---------------------------------------------------
le storie dietro una foto..miriadi di foto. perle rare
Quanto adoro questi ragazzi che hanno fatto da colonna sonora alla mia vita lo so solo io. Con Robert ho avuto un "rapporto" conflittuale in quanto non capivo il suo voler distaccarsi dalla rockband leggendaria che lo ha portato alla gloria eterna. Col tempo aveva ragione lui. I Led Zeppelin sono stati stop. Lui voleva e vuole suonare la sua musica senza paragoni assurdi. Persona fantastica, l'hippy dei Led Zeppelin. Ha rifiutato non so quanto vil denaro per dischi o tour di Reunion. Grande amico di Bonzo. Una "scena" per capire la sua umiltà e la sua passione per la musica: Lenny kravitz (che adorava Plant e gli Zepp) che dice che non ha un gruppo spalla per il tour e lui "Qual'e' il problema ragazzo, vengo io!" ... Questo e' Robert. E la sua commozione ai Kennedy Honor's?! Va' be leggenda pura. Grazie di tutto!
ed io aggiungo..e con questa risposta Robert mette tutto e tutti al tappeto...è il più Grande in assoluto..❤️
..il 20 agosto si avvicina...
Robert Anthony Plant nasce a West Bromwich il 20 agosto 1948 ed è un cantante, musicista e compositore britannico, noto sopratutto per essere stato umo dei componenti dei Led Zeppelin. Nel 1968, contattato da Jimmy Page, entrò a far parte dei nascituri Led Zeppelin nel ruolo di voce solista e autore, contribuendo in maniera determinante alla nascita dell'hard rock e progressive rock, generi di cui il gruppo è comunemente ritenuto iniziatore, e rimanendovi fino allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1980 a causa della morte del batterista John Bonham. Dal 1982, a dispetto dell'evidente abbassamento del suo timbro vocale, si è dedicato con alterne fortune alla carriera solista, riprendendo e ampliando molti dei temi costituenti la complessa alchimia musicale dei Led Zeppelin come il blues, il folk, la musica araba e le tematiche mitologiche, in particolar modo quelle celtiche. La sua ecletticità nel combinare vari generi musicali, il suo aspetto selvaggio, le pose sfrontate che assumeva sul palco e soprattutto il suo timbro vocale estremo, del tutto inedito per l'epoca, per la sua capacità di assumere sfumature assai delicate o livelli di inaudita aggressività, ne hanno fatto un modello per i cantanti hard rock e heavy metal che sarebbero venuti; esempi piuttosto evidenti sono Steven Tyler degli Aerosmith, Bon Scott degli AC/DC, Axl Rose dei Guns N' Roses, Freddie Mercury dei Queen, David Lee Roth dei Van Halen, Paul Stanley dei Kiss, Sammy Hagar dei Montrose, Rob Halford dei Judas Priest, Jack Russell dei Great White, Geddy Leedei Rush, David Coverdale degli Whitesnake e Jeff Keith dei Tesla così come moltissimi altri. È stato collocato al 15º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone;[6] nel 2009 è stato votato dagli ascoltatori di Planet Radio e dai lettori della rivista NME come Greatest voice in Rock. Identico responso ha dato il sondaggio condotto nel 2011 tra i lettori internazionali di Rolling Stone: per il pubblico, Robert Plant è il più grande cantante solista di tutti i tempi. Nato a West Bromwich da Robert C. e Annie Cane, il piccolo Robert crebbe ad Halesowen, nel Worcestershire, attualmente parte della conurbazione di Dudley, nel metropolitan borough di Birmingham, dove frequentò la scuola elementare King Edward VI. Ebbe un regolare curriculum scolastico fino alla prima adolescenza, quando rimase letteralmente folgorato dalla scoperta del blues e del rock and roll, generi a cui attinse avidamente sviluppando una devozione per Elvis Presley. La famiglia non approvava il fatto che Robert coltivasse così intensamente la sua passione per la musica, ma inizialmente non mosse particolari obiezioni; all'età di quindici anni suo padre, ingegnere, lo accompagnava spesso (seppur di malavoglia) al Seven Stars Blues Club di Stourbridge dove il figlio si esibiva con la Delta Blues Band e i Sounds of Blue, proponendo riletture di Muddy Waters e altri grandi classici del blues. La situazione si fece tesa quando, l'anno dopo, comunicò alla sua famiglia di voler abbandonare il tirocinio avviato solo due settimane prima presso uno studio contabile per inserirsi a tempo pieno nella scena blues delle Midlands. Lasciata la famiglia a soli diciassette anni, Robert incrementò considerevolmente la sua attività militando in un gran numero di gruppi di Birmingham tra cui i New Memphis Bluesbreakers e i Black Snake Moan (in onore del vecchio