le storie dietro delle foto perle rare
Led Zeppelin - The Battle Of Evermore
Led Zeppelin - The Battle of Evermore - Live 1971
1977 The Battle of Evermore
Led Zeppelin - The Battle of Evermore - Live 1971
Led Zeppelin - The Battle Of Evermore Led Zeppelin e Sandy Denny
Led Zeppelin - The Battle of Evermore - Live 1971
Led Zeppelin - The Battle Of Evermore Led Zeppelin e Sandy Denny
The Battle of Evermore è una canzone del popolare gruppo rock Led Zeppelin, pubblicata nel 1971 e inclusa nell'album Led Zeppelin IV.
È una canzone suonata interamente da mandolino e chitarristi, scritta da Jimmy Page mentre suonava l'amico mandolino (e bassista dei Led Zeppelin) John Paul Jones.
The Battle of Evermore è l'unica canzone in cui i Led Zeppelin Robert Plant non è l'unico cantante: c'è infatti un duetto con Sandy Denny, cantante del gruppo folk Fairport Convention.
In live, The Battle of Evermore è stato presentato con la voce principale Plant, Jones alla seconda voce invece di Denny, e chitarra folk, mandolino e Page.
I testi sono ricchi di riferimenti alle opere di Tolkien, di cui Plant era un grande fan: vengono citati personaggi come Frodo, Galadriel, Gandalf, Aragorn, tutti appartenenti alla saga de Il Signore degli Anelli, oltre a luoghi ed eventi come i Campi il Pelennor, la battaglia del Fosso di Helm e le Due Torri.
Led Zeppelin live in Seattle, 1977.
The Battle of Evermore è una canzone del popolare gruppo rock Led Zeppelin, pubblicata nel 1971 e inclusa nell'album Led Zeppelin IV.
È una canzone suonata interamente da mandolino e chitarristi, scritta da Jimmy Page mentre suonava l'amico mandolino (e bassista dei Led Zeppelin) John Paul Jones.
The Battle of Evermore è l'unica canzone in cui i Led Zeppelin Robert Plant non è l'unico cantante: c'è infatti un duetto con Sandy Denny, cantante del gruppo folk Fairport Convention.
In live, The Battle of Evermore è stato presentato con la voce principale Plant, Jones alla seconda voce invece di Denny, e chitarra folk, mandolino e Page.
I testi sono ricchi di riferimenti alle opere di Tolkien, di cui Plant era un grande fan: vengono citati personaggi come Frodo, Galadriel, Gandalf, Aragorn, tutti appartenenti alla saga de Il Signore degli Anelli, oltre a luoghi ed eventi come i Campi il Pelennor, la battaglia del Fosso di Helm e le Due Torri.
Led Zeppelin - The Battle Of Evermore -
"The Battle Of Evermore" dei Led Zeppelin fu pubblicato nel 1971 nel miglior album della band e anche in uno dei migliori album nella storia della musica, Led Zeppelin Vol.4
La canzone è stata composta dal chitarrista Jimmy Page mentre suonava il mandolino di John Paul Jones (bassista)
La canzone parla delle storie di Tolkien; Il Signore degli Anelli e Hobbit. All'epoca queste storie erano molto famose, soprattutto tra gli hippy.
Grazie al tema pacifista e persino ambientale della trama, gli hippy si sono identificati con il libro ”, afferma il giornalista Reinaldo José Lopes, direttore del sito web di Valinor, specializzato nel lavoro di Tolkien. C'è anche la leggenda secondo cui il cosiddetto pipeweed ("pipe weed") menzionato nel romanzo sarebbe un'analogia con la marijuana. Tolkien chiarì che l'erba era semplicemente una varietà di tabacco, ma questa analogia aiutò anche a rendere popolari i testi tra gli hippy. Formatisi nel 1968, all'apice di questo movimento di controcultura, i Led Zeppelin sono stati influenzati dal lavoro, al punto da utilizzare, in alcune lettere, riferimenti a personaggi e situazioni del libro.
L'intero testo descrive la battaglia dei Campi di Pelennor, che è nella terza parte del libro. Nell'estratto sopra, si crede che la Regina della Luce sia Éowyn, un'eroina che affronta il Re Magico, il servitore più potente di Sauron. Il Principe della Pace sarebbe il guerriero Aragorn, che dice addio a Éowyn per unirsi ai suoi compagni
Behind The Song: Led Zeppelin, "Battle Of Evermore"
https://americansongwriter.com/led-zeppelin-battle-of-evermore-behind-the-song/
Nella terza canzone dell'epica IV dei Led Zeppelin , Robert Plant introduce il suo personaggio di Queen of Light, che diventerà così centrale per la pièce de résistance dell'album , "Stairway To Heaven". Come "Stairway" e gran parte delle immagini degli Zeppelin, "Evermore" è influenzato dalla mitologia celtica e, secondo la biografia di Stephen Davis Hammer Of The Gods , anche da opere come White Goddess di Robert Graves e Magic Arts In Celtic Britain di Lewis Spence .
“Evermore” è ancora più direttamente ispirato alle guerre anglo-scozzesi del XV e XVI secolo, combattute per lo più lungo il confine dei due paesi, di cui Plant aveva letto prima di scrivere i testi. Anche se oggi i testi possono sembrare un po 'cliché, ricreano molto lo spazio nudo di una canzone di battaglia. La maggior parte degli appassionati di Zep conosce già la storia della creazione della canzone - un incidente casuale in cui il chitarrista Jimmy Page raccoglie il mandolino del bassista John Paul Jones nella casa di campagna in affitto della band, Headley Grange, nell'East Hampshire, in Inghilterra, durante la registrazione. sessioni per quello che sarebbe diventato il quarto album della band. Sandy Denny, l'ex cantante dei Fairport Convention, è stata invitata a interpretare il ruolo della Regina della Luce.
Nella serie di libri Continuum 33 1/3 sui Led Zeppelin IV, l'autore Erik Davis dice che anche il genere gioca un ruolo nella canzone. Davis vede il principe della pace di Plant e la regina della luce di Denny come una vera dinamica maschile / femminile, mentre l'archetipo del rock and roll di Page e Plant e Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones rappresentavano l'androginia e la confusione di genere. Denny, d'altra parte, bilancia il maschile guerriero Plant. Racconta della battaglia imminente e esorta il principe all'azione con frasi come "Balla nella notte oscura, canta alla luce del mattino" e "getta il tuo aratro e la zappa, corri ora al mio arco". Significativamente per il suo coinvolgimento, Denny ha fatto irruzione nella "divisione di quattro" maschile di Zep che era il marchio di fabbrica della band - letteralmente. È stata insignita del simbolo di tre piramidi con il suo nome nei titoli di coda dell'album. Denny inoltre consolida la band sulla scena folk inglese contemporanea degli anni '60, da cui Zeppelin, e Page in particolare, furono molto influenzati. Gruppi come Fairport, Incredible String Band e Pentangle - con i suoi doppi chitarristi Bert Jansch e John Renbourn - hanno fornito molte delle prime ispirazioni per la concezione degli Zeppelin di Page.
