo considerava eccessivo: la musica, nell'idea di chi sfondava i cancelli e di chi magari orchestrava i disordini, doveva essere gratis. Gli organizzatori, per loro, erano dei padroni che tenevano in ostaggio i poveri musicisti che non vedevano l'ora di suonare gratis per il pubblico. Non era proprio così. Anche se, alla fine, è vero che i soldi arrivavano agli impresari e ai manager più che agli artisti.
Si ricorda l'esibizione dei Led Zeppelin? Fu davvero molto valida, come sostengono molti, o fu effettivamente inficiata dai lacrimogeni sparati dalle forze dell'ordine?
Durò pochissimo, circa venti minuti, perché fu interrotta quasi subito.
Qualche anno fa ho trovato delle foto del loro live set: c'era una transenna dell'impianto luci carica di ragazzi che ci si erano abbarbicati sopra, una cosa che oggi non verrebbe permessa nemmeno nel peggiore degli eventi dal vivo. Ricordo che iniziarono con "Black Dog", poi suonarono "Dazed and Confused", senza però tirarla in lungo, e a seguire "Since I've Been Loving You": a quel punto si sentirono distintamente dei boati provenire da fuori il palazzetto. Era la polizia che sparava i fumogeni, sia fuori che dentro il Vigorelli. A ripensarci adesso, quella sera fu criminale: che non ci sia stato un morto è un caso fortunato. Ma veramente un caso.
https://youtu.be/WsYrjRNPIhM
Fu criminale la gestione della situazione?
Criminale fu la polizia, e lo dice uno che oggi come oggi non ha niente contro la polizia, ma che preferisce dire pane al pane. Fu assolutamente criminale. Perché in quel periodo era così: molto spesso i ragazzi venivano manganellati in quanto ragazzi, e non solo ai concerti. Io ho fatto tante manifestazioni senza mai essere violento e le ho sempre prese.
Questa gestione fu figlia del particolare clima del periodo o dell'impreparazione dei funzionari di polizia e degli organizzatori dell'evento?
Era tutto collegato. La gente non se lo ricorda, ma quindici giorni prima c'era stato al Vigorelli un altro concerto, al quale avevo assistito, quello dei Chicago, che aveva avuto gli stessi guai, con gli autoriduttori che cercavano di sfondare i cancelli e la polizia che aveva sparato lacrimogeni fuori e dentro il palazzetto.
Tutto prevedibilissimo, quindi...
Tutto prevedibilissimo. Solo che in occasione del concerto dei Led Zeppelin ci fu un accanimento a delinquere. Perché non solo la serata fu organizzata appena quindici giorni dopo, ma anche con una fascia di pubblico decisamente più ribelle. I Chicago in fondo potevano essere considerati un gruppo colto, raffinato, gli Zeppelin erano rocker puri. E tu chiami un frangia di rocker e gli metti prima il Cantagiro, quasi a prenderli per il culo? Fu una grave forma di impreparazione. L'impresariato rock, in Italia, nasce con gli anni Ottanta: quelle degli anni Settanta furono per certi versi delle prove, finite anche drammaticamente. Ho visto un concerto di Lou Reed al Palalido di Milano, quello famoso del 1976: dal secondo anello gli tirarono una pietra che, se l'avesse colpito, in qualsiasi parte del corpo, l'avrebbe fatto a pezzi. Questa era la situazione, in quegli anni. Si fa fatica a spiegarla oggi, sembrano delle esagerazioni...
L'accostamento spregiudicato tra Cantagiro e Led Zeppelin potrebbe far parte di un disegno di provocazione attuato ai danni di un certo tipo di pubblico?
Ma no! Guarda, sono l'anticomplottista per eccellenza.
Come dico sempre, sono convinto che l'ottanta per cento delle cause delle disgrazie umane sia la stupidità, e il venti per cento il caso. Si possono anche invertire la parti, ma si torna sempre lì: stupidità e caso sono il motore di questo mondo. A leggere i giornali dell'epoca, si capisce che l'idea che il rock si dividesse in generi più o meno forti o di tendenza non esisteva: su testate come Giovani o Ciao 2001 tutto era mescolato. E il Cantagiro del 1971 era un mucchio selvaggio, infatti gli unici che riuscirono a esibirsi senza essere cacciati furono i New Trolls, che per quello che sono i miei ricordi vennero accettati. Tutti gli altri non c'entravano niente.