classico di Blind Lemon Jefferson) e consolidò le sue radici blues approfondendo la conoscenza del repertorio del grande Robert Johnson e di Willie Dixon Bukka White, Skip James, Jerry Miller e Sleepy John Estes; contemporaneamente iniziò a svolgere diversi lavori per mantenersi, tra cui spargere asfalto sulle strade come operaio della George Wimpey Limited. Durante la sua militanza nei The Crawling King Snakes, nel 1965, ebbe modo di stringere amicizia con un tanto gioviale quanto poderoso batterista suo coetaneo, John Bonham. Il legame con Bonham si rivelerà destinato a durare per ragioni di affinità tanto musicale quanto umana. Oltre all'esperienza nei Crawling King Snakes, Robert e John si ritrovarono assieme nella Band of Joy nel 1967, fondendo il loro amore per il blues con le nuove vibrazioni psichedeliche provenienti dalla West Coast californiana. La turbinosa serie di collaborazioni intraprese da Robert ebbe i primi sbocchi nel 1966, quando incise per la CBS il suo primo 45 giri come cantante del trio soul Listen, una cover di You Better Run degli Young Rascals che vedeva sul lato B un brano che lo vide coautore, Everybody's Gonna Say. Tra la fine del 1966 e il 1967 la CBS pubblicò, questa volta a suo unico nome, altri due 45 giri, Our Song/Laughin', Cryin', Laughin' e Long Time Coming/I've Got A Secret. Nonostante nessuno dei 45 giri dati alle stampe avesse riscosso il successo sperato, nell'ambiente musicale inglese il nome di Robert Plant iniziò a circolare e la reputazione della sua formidabile voce crebbe rapidamente; fu così che per un breve periodo Plant formò addirittura un duo con Alexis Korner, il primo bluesman inglese assieme a Cyril Davies. I due effettuarono diverse registrazioni assieme: l'unica pervenuta ad oggi è la facciata A di un 45 giri, un blues intitolato Operator. In quel periodo Plant iniziò anche a cantare in un gruppo chiamato Hobbstweedle, formazione folk rock che combinava elementi blues, psichedelici e tematiche connesse a Il Signore degli Anelli di Tolkien, opera di cui era grande appassionato. Nella prima metà del 1968 il chitarrista Jimmy Page era alla ricerca di una voce adeguata al sound che aveva in mente per il suo nuovo gruppo; il nome di Plant gli venne fatto dal cantante Terry Reid, inizialmente contattato da Page allo scopo, il quale gli parlò dell'impressionante carisma di questo cantante dalla voce blues ed estrema che aveva visto esibirsi in un locale di Birmingham assieme agli Hobbstweedle. Recatosi a Birmingham, Page ebbe modo di assistere alla performance di Plant e ne rimase assai impressionato: «Quando gli ho fatto il provino e l'ho sentito cantare ho immediatamente pensato che ci fosse qualcosa di storto nella sua personalità o che fosse impossibile lavorarci insieme, perché semplicemente non riuscivo a capire come mai, dopo che cantava ormai da tanti anni, come mi aveva detto, non fosse ancora diventato una celebrità.» Alla fine dell'esibizione Page avvicinò Plant e gli propose di raggiungerlo per qualche giorno nella sua abitazione galleggiante di Pangbourne, a Londra, per discutere di un progetto musicale completamente nuovo. I due passarono diversi giorni ascoltando pile di vecchi dischi blues e folk e confrontandosi senza sosta sul nuovo suono e sul nuovo impatto che il rock avrebbe dovuto avere negli anni settanta; le idee vennero messe in gioco da entrambi senza riserve e fu subito evidente che nel gruppo che stava nascendo vi era un'alchimia che andava molto al di là di una semplice visione comune delle cose. E' l'inizio della leggenda. https://youtu.be/ZnfgRfhdpeQ Nel corso di una recente intervista a Planet Rock, Plant ha parlato del suo passato con gli Zeppelin, che proprio quest’anno hanno festeggiato i cinquant’anni dal loro primo album in studio. “I miei pari stavano scrivendo pezzi importanti di cronaca sociale e io vagavo lungo i confini del Galles pensando a Gollum“. Plant fa riferimento al celebre personaggio de Il Signore degli Anelli nel noto pezzo Ramble on, contenuto nel secondo album dei Led Zeppelin. E anche in altri brani torna spesso sulle ambientazioni descritte nei romanzi di Tolkien, basti pensare a The Battle of Evermore, Misty Mountain Hop e Bron-Y- Aur-Stomp. “Mi è piaciuto quello che ho fatto, ma adesso lo guardo e dico , ‘Wooh, era un po’ incerto’“. E poi aggiunge “Però mi piace ‘Stairway to Heaven. Posso guardarla in modo più oggettivo. Non sempre riesco a capacitarmi di questo brano, ma è qualcosa di grandioso“.