- DAVIS INMAN
"Battle Of Evermore"
La Regina della Luce prese il suo arco e poi si voltò per andare
Il Principe della Pace abbracciò l'oscurità e camminò da sola nella notte
Oh, balla nella notte oscura, canta alla luce del mattino
Il Signore Oscuro cavalca in forze stanotte e il tempo lo dirà tutti noi
Oh, butta giù il tuo aratro e la tua zappa, corri ora al mio arco
Fianco a fianco aspettiamo la potenza, del più oscuro di tutti
sento i cavalli tuonare nella valle sottostante
Sto aspettando gli angeli di Avalon, aspettando il bagliore orientale
Le mele della valle custodiscono i semi della felicità
Il terreno è ricco di tenere cure, che non dimenticano, no, no
Danza nella notte oscura, canta alla luce del mattino
Le mele diventano marroni e nere , la faccia del tiranno è rossa
Oh, la guerra è il grido comune, prendi le tue spade e vola
Il cielo è pieno di buoni e cattivi, i mortali non lo sanno mai
Oh beh, la notte è lunga, le perle del tempo passano lente
Occhi stanchi sull'alba, in attesa dell'oriente bagliore
Il dolore della guerra non può superare il dolore delle conseguenze
I tamburi scuoteranno le mura del castello, gli Spettri dell'Anello cavalcano in nero, cavalcano
Canta mentre alzi l'arco, spara più dritto di prima
Nessun conforto ha il fuoco di notte che illumina il viso così freddo
Oh, balla nella notte oscura, canta alla luce del
mattinoLe rune magiche sono scritte in oro per riportare l'equilibrio, riportalo indietro
Alla fine il sole splende, le nuvole blu passano
Con le fiamme del drago dell'oscurità, la luce del sole acceca i suoi occhi
Scritto da Jimmy Page e Robert Plant..
Led zeppelin The battle of evermore (1971)
Led Zeppelin - Ramble On..
Composto nel 1969 da Jimmy Page e Robert Plant, dei Led Zeppelin. I testi della canzone sono stati fortemente ispirati dall'opera Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, inizialmente con riferimenti a capitoli e passaggi del libro e poi direttamente come Mordor e Gollum
https://youtu.be/VDn5Dq40oWs acustica..
Jimmy Page and Robert Plant July 22, 1995 NEC, Birmingham, UK
Led Zeppelin - Ramble On Live at the O2 Arena Reunion Concert
"Scommetto che se adesso vi chiedessi di descrivere il significato e l’emozione che suscita il termine “ombra”, otterrei una moltitudine di descrizioni, ognuna delle quali dipenderà probabilmente dallo stato d’animo che abbiamo nel momento in cui siamo chiamati a pensarci! Eppure, si tratta un termine di uso comune entrato in moltissimi detti popolari! Probabilmente, la prima cosa a cui penseremmo è il buio. Il buio, in quanto opposto alla luce, porta con sé il senso di oscuro e la sensazione dell’ignoto. In effetti, in senso generale, l’ombra è una zona oscura su una superficie. Ma, in particolare, pensiamo quasi sempre all’ombra come alla proiezione del nostro corpo su un’area e nessuno si sognerebbe sostenere che esista la possibilità che un corpo possa essere separato dalla sua ombra. Ombra, corpo e fisicità sono cioè inscindibili. La prova di queste affermazioni sta nel fatto che, alla base di una moltitudine di credenze, i corpi privi di ombra siano in qualche modo legati all’aldilà, a figure infernali. Nel corso della storia molte figure sono state identificate come ombre: si tratta di quegli esseri che chiamiamo vampiri. Figure maligne, da incubo, divenute leggendarie. In definitiva, l’ombra evoca un contrasto ma allo stesso tempo un rapporto complementare tra luce e buio, tra chiaro e scuro. Ed è proprio questo rapporto di contrasto e complementarità il fattore che determina i diversi significati che diamo al termine. Ma stiamo attenti… perché da qui a poco i Led Zeppelin ci avvertiranno che “…You know, sometimes words have two meanings”.
L’incantevole e sbalorditiva “The Battle of Evermore” è il brano che precede, introducendo meravigliosamente, il maggior capolavoro musicale della storia del Rock. Sound acustico con uno dei testi più oscuri, articolati e controversi dell’intero repertorio dei Led Zeppelin! La musica domina come sempre… stavolta qualificata dal ritorno alla chitarra acustica di Page e da quello di Jones al mandolino che, proprio grazie al ritorno alle sonorità Folk e acustiche, ricreano idealmente un paesaggio incantato, favoloso, fiabesco e leggendario entro cui Robert Plant e Sandy Denny conducono soavemente il loro personalissimo e intimo dialogo. Percy è intento a formulare domande metaforiche a cui Sandy fornisce risposte enigmatiche, mentre il coro di entrambi ci scaraventa nell’esperienza intima e spirituale che il testo sottintende. La “battaglia dell’eternità” è inzuppata e ci inzuppa della netta sensazione di un’attesa senza fine, in un continuo alternarsi di luce e buio, morte e resurrezione, giorno e notte… bene e male! Innumerevoli le citazioni dell’amata letteratura di Tolkien, almeno quanti i riferimenti alle battaglie bibliche dell'Apocalisse e ad altre leggende. Ma il messaggio cardine, tutte le metafore e le allegorie del testo ruotano attorno all’idea della vittoria del bene sul male. Quindi della luce sull’ombra. “La regina della luce” che “prende il suo arco e si volta per andare”; “il principe della pace” che “abbraccia le tenebre e attraversa la notte da solo”, la gente che deve prepararsi ad affrontare qualcosa di terribile che sta per accadere “danzando nell'oscurità della notte, cantando con la luce del mattino”; e ancora “il malvagio Signore” che “cavalca in forze”, gli espliciti riferimenti a personaggi come Gandalf, Frodo, Aragorn, gli “spettri dell’anello” e tanti altri