Pensando ai disordini che macchiarono la riedizione del 1999 del festival di Woodstock, crede che episodi del genere possano verificarsi anche oggi, magari anche in Italia?
Può darsi, ma oggi ai concerti i ragazzi ci vanno con i genitori.
Azzardo: se al Vigorelli, quella sera del '71, ci fosse stato agli ingressi un censimento del pubblico, di persone sopra i quarant'anni ne avremmo trovate cinque in tutto il velodromo. Allora c'era uno stacco generazionale che poi si è ricomposto. C'era una difficoltà a parlarsi, valeva per i genitori nei confronti dei figli e per la polizia nei confronti dei giovani, che venivano guardati con sospetto. Poi allora i giovani erano capelloni, così diversi da poterli riconoscere subito, e lì nasceva il problema. Adesso non è più così. Oggi i disordini possono capitare per un fatto ben specifico: allora accadevano disordini perché quella generazione aveva i suoi riti, e le si impediva di celebrarli. E' chiaro che poi c'era un pretesto forte, lo riconosco io stesso: però chi sfondava per entrare poteva essere fermato senza ricorrere alla violenza indicriminata verso tutti. Quanto successo al Vigorelli fu molto grave. I Led Zeppelin hanno sempre ricordato quella serata come uno dei momenti di grande paura della loro carriera: si trovarono rinchiusi nella sala infermeria del palazzetto, temendo per la loro vita.
Quale fu il prezzo che l'Italia dei concerti pagò negli anni a seguire?
Mah, era un casino e diventò ancora più un casino. Venivano annunciati festival ipotetici ai quali dovevano suonare cinquanta nomi eccezionali, e poi se ne presentavano tre. C'era veramente dilettantismo, e purtroppo sul carro del rock saltarono soprattutto i maneggioni e chi ci capiva poco. Mettete insieme il dilettantismo di chi organizzava con queste frange giovanili estremamente inquiete che usavano i concerti rock per affermare la propria ribellione e identità ormonale, e avrete la ricetta per un disastro. Oggi è impensabile.
Come finì la vostra serata, il 5 luglio del 1971?
A un certo punto scappammo tutti. Già coi Chicago avevo fatto la cosa giusta, andando verso l'alto invece di andare verso il basso. Da un lato i fumi dei lacrimogeni sparati dalla polizia si addensavano verso il basso, dall'altro c'era la calca, e io avevo paura di finire travolto, anche se il mio corpicino di un metro e novanta mi avrebbe aiutato. Si uscì tutti da una porta non più grande di due metri per un metro e cinquanta: altro che Piazza San Carlo, a Torino, alla finale Champions dell'anno scorso. Usciti, tirammo un sospiro di sollievo: e poco distante dal Vigorelli trovammo un gelataio. Ma sì, passata la bufera prendiamoci un gelato. Riuscimmo giusto a pagare: ci trovammo, con il cono in mano, in mezzo alla camionette e alle jeep della Polizia che giravano a manganellare tutti quelli che trovavano. Quel gelato non credo di averlo finito.
5 luglio 1971
by Giulia Nuti
Aveva appena tredici anni Ernesto De Pascale, ma già le idee chiare sul significato della musica, quando tornò a casa chiedendo ai genitori il permesso di partire con qualche amico per Milano per vedere i Led Zeppelin suonare al Vigorelli in occasione dell’unico concerto italiano della loro seconda tournee europea. Nonostante l’esame di terza media appena superato fosse una buon metro di contrattazione, conquistare il consenso non fu un’impresa facile. “Fu una conquista sudata” -ricorda - “e giunse a seguito di numerose discussioni”. Ma la determinazione del giovane Ernesto vinse su tutto. Era il 5 luglio 1971.