Robert Anthony Plant nasce a West Bromwich il 20 agosto 1948 ed è un cantante, musicista e compositore britannico, noto sopratutto per essere stato umo dei componenti dei Led Zeppelin.
Nel 1968, contattato da Jimmy Page, entrò a far parte dei nascituri Led Zeppelin nel ruolo di voce solista e autore, contribuendo in maniera determinante alla nascita dell'hard rock e progressive rock, generi di cui il gruppo è comunemente ritenuto iniziatore, e rimanendovi fino allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1980 a causa della morte del batterista John Bonham.
Dal 1982, a dispetto dell'evidente abbassamento del suo timbro vocale, si è dedicato con alterne fortune alla carriera solista, riprendendo e ampliando molti dei temi costituenti la complessa alchimia musicale dei Led Zeppelin come il blues, il folk, la musica araba e le tematiche mitologiche, in particolar modo quelle celtiche.
La sua ecletticità nel combinare vari generi musicali, il suo aspetto selvaggio, le pose sfrontate che assumeva sul palco e soprattutto il suo timbro vocale estremo, del tutto inedito per l'epoca, per la sua capacità di assumere sfumature assai delicate o livelli di inaudita aggressività, ne hanno fatto un modello per i cantanti hard rock e heavy metal che sarebbero venuti; esempi piuttosto evidenti sono Steven Tyler degli Aerosmith, Bon Scott degli AC/DC, Axl Rose dei Guns N' Roses, Freddie Mercury dei Queen, David Lee Roth dei Van Halen, Paul Stanley dei Kiss, Sammy Hagar dei Montrose, Rob Halford dei Judas Priest, Jack Russell dei Great White, Geddy Leedei Rush, David Coverdale degli Whitesnake e Jeff Keith dei Tesla così come moltissimi altri.
È stato collocato al 15º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone;[6] nel 2009 è stato votato dagli ascoltatori di Planet Radio e dai lettori della rivista NME come Greatest voice in Rock.
Identico responso ha dato il sondaggio condotto nel 2011 tra i lettori internazionali di Rolling Stone: per il pubblico, Robert Plant è il più grande cantante solista di tutti i tempi.
Nato a West Bromwich da Robert C. e Annie Cane, il piccolo Robert crebbe ad Halesowen, nel Worcestershire, attualmente parte della conurbazione di Dudley, nel metropolitan borough di Birmingham, dove frequentò la scuola elementare King Edward VI.
Ebbe un regolare curriculum scolastico fino alla prima adolescenza, quando rimase letteralmente folgorato dalla scoperta del blues e del rock and roll, generi a cui attinse avidamente sviluppando una devozione per Elvis Presley.
La famiglia non approvava il fatto che Robert coltivasse così intensamente la sua passione per la musica, ma inizialmente non mosse particolari obiezioni; all'età di quindici anni suo padre, ingegnere, lo accompagnava spesso (seppur di malavoglia) al Seven Stars Blues Club di Stourbridge dove il figlio si esibiva con la Delta Blues Band e i Sounds of Blue, proponendo riletture di Muddy Waters e altri grandi classici del blues.
La situazione si fece tesa quando, l'anno dopo, comunicò alla sua famiglia di voler abbandonare il tirocinio avviato solo due settimane prima presso uno studio contabile per inserirsi a tempo pieno nella scena blues delle Midlands.
Lasciata la famiglia a soli diciassette anni, Robert incrementò considerevolmente la sua attività militando in un gran numero di gruppi di Birmingham tra cui i New Memphis Bluesbreakers e i Black Snake Moan (in onore del vecchio classico di Blind Lemon Jefferson) e consolidò le sue radici blues approfondendo la conoscenza del repertorio del grande Robert Johnson e di Willie Dixon Bukka White, Skip James, Jerry Miller e Sleepy John Estes; contemporaneamente iniziò a svolgere diversi lavori per mantenersi, tra cui spargere asfalto sulle strade come operaio della George Wimpey Limited. Durante la sua militanza nei The Crawling King Snakes, nel 1965, ebbe modo di stringere amicizia con un tanto gioviale quanto poderoso batterista suo coetaneo, John Bonham.
Il legame con Bonham si rivelerà destinato a durare per ragioni di affinità tanto musicale quanto umana. Oltre all'esperienza nei Crawling King Snakes, Robert e John si ritrovarono assieme nella Band of Joy nel 1967, fondendo il loro amore per il blues con le nuove vibrazioni psichedeliche provenienti dalla West Coast californiana.