dell’opera Tolkien, oltre che al cristianesimo, hanno lasciato spazio alle più disparate interpretazioni. Proprio come quando siamo chiamati a descrivere il concetto di ombra! Per alcuni vi sarebbero tematiche sataniche (chi se lo sarebbe aspettato eh!), mentre per altri si tratta di un testo contro le guerre e per altri ancora di un’esperienza soggettiva. Leggendo il testo in strofe, invece che come un tutto unitario, l’aspetto introspettivo, spirituale e intimo appare sapientemente camuffato dal soggetto spirituale, puramente figurato, del testo. La luce, l’ombra... il bene e il male! Nell’esperienza introspettiva, intima, spirituale e individuale l’ombra è quanto rifiutiamo di noi stessi, quello che rimuoviamo, che non accettiamo perché non ammissibile dalla nostra coscienza! Sono i nostri sensi di colpa, quello di cui ci vergogniamo, gli aspetti infantili che tendiamo a proiettare sugli altri. È il lato profondo, infimo, primordiale e selvaggio della nostra personalità che ritroviamo nei sogni, nei miti, nelle favole. È il nostro lato negativo… “oscuro” che, in quanto tale, è contrapposto e allo stesso tempo complementare al nostro lato “luce”, nella persona che mostriamo agli altri negli sforzi teatrali delle relazioni nella vita quotidiana. Oscura e invisibile, l’ombra è reale e inseparabile dai nostri aspetti coscienti. In breve, in ognuno di noi convivono gli opposti luce e ombra, conscio e inconscio, femminile e maschile. E così come l’ombra appartiene alla luce, il bene appartiene al male, anche se non sono mai integrati tra loro, proprio come ne “Lo strano caso del Dr Jekyll e di Mr. Hyde”. Nel percorso di formazione della nostra identità è questa l’infinita battaglia che dovremo combattere, accettando di integrare la nostra ombra alla nostra luce, fino a integrare nella personalità anche quello che odiamo, non vogliamo vedere, e non vogliamo sapere di noi stessi. L’ombra è il lato negativo dell’essere umano e, in quanto appartenente all’umanità intera, essa è il “male”. Ma quando il bene avrà vinto sul male, il cielo si schiarirà e la luce del sole abbaglierà le tenebre! Il brano si conclude in un’orgia di suoni e nella melodia straripante dei due vocalist… “Bring it back … bring it back … bring it back… bring it back… bring it back”! Ma cosa? Chi?
Un pezzo davvero pazzesco… ricco di spunti individuali, pieno di domande senza risposte, soave, melodico, epico, disarmante… nella semplicità con cui possiamo cliccare sul tasto play e lasciarlo entrare senza fare resistenza! Buon viaggio a tutti!"
Tratto dal libro "Oltre il sound dei Led Zeppelin: la filosofia della più grande band di sempre"
, 2017Copyright ©Alex Andros
“The Battle of Evermore”
Written by Jimmy Page, Robert Plant
Copyright © Warner/Chappell Music, Inc.
Ramble On
“A differenza degli altri animali, incondizionatamente dominati dal così detto istinto di sopravvivenza, l’uomo ha forza e capacità per controllare questo impulso. La prova è che siamo in grado di determinare persino la volontà di vivere. Possiamo deliberatamente mettere fine alla nostra vita, quando le condizioni in cui viviamo ci sembrano intollerabili, così come siamo capaci di morire per una causa in cui crediamo o di commettere suicidio. Vivere è, in definitiva, il risultato di una scelta. Lo stesso vale del desiderio o, se preferite, del bisogno di vivere assecondando deliberatamente i propri desideri, i propri sogni! L’esistenza di uomini che hanno vissuto tutta la vita inseguendo ostinatamente i propri sogni, che hanno raggiunto i più grandi traguardi, è la prova che vivere una vita comune non è l’inevitabile risultato di una volontà suprema, quanto piuttosto il risultato di una scelta umana. “Ramble On” è la memorabile ballata che ci accompagna, prendendoci per mano, in un viaggio… intrapreso a seguito di una scelta. La scelta di girovagare per il mondo alla ricerca di una donna; alla ricerca della regina dei nostri sogni. È “la luna d’autunno a illuminare il sentiero”, mentre sentiamo l’odore della pioggia, la notte è piena di mistero e ci fa paura. Ma Robert è ostinato e non si fa intimidire! No… lui deve “cercare una ragazza”; lui deve trovare la “regina dei suoi sogni”. Determinato e incrollabile, prosegue ostinatamente, tenacemente e instancabilmente nel suo “vagabondaggio”, continua a “cantare la sua canzone” … non può farne a meno; non può fermarsi perché deve cercare e trovare la sua regina. Ha deciso così e lo farà! La ballata è perfetta! È di Bonham l’apertura, con un sound secco ma leggero, insieme all’acustica di Page. Il basso di Jones s’inserisce, subito dopo, scolpendo una melodia dolce, malinconica, rilassata. La morbida voce di Plant sussurra per trascinarci sinuosamente dentro il suo viaggio mistico. Poi, improvvisamente, il pezzo s’infiamma e Page può spaziare felicemente insieme a Plant fino a che entrambi deflagrano con violenza. Intanto Bonham e Jones danno la potenza necessaria con la loro ritmica. Lo show si ripete… fino a quando testo e musica sfumano alla conclusione… “Got to keep searching for my baby, I can’t find my bluebird!”.
Non fermatevi ragazzi… non rinunciate a prescindere. Se sono i nostri sogni allora sono alla nostra portata. In fondo… basta fare una scelta!
Tratto dal libro "Oltre il sound dei Led Zeppelin: la filosofia della più grande band di sempre"
, 2017Copyright ©Alex Andros
“Ramble On”
Written by Jimmy Page, Robert Plant
Copyright © Warner/Chappell Music, Inc.
Tea For One
Presence
1976
Led Zeppelin
Composta da: Jimmy Page, Robert Plant...