“Partimmo dalla stazione di Firenze verso le undici di mattina e arrivammo a Milano intorno alle 15. Ero insieme ad un gruppo di amici, in gran parte coetanei. La giornata era caldissima, nel pieno dell’afa estiva” L’idea che i ragazzi si erano fatti di Milano aveva tenuto poco conto delle reali distanze, così che andarono incontro a qualche difficoltà non prevista. “Eravamo partiti con l’idea di arrivare a Milano, scendere dal treno e, fatto un attimo il punto della situazione, raggiungere il Vigorelli a piedi. Nessuno si era reso conto che fosse da tutt’altra parte della città. Realizzato che raggiungerlo non era semplice come ci aspettavamo, salimmo su un autobus, ma sbagliammo tutto e ci ritrovammo allo stadio. A quel punto non ci restava che prendere un altro autobus. Questa volta scendemmo alla Fiera e da lì potemmo raggiungere il velodromo a piedi. Superati gli imprevisti, arrivammo al Vigorelli intorno alle cinque”
All’ingresso una massa enorme di persone attendeva impazientemente l’apertura dei cancelli. L’impatto con la folla fu impressionante, Ernesto ne rimase incredibilmente colpito. “Ad aspettare l’inizio del concerto, davanti al Vigorelli, credo ci fosse tutta l’Italia. Ho la sensazione che non mi sia più capitato di vedere tante persone contemporaneamente nello stesso posto. Se ci rifletto, so per certo che non può essere così. Quando nel ’96 ad Hyde Park ho visto gli Who che hanno rifatto Quadrophenia, c’erano 450.000 persone, cioè poco meno che a Woodstock. Ma quando uno è piccolo la percezione che si ha delle cose è diversa, ci si rapporta alla propria realtà e tutto intorno sembra molto più grande.
Anche se non c’era tutta l’Italia ad attendere il concerto, sicuramente c’erano rappresentanti che provenivano un po’ da ovunque. In tanti si erano mossi da lontano per l’evento. Fuori dai cancelli, oltre ai gruppi di ragazzi che facevano disegni psichedelici e decoravano magliette, c’erano molti ragazzi che parlavano con accento meridionale. “Uno dei ricordi più incisivi che conservo al di là dell’esibizione, è l’immagine dell’arrivo di una Fiat 500 targata Palermo dalla quale, come si aprirono gli sportelli a farfalla, scesero almeno in cinque. Niente di più probabile che la macchina fosse di qualche siciliano trasferitosi a Milano e che per arrivare fino a lì avesse percorso solo poche centinaia di metri, ma per me , in quel momento, quella targa doveva necessariamente voler dire che la macchina era venuta fino a Milano esattamente da Palermo, viaggiando in cinque o forse più ( e già immaginavo il viaggio allucinante ), solo per i Led Zeppelin.” Ernesto ricorda poi : “Tra i fan c’era chi aveva con sé un registratore audio. Io stesso ne avevo uno, un Philips K7, e registrai il concerto”.
Alle 19 aprirono i cancelli. Tenere tranquilla l’ansiosa folla in fermento stava diventando impossibile. “Quando entrammo c’era una quantità enorme di forze dell’ordine spiegate e un esercito di fotografi. Ricordo anche tante troupe televisive, ma fino ad oggi non sono riuscito a vedere neanche uno dei filmati che girarono”.
I Led Zeppelin suonarono a Milano come ospiti di una delle serate del Cantagiro. Ognuna delle precedenti tappe della manifestazione itinerante era stata accompagnata da un ospite internazionale che si esibì dopo gli artisti in concorso. Per la sera precedente, sul lago Maggiore, era stato Donovan. Per Milano vennero scelti i Led Zeppelin.
“Entrammo e ci sedemmo a terra. All’epoca non si usava accompagnare con la musica l’attesa prima del concerto. Poco dopo, anche se all’ingresso degli artisti sul palco mancava ancora molto, quelli delle prime file si alzarono in piedi, e tutti gli altri dietro fecero lo stesso”.
Il concerto cominciò con i cantanti del Cantagiro. La gente, che già era tanta, continuava ad affluire in massa. Del Cantagiro nessuno ne voleva sapere, tutti erano lì per i Led Zeppelin.