La turbinosa serie di collaborazioni intraprese da Robert ebbe i primi sbocchi nel 1966, quando incise per la CBS il suo primo 45 giri come cantante del trio soul Listen, una cover di You Better Run degli Young Rascals che vedeva sul lato B un brano che lo vide coautore, Everybody's Gonna Say.
Tra la fine del 1966 e il 1967 la CBS pubblicò, questa volta a suo unico nome, altri due 45 giri, Our Song/Laughin', Cryin', Laughin' e Long Time Coming/I've Got A Secret.
Nonostante nessuno dei 45 giri dati alle stampe avesse riscosso il successo sperato, nell'ambiente musicale inglese il nome di Robert Plant iniziò a circolare e la reputazione della sua formidabile voce crebbe rapidamente; fu così che per un breve periodo Plant formò addirittura un duo con Alexis Korner, il primo bluesman inglese assieme a Cyril Davies. I due effettuarono diverse registrazioni assieme: l'unica pervenuta ad oggi è la facciata A di un 45 giri, un blues intitolato Operator.
In quel periodo Plant iniziò anche a cantare in un gruppo chiamato Hobbstweedle, formazione folk rock che combinava elementi blues, psichedelici e tematiche connesse a Il Signore degli Anelli di Tolkien, opera di cui era grande appassionato.
Nella prima metà del 1968 il chitarrista Jimmy Page era alla ricerca di una voce adeguata al sound che aveva in mente per il suo nuovo gruppo; il nome di Plant gli venne fatto dal cantante Terry Reid, inizialmente contattato da Page allo scopo, il quale gli parlò dell'impressionante carisma di questo cantante dalla voce blues ed estrema che aveva visto esibirsi in un locale di Birmingham assieme agli Hobbstweedle. Recatosi a Birmingham, Page ebbe modo di assistere alla performance di Plant e ne rimase assai impressionato:
«Quando gli ho fatto il provino e l'ho sentito cantare ho immediatamente pensato che ci fosse qualcosa di storto nella sua personalità o che fosse impossibile lavorarci insieme, perché semplicemente non riuscivo a capire come mai, dopo che cantava ormai da tanti anni, come mi aveva detto, non fosse ancora diventato una celebrità.»
Alla fine dell'esibizione Page avvicinò Plant e gli propose di raggiungerlo per qualche giorno nella sua abitazione galleggiante di Pangbourne, a Londra, per discutere di un progetto musicale completamente nuovo.
I due passarono diversi giorni ascoltando pile di vecchi dischi blues e folk e confrontandosi senza sosta sul nuovo suono e sul nuovo impatto che il rock avrebbe dovuto avere negli anni settanta; le idee vennero messe in gioco da entrambi senza riserve e fu subito evidente che nel gruppo che stava nascendo vi era un'alchimia che andava molto al di là di una semplice visione comune delle cose.
E' l'inizio della leggenda.
https://youtu.be/ZnfgRfhdpeQ
Nel corso di una recente intervista a Planet Rock, Plant ha parlato del suo passato con gli Zeppelin, che proprio quest’anno hanno festeggiato i cinquant’anni dal loro primo album in studio.
“I miei pari stavano scrivendo pezzi importanti di cronaca sociale e io vagavo lungo i confini del Galles pensando a Gollum“. Plant fa riferimento al celebre personaggio de Il Signore degli Anelli nel noto pezzo Ramble on, contenuto nel secondo album dei Led Zeppelin. E anche in altri brani torna spesso sulle ambientazioni descritte nei romanzi di Tolkien, basti pensare a The Battle of Evermore, Misty Mountain Hop e Bron-Y- Aur-Stomp.
“Mi è piaciuto quello che ho fatto, ma adesso lo guardo e dico , ‘Wooh, era un po’ incerto’“. E poi aggiunge “Però mi piace ‘Stairway to Heaven. Posso guardarla in modo più oggettivo. Non sempre riesco a capacitarmi di questo brano, ma è qualcosa di grandioso“.
"Non è possibile suonare la chitarra come un tour de force come ho fatto con i Led Zeppelin. John Bonham, batterista fenomenale, giovane con la sua tecnica, ma pensi che avrebbe mai avuto l'opportunità di suonare in quel modo in un'altra band ? Certo che no ". ~ Jimmy Page
..Robert ha pianto..la commozione ,ricordi, emozioni sempre presenti non possono essere celate..era come se tutto avesse un nuovo inizio per lui ma non solo..per noi che lo ascoltiamo con il cuore possiamo ben capire cosa tutto questo possa rappresentare per lui..e quel pianto è stato il suo modo di amare tutti quelli che hanno creduto nel suo e nel sogno di essere stati Grandi..essere stati LED..non un nome ma una Storia fatta da uomini a volte fragili a volte impetuosi, a volte coraggiosi a volte temerari.ma sempre grandi nel loro elargire sentimento..perchè la Musica, qualla Grande è sentimento che non muore mai, ma si rigenera e si definisce anche attraverso percorsi dolorosi..grazie ragazzi..grazie Robert per quelle lacrime..rendono onore e umiltà all'anima..