Jimmy Page e Robert Plant - Tea For One (live in Tokyo)
Come possono ventiquattr'ore Piccola, a volte sembrano scivolare nei giorni? Oh ventiquattr'ore Piccola, a volte sembrano scivolare nei giorni, sì Quando un minuto sembra durare una vita Oh baby quando mi sento così. Seduto a guardare l'orologio Oh il tempo è molto lento. Ho guardato per vedere le lancette muoversi Fino a che non riesco più a guardare. Come possono ventiquattr'ore Piccola, a volte sembrano scivolare nei giorni? Un minuto sembra durare una vita Piccola, quando mi sento così. Cantare una canzone per te Ricordo che dicevi sempre "Oh amore, questa è per noi due" Che poi alla fine sei tu. Come possono ventiquattr'ore Piccola, a volte sembrano scivolare nei giorni? Un minuto sembra durare una vita Oh piccola, quando mi sento cos?. Ci fu un tempo in cui Io spiccavo agli occhi degli altri uomini Ma ti ho lasciata per mia scelta, donna E adesso non riesco più a riaverti. Come possono ventiquattr'ore A volte sembrano scivolare nei giorni sì, bene? Bene, bene,bene, bene un minuto sembra durare una vita Piccola, quando mi sento così. Un minuto sembra durare una vita Oh piccola, quando mi sento così, quando mi sento così
“Ascoltando Tea for One, un osservatore superficiale potrebbe finire per ritenere il brano fin troppo simile alla monumentale e intramontabile “Since I’ve Been Loving You”, come fosse una sorta di disperato rewind! Spiacente contraddire, ma non è affatto così! […] È l’ennesimo sound senza tempo, intramontabile e praticamente impossibile da catalogare. L’emozione maestosamente evocata dal brano è tra le peggiori che si possano mai sperimentare: un lento e inesorabile consumo di uno dei tratti caratteristici dell’essere umano: la sua innata tendenza alla socialità. È il terrore della solitudine, con tutta l’agonia, la frustrazione, la depressione e l’abulia che comporta. […] Percy è maestoso… anzi no, è praticamente perfetto! Avrebbe potuto semplicemente assecondare con la sua voce struggente il ritmo del brano per renderlo epico ma… LUI è Robert Plant ragazzi! Nessun gemito… nessuna tonalità troppo alta! Usa la voce con un tono di rassegnazione apatica e, per esprimere la noia, l’apatia e la conseguente depressione, smorza le parole del testo fino a farci percepire una certa fatica nel pronunciarle, facendo emergere vera e propria indisposizione! Struggente al punto da farci vivere la sensazione che non ci sia più nessuna speranza di sopravvivenza… che la morte sia l’unico e il più desiderabile sfogo di quest’insopportabile agonia!”
Tratto dal libro "Oltre il sound dei Led Zeppelin: la filosofia della più grande band di sempre"
, 2017Copyright ©Alex Andros
Led Zeppelin - Going to San Francisco segment. Going to San Francisco by Scott Mckenzie. From the The Mamas & the Papas, live in Earls court 1975. I gave it a bit of a remaster as it was a bootleg
If You're Going to San Francisco Led Zeppelin 1973
Led Zeppelin - If You're Going To San Francisco (2 Versions) + Download Link
Led Zeppelin - Bring It On Home (Live at Royal Albert Hall 1970)
Led Zeppelin perform 'Rock And Roll' live at Knebworth in 1979
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
Led Zeppelin - Going to California - Live Earls Court 1975 (Full Performance)
When The Levee Breaks - Led Zeppelin live at Brussels (1/12/1975)
Led Zeppelin - Live in Houston, TX - May 21, 1977 (
Nel '77 decisero di aprire con The Song Remains the Same, che, se sia Percy che Jimmy stanno bene, è una delle migliori introduzioni di sempre! Quando escono le prime note è già un vero spasso! La qualità della tavola armonica ti aiuta ad ascoltare l'alambicco di Jonesy e la batteria di Bonzo, in cui entrambi sono i maghi dello spettacolo; Ti dirò, le uniche cose a cui ho prestato attenzione, soprattutto, in questo spettacolo sono stati quei due magnifici musicisti; A Sick Again Bonzo è una vera macchina, inoltre, il basso di Jonesy ha rimosso completamente la necessità di una chitarra ritmica! (Se mai ce ne fosse uno)
È solo durante Nobody's Fault But Percy's, noterai che Robert ha avuto alcuni piccoli problemi con la sua voce, ma sembrava averli superati entro la fine della performance
Sia Nobody's Fault But Mine che In My Time of Dying sono ora accreditati come "Blues act from the turn of the century, with a bit of Zepp on it", la definizione perfetta per queste due tracce; Su entrambi Bonzo è una vera macchina, se hai mai dubitato di lui, cosa che io dubito tu abbia mai fatto, ascolta quelle; In seguito una versione potente e sorprendente di SIBLY (da quando ho amato, faresti meglio a fare attenzione, più tardi lo chiamerò SIBLY tutto il tempo hahahaha)
Nonostante abbia brillato durante lo spettacolo fino ad ora, No Quarter è stato il tempo reale di Jonesy per farlo; 25 minuti di pura eccitazione, più una speciale jam blues della band (dopo questa lunga jam in realtà dimentichi quale canzone stavano suonando per primo)
Un punto di forza del '77 è che Percy sembrava sempre più rilassato e per niente preoccupato quando si esibiva, di solito divagando alcune battute e divagando alcuni discorsi divertenti (A questo spettacolo, la morte di suo figlio era a un mese di distanza: /); Se ascolti completamente questo, vedrai che da Ten Years Gone alla fine del set acustico menziona e scherza con Jonesy circa 7 volte
Dopo un breve discorso, viene riprodotta una bellissima versione di Ten Years Gone, e una molto speciale per me, dato che è la prima volta che sento la `` Turchia '' a tre manici di Jonesy (secondo Percy, è un tacchino , ascoltalo, si sta divertendo!)
Quindi, abbiamo il set acustico! È passato un po 'di tempo dall'ultima volta che non l'avevo ascoltato dal vivo, ma è sempre una grande parte dello spettacolo; The Battle of Evermore, con Jonesy che canta, non ha prezzo, Going to California non è come le versioni del '72, ma è comunque molto bello; C'è una presa in giro di Custard Pie di Jimmy e Robert prima di un cortometraggio Black Country Woman e un grande Bron-Y-Aur Stomp
Da quando ho avuto la spiacevole esperienza di ascoltare Tempe '77 sono stato traumatizzato con Achilles Last Stand suonato dal vivo, ma mentre lo ascoltavo il trauma scompare, e mi sono reso conto che Jimmy cullava! (Achille continuava a stare in piedi!)
Stairway, secondo lo stesso Percy, non aveva bisogno di presentazioni, e davvero no; Ha cantato molto bene e la strumentale è perfetta!
Per il bis più insolito che abbia mai sentito suonare i Led, una delle migliori versioni che ho sentito da un po 'di tempo di Rock And Roll, che non credo davvero dovrebbe essere suonato come bis, più come intro, e Trampled Sotto i piedi
Godere!
* Jonesy è la cosa principale a cui ho prestato attenzione in questo spettacolo, ecco perché l'immagine selezionata per il caricamento è sua, te lo meriti Jonesy!