“Le esibizioni degli artisti italiani vennero accolte con un esplosione di urla, fischi e proteste. La gente si spazientì all’idea di dover aspettare la fine dello spettacolo prima di vedere i Led Zeppelin
sul palco. I concorrenti dovevano cantare un solo pezzo a testa, in playback, ma l’emozione per quello che era in programma dopo rese l’attesa insopportabile. C’era gente che spingeva, la confusione cresceva, contro gli artisti volava di tutto. A Bobby Solo fu lanciata contro una banana, mentre Moranti rifiutò di esibirsi”.
Nel frattempo, nel retro palco, era tutto in movimento per montare la strumentazione. Questo accresceva ulteriormente l’esaltazione del pubblico.Quando fu portato sul palco il gong ci fu uno scroscio di applausi. “I Led Zeppelin salirono sul palco con il massimo della semplicità, in modo diretto e informale, e aprirono trionfalmente il concerto con Immigrant Song. Pazzesco, incredibile, rimasero tutti sbalorditi. Non si può descrivere l’emozione di me, tredicenne, con davanti i Led Zeppelin dal vivo”.
I disordini, nel frattempo, non si erano placati “Io ero vicino al palco, ma si capiva che dietro stava succedendo di tutto. Continuavano a permettere che la gente entrasse e la gente insisteva a premere in avanti. Ci si muoveva in mezzo alla folla trasportati da enormi onde che ti sbattevano da una parte all’altra, e intorno sentivi che continuavano a ripetere ‘Basta, non spingete! Dite a quei bastardi di smetterla di spingere!’ ”.
I Led Zeppelin si fermarono ripetutamente, chiedendo al pubblico di restare tranquillo o sarebbero stati costretti ad interrompere il concerto. “Plant pregò la gente di mantenere la calma. ‘Keep cool please, keep quite’ - ripeté più volte.”
Il concerto andò avanti con pezzi come Rock and Roll e Black Dog. Ogni volta che Jimmy Page cambiava chitarra si sollevava un boato di applausi. Poi cominciarono gli scontri veri e propri con la polizia. “C’era troppa confusione, nessuno riusciva a godersi il concerto. Poi cominciò a diffondersi un odore sempre più acre e si cominciarono a vedere ragazzi con i fazzoletti al naso. La polizia aveva avuto una dura reazione alla confusione che si era creata durante l’apertura del concerto e che ancora continuava a crescere, e adesso stava lanciando indiscriminatamente lacrimogeni tra il pubblico. Infuriava il caos totale.”
Sicuramente tra la folla c’erano facinorosi interessati a creare scompiglio, che colsero al volo l’atmosfera di estrema tensione per scatenare la reazione collettiva. Fra di loro c’era poi chi era interessato ad attirare su di sé l’attenzione per protesta politica. Altri ancora erano indispettiti per l’esibizione dei cantanti del Cantagiro. A tutto questo andava sommata l’euforia generale per il concerto, che certo non contribuì a sedare i disordini. I Led Zeppelin nel frattempo, nonostante le difficoltà, proseguivano il loro concerto . La stampa, nei giorni successivi, fornì diverse giustificazioni per l’accaduto. Si mormorava, ad esempio, che, fra le cause scatenanti, la polizia avesse strappato dei rullini fotografici.“La gente scappava e cercava riparo dove poteva per uscire dalla confusione. Molti, gia prima che la situazione degenerasse, salirono sul palco. Anche io mi trovavo vicino al palco e questo, forse, mi tutelò. Il palco era probabilmente la zona più sicura, perché certo non avrebbero permesso che il centro dei disordini venisse a trovarsi lì.”
Quando fu chiaro che le richieste di Plant non avrebbero funzionato, ai Led Zeppelin non restò altro che concludere anticipatamente lo show, abbandonando il palco dopo appena ventisei minuti di concerto. Racconta il manager del gruppo, Peter Grant: “Gli scontri a Milano furono un incubo, ma ero già stato una volta quattro mesi in Italia come tour manager con Wee Willie Harris negli anni Cinquanta. Sapevo che posto rischioso poteva essere. Così mi feci dare tutti i soldi prima e mi assicurai che avessimo in anticipo i biglietti aerei di ritorno. Anche per il solo motivo che quando arrivammo al concerto c’erano cannoni ad acqua e gas lacrimogeno. Erano tutti impazziti. Dovemmo fuggire, e io non sono poi così bravo a correre. Ma Mick Hinton (il tecnico alla batteria di John Bohnam) e Richard Cole ci tirarono fuori, e ci barricammo nell’infermeria e restammo lì fino a che tutto non si calmò. Qualche anno dopo mi imbattei nel promoter di quel concerto nella toilette del Café Royale… Lui mi vide e si pisciò addosso perché pensava che lo avrei trattenuto in ostaggio o qualcosa del genere. Anche se io, a quel punto, lo avevo già dimenticato. Non si può rendere conto delle azioni della polizia italiana”.