L’arte non è espressione di noi stessi, l’arte non è l’espressione dell’artista. Certo, ci può essere chi si sforza come in un qualunque lavoro di creare qualcosa e di metterci tutto se stesso. L’arte, per quel che può significare questa parola così piena di vanità, è espressione di qualcosa d’altro oltre noi che ci attraversa a volte anche con violenza, dolore e sacrificio, chiedendo di essere espresso. E’ un urlo, un pianto, occhi rosse di lacrime, una preghiera. E la preghiera non è mai una nostra affermazione, ma una richiesta.
Tre uomini anziani, alla soglia dei loro 70 anni, siedono in una tribuna con i massimi onori. E’ il 2012, è la serata del Kennedy Center Honors. Al loro fianco il presidente degli Stati Uniti, al loro collo la massima onorificenza che quel paese può dare a chi si è reso meritevole grazie al suo lavoro (o arte se vogliamo).
I tre anziani signori aspettano di vedere l’ultima esibizione musicale in loro onore della serata, dopo altre esibizioni che li hanno già glorificati. Ma ecco che succederà l’impensabile, anche per loro, anche per tutti quelli che si erano esibiti convinti di aver già fatto del loro meglio, per tutti coloro che sono in quella sala.
Accadrà che qualcosa di più grande degli artisti che la eseguono, più grande degli autori (i tre anziani signori, ne manca uno, morto decenni fa, crollato sotto il peso di quel misterioso atto creativo che non tutti sono in grado di sopportare a lungo) in qualche modo si renderà tangibile e talmente affascinante da ridurre in lacrime almeno uno di loro.
Lui, il cantante, quarant’anni prima all’epoca di quel brano che fra poco verrà eseguito, era l’idolo assoluto, “il dio dorato” lo chiamavano. Aveva in mano le chiavi del mondo e anche del cielo. Adesso è un uomo vecchio, con tante rughe e lo sguardo stanco. Insieme agli altri aveva scritto quel brano, mettendoci lui le parti più importanti. La canzone si chiamava Stairway to Heaven, una scala verso il cielo. E anche se persone ottuse, incapaci di fronteggiare il mistero che dicevano di predicare tutti i gironi in chiesa avevano definito quella canzone un brano satanico, cioè l’espressione del male stesso, quella canzone sarebbe stata invece l’espressione tra le più lampanti del grido del cuore dell’uomo a Dio: “essere una pietra e non riuscire a rotolare”, mai definizione e giochetto di parole più brillante per scherzare con quella cosa misteriosa, il rock’n’roll che li aveva forgiati e definiti come persone (“to be a rock and not to roll”). E poi il desiderio di una scala per salire finalmente al senso e al significato di tutto.
Stasera la stanno per cantare le Heart, un duo femminile che fu la diretta discendenza di quei tre signori sopravvissuti, conosciuti anche come Led Zeppelin.
La cantante comincia a cantare con eleganza e sentimento e i tre non riescono a trattenere sorrisi e ghigni di soddisfazione. Ma soprattutto ascoltano sorpresi: ma davvero abbiamo scritto noi una canzone così bella? Non è possibile. Ecco che l’arte non è espressione di se stessi, ma avviene attraverso e nonostante noi. Solo gli umili possono capirli.
Poi alla batteria quel ragazzone grande e grosso che è proprio il figlio del loro batterista morto tanti anni fa e che insieme a loro tre l’aveva eseguita mirabilmente tante volte. E poi improvviso, scoperto dalle luci, un coro gospel che fa sobbalzare tutti sulle sedie. E l’orchestra di violini. Ma qui siamo davvero arrivati in cima a quelle scale, sembra dire Jimmy Page che ride e sorride, muove la testa a tempo, segue con attenzione il chitarrista che cerca – ovviamente non può riuscirci – di imitare il suo assolo.
Mentre quel coro gospel porta ognuna delle persone presenti a latitudini inimmaginabili, gli occhi del vecchio cantante si stanno riempiendo di lacrime. Non le può trattenere. Sta accadendo qualcosa in quel preciso momento lui può solo arrendersi al fatto che si impone. Gratitudine, rimpianti, meraviglia: ogni cosa in quelle lacrime. E’ giusto lasciarle andare, bisogna avere il cuore buono per reagire così.