* Dopo Sick Again Percy spiega il loro ritardo dicendo "Mi dispiace per il ritardo, ma c'era del cibo nel camerino"
da completare
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Il 10 giugno 2007, alle due e mezza di pomeriggio, i membri sopravvissuti dei Led Zeppelin, il chitarrista Jimmy Page, il cantante Robert Plant e il bassista John Paul Jones si ritrovano in una sala prove per suonare alcune canzoni. È la prima volta che si ritrovano nella stessa stanza con gli strumenti in mano, da quando nel 1995 hanno suonato quattro pezzi durante la cerimonia per la loro introduzione nella Rock & Roll Hall of Fame. Questa volta la posta in gioco è più alta: devono scoprire se hanno la forza, l’empatia e il desiderio di esibirsi come Led Zeppelin nel loro primo vero concerto dalla morte del batterista John Bonham avvenuta nel 1980.
Il luogo delle prove, che si trova da qualche parte in Inghilterra, è segreto. Nelle interviste che hanno rilasciato per promuovere il concerto, un evento benefico che si svolgerà il 10 dicembre 2007 alla O2 Arena di Londra in onore di Ahmet Ertegun (cofondatore della Atlantic Records), Page, Plant e Jones hanno detto di non ricordarsi il giorno in cui si sono incontrati, cosa hanno suonato e nemmeno come è nata l’idea di riunire la band per rendere omaggio a Ertegun, amico e mentore della band nei loro anni con la Atlantic. Tutti e tre, però, d’accordo nel dire che suonare ancora insieme dopo così tanto tempo è stato un momento emozionante e molto importante. «È stato istantaneo», dice Page, che ha il mignolo sinistro steccato, conseguenza di una caduta che ha costretto la band a posticipare il concerto originariamente previsto per il 26 novembre: «Siamo arrivati tutti pieni di voglia di lavorare e di divertirci. È stata una delizia». Plant ricorda «tanti sorrisi» e mentre lo fa sorride anche lui: «È stato un momento catartico e terapeutico. Nessun peso, nessuna pressione». Jones afferma di non aver avuto «alcun dubbio. Qualcuno ha scelto una canzone, l’abbiamo fatta, funzionava». Il figlio di John Bonham, Jason, ricorda invece benissimo il giorno e l’ora in cui i Led Zeppelin sono tornati a esistere, perché lui era lì, seduto nel posto che una volta era di suo padre: «Loro forse non se lo ricordano, ma io sì. Avevo un nodo in gola». Jason ha 41 anni, due figli e suona con i Foreigner: «Non pensavo che avremmo trovato subito un suono. Mi dicevo: “Ci vorrà tempo”». Aveva torto. La band era immersa nella furia lenta e oscura di No Quarter dall’album Houses of the Holy del 1973: «Quando siamo arrivati al riff, ci siamo guardati tutti negli occhi. Era fantastico». Il pezzo successivo è stato la marcia della carovana nel deserto di Kashmir, da Physical Graffiti del 1975: «Poi ci siamo fermati e Jimmy ha detto: “Possiamo abbracciarci?” e Robert ha gridato: “Sì, figli del tuono!”». Alla fine della giornata, racconta Jason: «Mi hanno detto: “La prossima volta…”», si ferma e scoppia a ridere: «Ho pensato: “Ci sarà una prossima volta?”».
Led Zeppelin - Black Dog (Live at Celebration Day) (
Robert Plant riflette, sorseggiando caffè nella suite di un hotel di Londra con vista su Hyde Park: «La cosa più difficile è stata riuscire ad arrivare tutti e quattro nella stessa sala prove senza che nessuno lo sapesse. Avremmo potuto crollare subito, al primo ostacolo. Sarebbe stato pericoloso avere intorno altre persone in preda al delirio per questo momento». È sempre stato questo, del resto, il piano della band. Quando Page ha formato i Led Zeppelin nel 1968, non voleva solo una band ma: «Una potenza, quattro musicisti virtuosi in grado di dare vita al quinto elemento».
Solo un anno dopo, i Led Zeppelin erano la più grande band del mondo, pronti a dominare gli anni ’70, distruggere il pubblico e riempire gli stadi. La fine improvvisa della band dopo la sbornia fatale di John Bonham poco prima di iniziare un tour in Nord America nel 1980 ha fatto crescere costantemente l’attesa per una reunion. Tecnicamente il concerto alla O2 Arena Londra è molto di più. Il ricavato andrà all’Ahmet Ertegun Education Fund e gli altri che si esibiranno – l’ex cantante di Free e Bad Company Paul Rodgers, Pete Townshend, i Foreigner, l’ex bassista dei Rolling Stones Bill Wyman e Paolo Nutini – sono tutti artisti della Atlantic che, come gli Zeppelin, erano molto legati a Ertegun. Ma per i circa 20 milioni di fan che hanno cercato di comprare uno dei 18mila biglietti disponibili, la serata del 10 dicembre è la realizzazione di un sogno che sembrava impossibile: un concerto dei Led Zeppelin.
Jimmy Page, 63 anni e una tempesta di capelli bianchi lunghi fino alle spalle al posto della sua celebre chioma nerissima e lucente, dice di essere rimasto scioccato dall’isteria scatenata da questa reunion a sorpresa: «Non ce lo aspettavamo assolutamente». È sempre stato lui il guardiano dell’eredità della band, si è occupato personalmente di tutte le rimasterizzazioni e riedizioni del loro catalogo. Quando parla dei Led Zeppelin il suo sguardo è d’acciaio. Durante le prove, dice Jason: «Jimmy è sempre molto attento. È concentratissimo su quello che vuole ottenere».
«Quali sono le mie aspettative?», dice Page: «Una sola: se lo facciamo lo dobbiamo fare molto bene, visti i casini che abbiamo combinato in passato». Si riferisce alle mezze reunion del “Live Aid” nel 1985 e al miniconcerto del 1988 con Jason alla batteria per la celebrazione dei 40 anni della Atlantic. Jones si lamenta del fatto che «al “Live Aid” avevamo dei batteristi che non conoscevano le nostre canzoni», riferendosi a Phil Collins e Tony Thompson degli Chic, ma si prende anche la responsabilità del concerto del 1988: «L’ho dato per scontato, non ho fatto i compiti a casa». Questa volta, dice Page con decisione: «Dobbiamo essere preparati e impegnarci molto». L’organizzazione gli ha detto che il tempo a loro disposizione è un’ora, ma Page dice che dopo le prime prove in giugno e la seconda session a luglio è parso subito chiaro che non sarebbe abbastanza. Adesso, infatti, la scaletta dura «100 minuti, e non ci sono solo Whole Lotta Love, Dazed and Confused e No Quarter».