Dopo che i Led Zeppelin interruppero il concerto, ci fu un intervallo di tempo in cui la loro strumentazione rimase sul palco. Ernesto ricorda: “ Quando i Led Zeppelin abbandonarono il palco, i loro strumenti furono lasciati lì per un po’, apparentemente incustoditi. In mezzo al casino, uno dei ragazzi fra il pubblico salì sul palco e si diresse verso la Gibson di Jimmy Page. Non fece a tempo ad avvicinarsi che un tecnico o qualcuno del management entrò sul palco, brandì il Fender di John Paul Jones e glielo sbatté sulla testa lasciandolo steso a terra. Per me fu impressionante. Percepii davvero la loro fedeltà e il loro senso di appartenenza al gruppo. I Led Zeppelin erano un grande gruppo ed erano forti di uno staff compatto ed efficiente attorno, ognuno responsabile del proprio ruolo e pronto a fare qualsiasi cosa.”
In mezzo alla confusione Ernesto e i suoi amici riuscirono a trovare una via di fuga che li portò all’esterno. “ Mentre correvamo per togliersi dal centro degli scontri, ci voltammo indietro e ci accorgemmo di aver perso uno di noi, che poi per fortuna ritrovammo insieme ad un altro gruppo di ragazzi conosciuti durante il viaggio. Mentre scappavo mi feci un taglio in una gamba. Lo vissi come un segno del destino e una premonizione per il futuro. Un marchio a memoria dell’incontro con quattro dei grandi del rock da portare con orgoglio per tutta la vita”.
Usciti dalla folla, si ritrovarono, ancora confusi, a raccogliere le emozioni in un bar. “Eramo appena usciti dal delirio collettivo ma ci sentivamo come se fossimo tornati da una festa. Eravamo tutti un po’ incoscienti e soprattutto ancora troppo emozionati per il concerto. L’euforia vinceva su tutto. Salvo il dover reagire alla situazione, nessuno si era spaventato più di tanto. Non c’era stato il tempo. Non c’era consapevolezza, solo tantissimo entusiasmo”. Il concerto tecnicamente fu difficile, sia per i Led Zeppelin che per coloro che lo seguirono. In mezzo allo scompiglio né gli uni, né gli altri riuscirono a godersi la musica. “ Alla fine eravamo un po’ delusi per come erano andate le cose. Io avevo già visto grandi gruppi suonare. I Colosseum a Roma(26 maggio 1971, Piper), i Grandfunk con gli Humble Pie di spalla (30 Giugno 1971, Palaeur), i Pink Floyd ( 25 Giugno 1971, palaeur) e il" triple bill": PFM, Black Widow e Yes al teatro brancaccio a Maggio 1971, ma gli Yes non suonarono perchè la loro strumentazione non arrivò in tempo e loro non usavano quella altrui. Il concerto dei Led Zeppelin fu una sofferenza”
Si spostarono verso la stazione per prendere un treno e tornare a casa, ma anche qui si sommavano i disagi e riuscirono a rientrare solo a tarda notte. “Arrivai a casa e mi chiusi dietro un muro di omertà, non raccontando neanche una parola di quanto era successo, fin quando mia madre non lo scoprì, qualche giorno dopo, leggendo i giornali e ricevendo qualche telefonata dai genitori dei miei amici. Il concerto, indipendentemente da come andarono tecnicamente le cose, fu un’esperienza memorabile, una sensazione indescrivibile. Si pianse tanto per i lacrimogeni, ma si pianse tanto anche per l’emozione.”
Giulia Nuti
Seventies' Recollection:
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Milano, Velodromo Vigorelli, 5 luglio 1971. LED ZEPPELIN
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