Alla fine la musica finisce ma rimane nell’aria come una testimonianza, una preghiera per l’eternità, un monito e il figlio del batterista morto non trattiene neanche lui le lacrime: ho suonato come potevo quello che mio padre suonava tutte le sere, ma c’era anche lui qui stasera. Quel padre morto quando lui era solo un bambinetto, mai conosciuto veramente, ma così incredibilmente presente attraverso la musica. Si alza in piedi, indica i tre signori sul palco, si battee il petto dove c’è il cuore.
E’ stata davvero una salita verso il cielo, e ne è valsa la pena, ne bene e nel male. Siamo delle pietre incapaci di rotolare, ma se diciamo di sì, il mistero può passare ed esprimersi attraverso di noi.
John Bonham performs with The New Yardbirds in Copenhagen, Sept. 7, 1968. CREDIT: © Jorgen Angel, www.angel.dk/Courtesy Reel Art Press..
Fumogeni sui Led Zeppelin
By Gianni Lucini - 5 Luglio 2020
Il 5 luglio 1971 al Vigorelli di Milano è in programma un atteso concerto dei Led Zeppelin in occasione della tappa del Cantagiro. La polizia, drammatizzando un po’ le annunciate contestazioni contro il costo del biglietto, ha schierato oltre duemila agenti in assetto antisommossa nel perimetro esterno dell’impianto.
Modi spicci e brutali
I modi spicci e brutali con i quali hanno represso, fin dalle prime ore del pomeriggio, ogni accenno di protesta, hanno contribuito a creare un clima di nervosismo generale. Alle 22.40 i Led Zeppelin iniziano a suonare. Un centinaio di ragazzi senza biglietto trattenuti all’esterno inizia a urlare «PS-SS». Parte una carica violenta. I giovani si disperdono. Un gruppetto approfitta della confusione per sfondare un cancello incustodito. La polizia lancia verso di loro alcuni lacrimogeni che finiscono, ovviamente, dentro al Vigorelli. Il risultato è devastante. I diecimila spettatori, immersi nel fumo dei lacrimogeni, si ammassano verso il palco.
I Led Zeppelin s’arrendono
I Led Zeppelin sospendono il concerto e Robert Plant invita tutti alla calma. Si riprende con Since I’ been loving you, ma il fumo ha ormai raggiunto anche il palcoscenico. Robert Plant tossisce e Jimmy Page piange copiosamente. Altri dieci minuti di confusione poi la band attacca Whole lotta love, mentre dall’esterno la polizia lancia un’altra cascata di lacrimogeni sul lato destro della platea. La folla degli spettatori preme sempre di più verso il palco. Mentre parte l’assolo di batteria il palco piomba nel buio. Non arriva più energia elettrica. I Led Zeppelin si arrendono. Lasciano il palcoscenico mentre il pubblico cerca scampo verso il palco. La ressa è paurosa. Gli spettatori, soffocati dal fumo dei lacrimogeni, si accalcano verso le uscite. Presa tra due fuochi la polizia reagisce con veemenza. Gli scontri dureranno tutta la notte e si estenderanno ad altre zone della città. Nei giorni successivi Robert Plant, il cantante della band, accuserà di “barbarie” la polizia italiana, unica responsabile, a suo dire, degli incidenti.
https://www.dailygreen.it/fumogeni-sui-led-zeppelin/
Led Zeppelin IV: alla ricerca dell’album perfetto
L’otto novembre del 1971 usciva il quarto album dei Led Zeppelin: si tratta di un disco senza titolo, senza immagini della band e addirittura che non ne riporta neanche il nome; nemmeno i Beatles, col White Album di pochi anni prima, avevano osato tanto.
Headley Grange è una vecchia abitazione rurale, tipicamente inglese, immersa nel verde dell’East Hampshire, non troppo distante da Londra. Il cottage venne costruito nel 1795 a un costo stimato di circa 1.500 sterline, per le parrocchie di Headley, Bramshott e Kingsley, per proteggere i loro infermi, poveri anziani e bambini orfani o illegittimi. Dopo una storia ricca di peripezie – tra cui il saccheggio di una folla di rivoltosi nel 1830 – divenne negli anni sessanta un ostello per la gioventù, prima di essere destinata all’utilizzo che la fece entrare nella storia, ovvero come studio di registrazione per importanti gruppi rock. La quiete e la grande bellezza dei luoghi, le bislacche leggende di fantasmi, ma soprattutto l’incredibile acustica di alcune sue stanze, ne fecero un luogo di culto. Specie dopo che i Led Zeppelin vi registrarono il loro album perfetto, il quarto. Quello senza titolo.