La band ha passato il secondo e il terzo giorno di prove a lavorare su For Your Life, un pezzo mai fatto dal vivo estratto dall’album Presence del 1976: «Poi l’abbiamo scartata, ma questo per farti capire lo spirito con cui abbiamo affrontato la cosa», mi dice Plant. A 59 anni, con la barba grigia curata e un misto di biondo e argento nella lunga chioma, Robert Plant sembra la versione “anziano capotribù” del vichingo ventenne che è sbarcato in America per la prima volta nel 1968, ma anche seduto sul divano nell’ufficio del suo manager a Londra la sua voce e il suo atteggiamento così sicuro di sé lo fanno sembrare un conquistatore.
«All’inizio c’era molto rispetto reciproco, ma è svanito presto. John Paul ha cominciato ad alzare le sopracciglia come fa lui di solito, e ha tirato fuori il suo sorriso ironico. Sapevo che eravamo tornati al punto in cui ci siamo lasciati con In Through the Out Door del 1979», dice Plant. Poi si corregge: «No, siamo andati anche più indietro» John Paul Jones, 61 anni, parla con un melodioso tono sottovoce pieno di umorismo sagace (ha definito i suoi 12 anni nei Led Zeppelin come «il lavoro più stabile e lungo che abbia mai avuto»): «C’era un pezzo in cui non mi ricordavo cosa dovessi suonare, poi ho capito che era perché non l’avevamo mai fatto dal vivo». Fortunatamente Jason Bonham ha una conoscenza enciclopedica di tutti i bootleg dei concerti e degli outtakes in studio: «A volte ci domandiamo: “Cosa succede adesso?”, e lui risponde subito: “Nel 1971 avete fatto questo, nel 1973 in quello e quell’altro concerto invece avete fatto così». «Jason conosce le canzoni», dice Page, «ma soprattutto le capisce. Fa una gran differenza». «Questa è la seconda buona ragione per farlo, secondo me», dice Plant. «Quando era più giovane, Jason pensava che suonare nei Led Zeppelin gli spettasse di diritto». Jason ammette che i rapporti con Plant non sono stati facili «prima di diventare sobrio, quando bevevo troppo». «Adesso invece», continua Plant, «Jason sa che non solo è la persona giusta per suonare nella band, ma che con il suo entusiasmo e la sua abilità la sta anche cambiando». Molte cose sono cambiate del resto. Nel 2004 Jason Bonham è andato a seguire un festival bluegrass in North Carolina: «Ho incontrato una grande comunità di musicisti, tutti fan dei Led Zeppelin, e ho suonato con loro quella musica così antica». Recentemente ha prodotto un album per il quartetto bluegrass femminile Uncle Earl, e la sera prima di questa intervista le ha raggiunte in un club di Londra per suonare il mandolino. Plant fa dischi solisti dal 1982, esegue le sue versioni indiane e nordafricane di pezzi dei Led Zeppelin e ha avuto molto successo con l’album Raising Sands, un sublime disco di blues del Delta e gothic-country registrato in collaborazione con la cantante e violinista Alison Krauss. L’anno scorso, dopo le registrazioni di questo disco a Nashville, io stesso ho fatto a Plant la solita domanda sulla reunion: «Mi piacerebbe lavorare ancora con Page, a patto che non diventi una questione troppo importante e che sia una cosa vera», mi ha risposto. Glielo ricordo. Lui scrolla le spalle e non accetta il suggerimento implicito che questa reunion sia in effetti una questione molto importante: «No, non lo è», dice, «le prime prove sono state ottime». E per quanto riguarda il fatto che deve essere una cosa vera? «Quello che è successo in quella stanza, senza avere nessuno intorno, è stato in certi momenti buono come in passato. Prima non lo volevo fare, adesso invece non voglio fare altro. Che te ne pare?».
«Avevo un progetto in mente», dice Page a proposito di quell’estate del 1968 in cui ha formato i Led Zeppelin: «Cercavo un cantante simile a Steve Winwood o a Steve Marriott. Qualcuno che non avesse paura di farsi avanti, per questo volevo Terry Reid». Reid era un giovane e precoce cantante britannico soul, che passa alla storia per aver rifiutato l’offerta di Page e aver suggerito Robert Plant al suo posto, per poi proseguire la sua carriera nella scena delle band psichedeliche delle Midlands.
John Paul Jones, invece, conosce Page dai tempi in cui era uno dei più richiesti session man di Londra, e non vede l’ora di entrare nella sua nuova band. Ricorda di averlo sentito al telefono poco prima che Page andasse in un college di Birmingham a sentire Plant: «Mi ha detto: “Ti faccio sapere”, e quando è tornato mi ha detto: “È incredibile, ha una voce potentissima”».
Plant è fluido, intuitivo, e come Page è interessato alle possibilità espressive che si possono trovare dentro e fuori dalle progressioni di accordi blues: «L’idea era quella di espandere i confini», dice Page. L’esempio migliore secondo lui è Babe I’m Gonna Leave You da Led Zeppelin del 1969: «In origine è un pezzo folk», per l’esattezza una ballad che Page ha sentito in un disco di Joan Baez del 1962, «ma è pieno di colori, con quella chitarra ipnotica e increspata nelle strofe, e gli stacchi flamenco in mezzo. C’è la chitarra acustica, la pedal steel e tutti quegli elementi tipici di un suono potente e duro, ma estremamente sensibile».
I Led Zeppelin raccontano il live del 2007 alla presentazione del DVD del live, uscito nel 2012
«Ho riascoltato le canzoni dopo molto tempo, le ho analizzate per capire il numero di battute tra le singole parti», dice Plant, «hanno una specie di combinazione chimica molto astuta che le fa andare a volte in una direzione, a volte in un’altra. In Nobody’s Fault But Mine è pungente, cattiva, ti fa digrignare i denti, In My Time of Dying è spettacolare e gigantesca: ogni tanto è più veloce e ogni tanto più lenta, va da una parte all’altra, si avvolge a spirale o sbanda di lato. E in mezzo a tutto questo ci sono io». «La mia prima idea», dice Plant a proposito della reunion, «era di rifare tutta la scaletta del concerto alla Royal Albert Hall (del 9 gennaio 1970, ndr), cominciando da We’re Gonna Groove». Attacca la prima strofa del classico di Ben E. King, originariamente registrato da King dal vivo all’Apollo Theater di New York nel 1963 per la Atlantic, e scelto dai Led Zeppelin come pezzo di apertura di quasi tutti i concerti del tour del 1960: «C’ero anche io quella sera alla Albert Hall, ma non mi ricordo niente di quello che è successo!», dice sorridendo: «Stavo volando in mezzo a una specie di grande tempesta». L’aura di invincibilità che circonda i Led Zeppelin comincia a vacillare nel 1975, quando Plant rimane ferito in un incidente d’auto in Grecia. Nell’estate del 1977 i Led Zeppelin cancellano le ultime settimane di un tour sold out in America per la morte improvvisa del figlio di Plant, Karac, a causa di un virus sconosciuto. In seguito, ci sono stati i due concerti all’aperto a Knebworth nel 1979 per promuovere In Through the Out Door, l’ultimo album dei Led Zeppelin, un breve tour europeo nel 1980 e poi più niente.