Nel 1971 i Led Zeppelin erano reduci da un biennio senza precedenti; passarono dall’essere quattro ragazzotti di belle speranze ai numeri uno del panorama pop, riempiendo il vuoto lasciato dai disciolti Beatles. Jimmy Page, dopo anni come turnista, poteva finalmente assecondare il suo estro creativo e la sua voglia di sperimentare; Robert Plant, le cui urla dissennate non l’avevano reso una star nonostante la militanza in un gran numero di band, poteva fare quello che meglio gli riusciva: cantare e dimenare sul palco il proprio, sconfinato, ego; John Bonham, un semplice ragazzone di campagna destinato alla falegnameria, stava rivoluzionando il modo di suonare la batteria e, senza saperlo, aveva iniziato la sua discesa agli inferi; John Paul Jones era il più tranquillo, defilato ma fondamentale negli equilibri della band.
I Led Zeppelin avevano talmente successo dall’essere passati in un battito di ciglia da un primo album prodotto in economia a viaggiare su un jet privato con la loro effige. Ma il 1971 era anche il momento di riprendere fiato, rallentare sia nei ritmi di vita che in quelli musicali. Ed era il momento di inseguire il disco perfetto.
"Era giunto il momento di fermarci, di fare rifornimento e non perderci nel caos. Gli Zeppelin stavano diventando veramente grandi, e volevamo che il nostro viaggio proseguisse tranquillamente", ebbe a dire di quei giorni Jimmy Page.
Dopo l’accoppiata I e II, un hard blues accelerato e quasi senza soste che aveva dato la stura a una quantità di imitatori e un genere musicale nuovo, l’hard rock, già , un hard blues accelerato e quasi senza soste che aveva dato la stura a una quantità di imitatori e un genere musicale nuovo, l’hard rock, già Led Zeppelin III aveva mostrato segni di cambiamento. Page, gran burattinaio, pareva voler smussare gli angoli, attenuare il furore degli esordi in favore di una musica più matura. Più pensata.
Il quarto lavoro doveva essere perfetto, incentrato solo sulla musica, senza gli eccessi che già iniziavano a far storcere il naso a più d’uno.
La trovata del packaging senza nessun riferimento a band, autori o titoli, come potete immaginare, non faceva impazzire quelli dell’Atlantic, che temevano un colossale buco nell’acqua. A questo proposito è ancora Page a parlare: "Decidemmo che in copertina non ci sarebbe stata alcuna informazione. Nomi, titoli, e cose simili non significano nulla. Ciò che importava era la nostra musica."
La copertina ritrae un muro consumato dal tempo su cui è appesa una cornice. All’interno una fotografia ritrae un anziano contadino, piegato sotto il peso di una grossa fascina di legname. L’idea era quella di rappresentare lo scorrere del tempo. All’interno dell’LP spicca un oscuro disegno di Barrington Colby, che raffigura La copertina ritrae un muro consumato dal tempo su cui è appesa una cornice. All’interno una fotografia ritrae un anziano contadino, piegato sotto il peso di una grossa fascina di legname. L’idea era quella di rappresentare lo scorrere del tempo. All’interno dell’LP spicca un oscuro disegno di Barrington Colby, che raffigura l’Eremita, una carta dei tarocchi, e che ricorda vagamente alcune incisioni di Escher. (leggi l'articolo)
Per molto tempo è stata diffusa la credenza che il personaggio fosse ispirato a Il Signore Degli Anelli, libro amato da Plant e più volte citato dalla band. Unica firma dei quattro, i simboli che appaiono in calce, che tanto hanno fatto almanaccare ma che non sono altro che segni tratti da un antico libro di rune.
Siamo alla musica. Approcciarsi a un disco che, unanimemente, è ritenuto uno dei grandi capolavori del rock e che, nonostante i cupi vaticini dell’Atlantic, vendette tantissimo, può risultare non facile. O almeno approcciarsi in modo non superficiale. Prendiamo l’apertura del lavoro; Black Dog – che con Rock’n’roll fu l’unico singolo – può sembrare la summa dell’hard rock anni ’70. Riff fulminante con un tempo complesso – dovuto, si dice, a Jones – voce ululante di Plant e assolo di Page frutto di complicate operazioni di missaggio.
Il punto è proprio questo: eravamo nel 1971, gli anni ’70, come siamo abituati a considerarli, non esistevano; e così quel suono, allora del tutto nuovo. Il black dog del titolo era un era un labrador retriever nero che vagava per Headley Grange, mentre per il modo di cantare pare che Plant si fosse ispirato a Oh Well, un pezzo dei Fleetwood Mac che effettivamente ha qualche somiglianza nella struttura. Basterebbe già un pezzo così per schiudere le porte del mito all’intero disco, ma siamo solo all’inizio. Rock’n’roll è un genuino omaggio al rock degli anni ’50 e venne fuori del tutto spontaneamente, nel giro di un quarto d’ora, mentre la band non riusciva a venire a capo dell’arrangiamento di Four Sticks. Segue The Battle Of Evermore; non erano nuovi, i Led Zeppelin, a infilare momenti acustici tra una tirata hard e l’altra.