Page dice che non c’era modo di andare avanti dopo la morte di Bonham: «Ne abbiamo discusso, io e John pensavamo di fare un disco più potente, pieno di riff. Ogni album doveva essere un passo in avanti rispetto a quello precedente, anche se non era il nostro credo». In ogni caso, dice Page, la musica che i Led Zeppelin avrebbero fatto negli anni ’80 «non sarebbe certo stata più leggera».
Dopo lo scioglimento ognuno di loro ha fatto pezzi dei Led Zeppelin nei rispettivi lavori solisti, sotto varie forme. Page e Plant hanno collaborato nello speciale di MTV “Unledded” del 1994 e hanno trascorso gran parte degli anni ’90 in tour insieme: «Ma non erano i Led Zeppelin», insiste Page, «erano due membri dei Led Zeppelin». Jones non viene invitato a partecipare a “Unledded”, anzi scopre la sua esistenza solo quando vede lo show in televisione durante un tour in Germania. Oggi dice che l’ha superata: «È successo tanto tempo fa. L’anno prossimo saranno 40 anni da quando abbiamo iniziato a suonare insieme. È una cosa da non credere».
«Non mi sorprende il fatto che oggi abbiamo ancora questa connessione», dice Page, «è sempre stato così: un attimo prima non c’è niente e un attimo dopo… Boom! La vera tragedia per me è se un giorno non fossi più capace di farlo. Essere in grado di venire qui e lavorare con gli altri è un dono, una cosa che rispetto e apprezzo moltissimo».
C’è solo una differenza tra questa e una vera reunion dei Led Zeppelin: manca Bonzo. Jason è molto schietto nel parlare di cosa voglia dire a livello emotivo essere il sostituto di suo padre, che veniva chiamato Bonzo o The Beast per il suo modo di suonare, ma anche per il suo modo di bere e per il suo comportamento animalesco fuori dal palco. Jason racconta che, dopo le prime prove, sua madre Pat gli ha chiesto come era andata: «E io non me la sono sentita di dire che era andata benissimo. Non volevo togliere niente a papà. Così ho risposto: “È andata bene, ma non come papà”».
«John aveva una tecnica favolosa», dice Page, «ma aveva anche una grande immaginazione. La struttura che ha tirato fuori in Good Times Bad Times nel primo album è una cosa che ancora oggi lascia perplessi molti batteristi. Nessun altro è in grado di farlo. Nessuno ha la stessa immaginazione».
«Io me ne sono accorto subito», dice Jones. La prima volta che hanno provato insieme nel 1968 sono partiti con una cover degli Yardbirds, The Train Kept a Rollin’. «In quanto bassista la mia prima preoccupazione era: “Com’è il batterista?” Se non siamo uniti, è inutile. Abbiamo iniziato a suonare e sembravamo due che avevano fatto venti tour insieme». L’edizione in dvd di The Song Remains the Same, un film che mette insieme in modo singolare immagini girate dal vivo al Madison Square Garden nel 1973 e alcune scene fantasy interpretate dalla band, mostra un John Bonham diverso dall’animale che ogni sera faceva per un quarto d’ora l’assolo di Moby Dick. Bonham guida un trattore nella sua fattoria, gioca a biliardo e bacia Pat, mentre camminano insieme lungo una strada di campagna. In una scena dal valore profetico, si vede Jason piccolissimo suonare la batteria sotto lo sguardo orgoglioso del padre che lo accompagna ai bongos. «Quello era il vero John Bonham», dice Jason, «era un padre di famiglia. In un paio di libri è stato descritto molto male, ma in realtà per lui la cosa più difficile era stare lontano da casa».
Jason ha visto suonare suo padre solo tre volte, ma è l’unico batterista oltre a lui ad aver suonato con i Led Zeppelin negli anni ’70. È successo durante il soundcheck di Knebworth, mentre John controllava l’impianto ascoltando dal prato. Jason aveva 13 anni: «Abbiamo suonato Trampled Under Foot, papà me l’aveva fatta provare per una settimana intera. Gli ho chiesto: “Sarà uguale al disco?”, e lui mi ha risposto: “No, l’assolo sarà più lungo. Aspetta il segnale di Jimmy. Quando alza la mano vuole dire che ha finito”». Durante una delle prove, Jason ha chiesto agli altri di fare un omaggio a John durante il concerto a Londra: «Mi hanno risposto: “Stai facendo un ottimo lavoro, non credi che lui vorrebbe che tu prendessi il merito che ti spetta, invece di fare un passo indietro e dire: eccolo, è tuo?”. Non è stato facile per me, voglio essere rispettoso al massimo. Non mi ha potuto dare gli ultimi 27 anni della sua vita, lasciate che sia io a ridarglieli per una notte». Gli altri non penseranno troppo al passato, almeno non pubblicamente. Robert Plant mostra tutta la sua serenità d’animo e fiducia in se stesso: «Lo faremo con lo spirito giusto, Ahmet guarderà giù e dirà: “Ciao ragazzi”. Bonzo sorriderà. Pat sarà molto felice. Jason si alzerà in piedi e griderà: “Yeah!”. Jimmy farà un inchino. Jones scrollerà le spalle come fa di solito. E io…», dice ritrovando il suo grido da Dio del rock, «io canterò: “baby, baby, baby!”».
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“Veniamo dalla terra del ghiaccio e della neve / dal sole di mezzanotte dove sgorgano le sorgenti calde / Il martello degli dèi spingerà le nostre navi a nuove terre / per combatter l’orda, cantando e urlando: Valhalla, sto arrivando!“.
...forse in una precedente vita..
vivevo fra cavalieri, dame..corti sassoni,bretoni,vichinghe..elfo o gnomo..maga o strega..
impugnavo vessilli o scudi
forse un guerriero forse un asceta..forse
il Dio del tuono e quello del cielo..
non sò..di sicuro però
qualcosa e qualcuno mi porta sempre là..
e mi trovo sempre a casa..
Led Zeppelin - Immigrant Song testo
Ah, ah,
Veniamo dalla terra del ghiaccio e della neve,
Dal sole di mezzanotte dove soffiano le sorgenti termali.
Il martello degli dei guiderà le nostre navi verso nuove terre,
per combattere l'orda, cantando e gridando: Valhalla, sto arrivando!