Tuttavia, questo pezzo risalta in modo particolare nella loro discografia. Prima di tutto è l’unico in cui non canta solo Robert Plant; ad accompagnarlo la divina Sandy Denny, cantante degli allora rispettatissimi Fairport Convention. Ed è proprio questa commistione di generi una delle chiavi di volta del mito degli Zeppelin. In quel periodo, col beat e il blues revival al tramonto, i generi che si dividevano la scena erano il folk revival e l’hard rock; o stavi da una parte o dall’altra. I Led Zeppelin no, loro potevano permettersi di frequentare da maestri tutti e due i versanti, e The Battle Of Evermore, col suo testo fantasy e il mandolino che detta le linee, ne è il perfetto esempio.
Siamo a metà disco e la band cala il capolavoro della carriera e non solo. Stairway To Heaven, un sontuoso brano che mischia folk e hard in modo inedito. Un’introduzione di chitarra che è divenuta talmente proverbiale da risultare quasi inflazionata e che è valsa un’accusa di plagio non del tutto infondata – da parte degli Spirit di Randy California. La canzone è assolutamente perfetta, dall’oscuro testo di Plant – che ha alimentato le consuete, bislacche, accuse di satanismo – al flauto suonato da Jones. A un certo punto le atmosfere bucoliche della 12 corde di Page lasciano il posto a una delicata elettrificazione, prima dell’esplosione hard del finale. L’assolo – suonato su una Telecaster del ’59, regalata a Page da Jeff Beck – è travolgente, tanto che alcune riviste di settore lo giudicheranno il migliore della storia del rock.
Riprendersi da Stairway To Heaven non è semplice, ed effettivamente il disco va avanti un po’ in calando, e non potrebbe essere altrimenti. Misty Mountain Hop è un hard rock dal riff micidiale e l’andamento funkeggiante; narra un incontro con la polizia dopo aver fumato dopo aver fumato marijuana in un parco e contiene di nuovo citazioni tolkeniane. Il lavoro di Page alla chitarra, sottovalutato a causa della grandezza degli altri pezzi, non è da meno che, per dire, in Black Dog. Four Sticks – in onore alle quattro bacchette che Bonham era in grado di impugnare contemporaneamente – propone un altro riff killer e un solo di sintetizzatore che emula la chitarra acustica. di sintetizzatore che emula la chitarra acustica. Going To California è di nuovo una bellissima carezza acustica, pare dedicata a Joni Mitchell, la profetessa del folk che sia Page che Plant stimavano tantissimo. La ritmica vede la chitarra di Page e il mandolino di Jones incrociarsi sapientemente.
A chiudere il lavoro il richiamo più evidente al blues delle origini, con When The Levee Breaks, accreditata a Memphis Minnie – a pararsi da accuse di plagio, che spesso piovevano sulla band – e lunga oltre sette minuti. Ma anche qui l’approccio è tutto nuovo; il blues c’è ma non è più derivativo come nei primi dischi. Bonham posiziona la sua potentissima batteria sotto una scalinata di Headley Grange, ottenendo un incredibile riverbero naturale. Non solo, gli strumenti, compresa l’armonica suonata da consumato bluesman da Plant, vengono rallentati per dare un tono ancora più pesante al minaccioso incedere del brano. Tutti tranne la voce di Robert Plant, che cerca l’ispirazione dalle parti del primo Elvis. Jimmy Page si cimenta con una misurata prestazione alla chitarra slide; quello che ne esce è l’ennesimo capolavoro di un disco perfetto, un pezzo che trascina il blues degli anni ’30 in piena era moderna. Una rivisitazione che non sarà più superata.
Insomma, Led Zeppelin IV è un disco che spesso fa ancora parlare più per motivi accessori alla musica: il satanismo di nastri ascoltati al contrario, le dimore infestate, la copertina criptica e priva di riferimenti. Noi vi consigliamo di ascoltarlo ancora una volta, con orecchi nuovi e concentrandovi solo sulla musica, splendida e mai più così ricca di trovate.
E di ascoltarlo nel giusto verso, of course.
Los Angeles Led Zeppelin performed at the famed L.A. club Whiskey a Go Go on January 5, 1969. Opening act: Alice Cooper.CREDIT: Courtesy Reel Art..
Nessun commento:
Posta un commento