Su noi spazziamo con la trebbiatura, il nostro unico obiettivo sarà la sponda occidentale.
Ah, ah,
Veniamo dalla terra del ghiaccio e della neve,
Dal sole di mezzanotte dove soffiano le sorgenti calde.
Quanto morbidi i tuoi campi così verdi, possono sussurrare storie di sangue,
di come abbiamo calmato le maree della guerra. Siamo i tuoi signori.
Su noi spazziamo con la trebbiatura, il nostro unico obiettivo sarà la sponda occidentale.
Quindi ora è meglio che ti fermi e ricostruisci tutte le tue rovine,
Perché la pace e la fiducia possono vincere la giornata nonostante tutte le tue sconfitte.
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Amici
(Page / Plant.)
Luce intensa quasi accecante, la notte nera brilla ancora,
posso ' Smettila, continua a salire, cercando quello che sapevo.
Aveva un amico, una volta mi ha detto: "Hai amore, non sei solo",
ora se n'è andata e mi ha lasciato a cercare solo quello che sapevo.
Mmm, ti sto dicendo ora, la cosa più grande che tu possa fare ora,
è scambiare un sorriso con qualcuno che è blu ora, è molto facile solo ... Ho
incontrato un uomo sul ciglio della strada che piange, senza un amico, non si può negare ,
Sei incompleto, non troveranno nulla alla ricerca di ciò che sapevi.
Quindi ogni volta che qualcuno ha bisogno di te, non deluderlo, anche se ti addolora,
Un giorno avrai bisogno di qualcuno come loro, alla ricerca di ciò che sapevi.
Mmm, ti sto dicendo ora, la cosa più grande che tu possa fare ora,
è scambiare un sorriso con qualcuno che è blu ora, è molto facile solo ...
Dave Grohl racconta i Led Zeppelin: «Non facevano musica, ma esorcismi»
La scoperta dei dischi della band, lo stile di Jimmy Page, gli acidi e la spiritualità: il musicista di Nirvana e Foo Fighters racconta come, quando e perché è stato folgorato dalla band di ‘Black Dog’
Senza i Led Zeppelin non ci sarebbe stato il metal. E anche se ci fosse stato, avrebbe fatto schifo. Erano qualcosa di più di un gruppo rock, erano una combinazione perfetta di passione, mistero e talento. M’è sempre parso che fossero alla ricerca di qualcosa. Non erano mai paghi, cercavano di buttarsi in esperienze sempre nuove. Erano capaci di tutto e chissà dove sarebbero arrivati se John Bonham non fosse morto. Rappresentavano la fuga da un sacco di cose. In quel che facevano c’era un elemento fantasy, anzi era parte essenziale del loro carattere, di quel che li rendeva importanti. Senza i Led Zeppelin, fatico a immaginare tutta quella gente che va al cinema a vedere Il signore degli anelli.
Non erano amati dalla critica: troppo sperimentali, troppo estremi. Fra il ’69 e il ’70 girava un sacco di musica strana e loro era i più strani di tutti. Per me Jimmy Page era più strambo persino di Jimi Hendrix. Hendrix era un genio portentoso, Page un genio posseduto. I dischi e i concerti degli Zeppelin erano esorcismi. Hendrix, Jeff Beck ed Eric Clapton spaccavano i culi, ma Page stava a un altro livello, suonava in modo umano e imperfetto. Sembrava un vecchio bluesman che si è calato dell’acido. Ascolto i suoi assoli nei bootleg dei Led Zeppelin e mi ritrovo ora a ghignare e ora a versare lacrime. Sentite una versione a caso di Since I’ve Been Loving You e vi scoprirete a ridere e piangere nello stesso tempo. Per Page, la chitarra non è solo uno strumento. È un traduttore di emozioni.
Quando John Bonham suonava la batteria sembrava non sapesse che cosa sarebbe accaduto da un momento all’altro, pareva sempre sull’orlo di un precipizio. Nessuno ha mai fatto qualcosa del genere e nessuno, credo, ci si avvicinerà mai. È e resterà il più grande batterista di tutti i tempi. Ho passato anni in camera mia – parlo davvero di anni – ad ascoltare le tracce di batteria di Bonham e a cercare di imitarne lo swing, il modo in cui restava indietro sul beat, la velocità, la potenza. Non volevo solo imparare a memoria quel che suonava. Volevo ereditare il suo istinto. Ho tatuaggi di Bonham ovunque: sui polsi, sulle braccia, sulle spalle. Me ne sono fatto uno a 15 anni: sono i tre cerchi che rappresentano il suo simbolo su Zeppelin IV e che erano riprodotti sulla sua grancassa.
Black Dog, da Zeppelin IV, rappresenta i Led Zeppelin al top della potenza rock, è l’esempio perfetto di quant’erano possenti. Non avevano bisogno di grandi distorsioni o di suonare velocemente: erano heavy e bastava. Avevano pure un lato sensibile, una cosa che la gente tende a non prendere in considerazione perché li vede come animali rock, ma Zeppelin III era pieno di momenti belli e delicati. È stata la colonna sonora ai giorni in cui stavo mollando la scuola. Lo ascoltavo ogni giorno sul mio Maggiolone e intanto riflettevo su quel che avrei fatto nella vita. Per un motivo o per l’altro, quel disco mi ha regalato un po’ di luce.
Li ho sentiti per la prima volta negli anni ’70 trasmessi da una radio AM. Era il periodo in cui Stairway to Heaven era popolarissima. Avevo 6 o 7 anni e stavo cominciando a sentire musica, ma solo con l’adolescenza sono arrivato ad ascoltare i primi due dei Led Zeppelin. Me li passarono dei fattoni. Ce n’erano in sacco nelle periferie in Virginia, col loro armamentario di muscle car, fusti di birra, Zeppelin, acidi, erba. Quando c’era uno di questi elementi, c’erano anche gli altri. A me però gli Zeppelin pareva avessero un che di spirituale. Frequentavo una scuola cattolica e stavo mettendo in dubbio l’esistenza di dio, però credevo nei Led Zeppelin. Avevo fede, ma non in senso cristiano: avevo fede nei Led Zeppelin in quanto entità spirituale. Mi fecero capire che la musica proviene da un altro luogo e che gli esseri umani la canalizzano. Quella musica non veniva da un songbook, non da un produttore e nemmeno da un insegnante. Veniva da quattro musicisti che la portavano in posti in cui non era mai stata. Avevo l’impressione che venisse da un altrove. Ecco perché i Led Zeppelin sono il più grande gruppo rock di sempre. Non poteva essere altrimenti.